173931.fb2 La Bambina Dagli Occhi Di Ghiaccio - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 14

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12

La seconda moglie di Erik Homer, ormai vedova, viveva in un grande appartamento sulla Novantunesima Est. «Affitti bloccati» spiegò la donna. «Duecentottanta dollari al mese per un posto così grande. Ci crede? E pensare che un tempo era una delle zone peggiori della città…»

Il detective Riker pensò che le opinioni di quella donna erano limitate a quanto poteva vedere dalla finestra. Era chiaro che non usciva di casa da un pezzo. Riker strinse la tazza di caffè, desiderava una sigaretta, il fumo avrebbe coperto l'odore di chiuso. Jane Homer era una montagna di carne flaccida, e non usciva più di casa perché non passava dalla porta. I capelli erano grigi, arruffati, con le punte biondo platino. In lei ogni vanità era scomparsa da anni. Sulla scrivania c'erano diverse foto di Jane più giovane con il marito. A quel tempo, era magra come la prima signora Homer.

Nessuna fotografia del figliastro.

Un'infermiera si aggirava nella stanza accanto. Parlava con Mallory. Il fatto che la signora Homer fosse costretta in casa era un punto a favore di Riker. Come la maggior parte delle persone nelle sue condizioni, aveva molta voglia di chiacchierare: «Ho visto il servizio in televisione, l'altra sera. Il caso di Natalie non è mai finito in tivù…»

«Già, i due omicidi si somigliano…» disse Riker, evasivo.

La donna annuì. Si udì la porta che si chiudeva. L'infermiera era uscita.

«Suo marito le ha mai parlato dell'omicidio?» domandò Riker.

«Oh, sì. Erik e la sorella di Natalie, come si chiama quella donna? Susan qualcosa… Non importa. Ne hanno parlato al telefono, per ore. Erik ha organizzato il funerale, e l'ha pure pagato. Non spettava a lui, non crede?»

Impossessarsi del cadavere della ex moglie rientrava nel tipico comportamento di un marito possessivo. Anche da morta, Natalie non era riuscita a scappare da Erik Homer. Riker chiese: «E il ragazzo? Andava d'accordo con lui? Voglio dire, dopo la morte della madre?».

La donna sembrava stupita, o forse si sentiva in colpa. «Non era certo un problema.»

«Non era un problema?» Mallory era appena entrata nella stanza. Aveva una cornice in mano. Guardò Jane sdraiata sul letto e le domandò: «Allora perché lo ha rifilato a un parente dopo la morte del marito?».

«Sì» disse Riker. «È scritto nella sua deposizione.»

«L'assicurazione di Erik non era una fortuna.» Gli occhi di Jane Homer erano fissi sulla cornice d'argento. «Quell'anno ho avuto problemi di salute, la tiroide, sa… Il bambino amava i nonni.» Fissò Riker, poi Mallory; probabilmente si rendeva conto degli errori commessi. Riempì il silenzio con le parole. «Non potevo prendermi cura di lui, lo capite?»

Mallory si avvicinò al letto. «Disse alla polizia che il bambino era con la sorella di Natalie, a Brooklyn.»

«Esatto» disse la signora Homer, cercando di ammansire Mallory con un sorriso. «Ora ricordo. Mio suocero aveva il morbo di Alzheimer. Sua moglie non ce la faceva con lui e il ragazzino. Così Junior andò a vivere con la sorella di Natalie.»

Mallory passò a Riker la cornice d'argento. Era un ritratto di famiglia. Sullo sfondo c'era lo zoo del Bronx. La foto era stropicciata e le pieghe sembravano dividere l'uomo dalla donna. Forse Jane Homer aveva recuperato quella foto dalla spazzatura. La ragazza della fotografia non portava la fede nuziale. Aveva un'espressione felice. Una terza persona era stata tagliata via. Tutto quello che restava erano le dita di un bambino, intrecciate a quelle molto più grandi di un sorridente papà.

«Il ragazzo aveva dei problemi?» chiese Riker.

Mallory si avvicinò alla donna: «Come reagì alla morte della madre?».

«Natalie morì ad agosto,» disse Riker «e sappiamo che suo marito non mandò il figlio a scuola a settembre.»

«Mi dica cosa ne ha fatto» l'aggredì Mallory.

Gli occhi di Jane Homer si spalancarono. Finalmente l'aveva capito: non era una conversazione qualunque, era un interrogatorio. «I nonni…»

«Non ci siamo» Riker si avvicinò al letto. «No Jane, non credo che ci stia dicendo tutta la verità.»

Mallory le sussurrò all'orecchio: «Sappiamo come Erik Homer trattava la prima moglie. Non le dava mai soldi, non le permetteva di uscire di casa».

«Io non avevo bisogno di uscire, Erik faceva la spesa. Io non…»

«Quando la polizia la interrogò la prima volta, si era sposata da poco, vero?» disse Riker. «I poliziotti hanno pensato che avesse paura… Paura di suo marito.»

«Quando ha cominciato a picchiarla?» la incalzò Mallory. «Durante il viaggio di nozze? È stata quella la prima volta?»

«Lei ha davvero molte fotografie.» Riker indicò le cornici sul tavolo. «Qui è con suo marito, ma il bambino non c'è, non ha mai vissuto con lei, vero?» Colse la paura negli occhi della donna. «Che cosa ha fatto al figlio di Natalie? È ancora vivo?»

«No.» Jane Homer scuoteva il capo.

«Che cosa significa?» chiese Mallory. «Vuol dire che è morto?»

La donna cominciò a tremare. Singhiozzava. Non riusciva a parlare. L'unica frase comprensibile era: «Non so».

Mallory si avvicinò. «Come può non sapere?»

Anche Riker si fece più vicino. «Ha creduto che suo marito potesse fare del male al bambino, che potesse uccidere suo figlio?»

Jane muoveva la testa da Mallory a Riker, fra una parola e l'altra. Cercava il loro consenso.

«La notte in cui trovarono Natalie… Erik tornò molto tardi. Gli domandai del bambino. Erik mi picchiò… forte.» Si portò una mano alla bocca. «Mi ruppe un dente… Poi buttò via tutte le cose del bambino, vestiti, giocattoli. E strappò tutte le fotografie.» Fissò la fotografia. Jane sorrideva accanto al marito: giorni felici. Afferrò la cornice d'argento e se la strinse al petto. Proteggeva i suoi ricordi. Grosse lacrime solcavano il suo volto.

Non potevano fare più niente con lei, né per lei.

Fuori dalla stazione di polizia di SoHo le giovani attrici accalcate sul marciapiede posavano per la stampa e i turisti. Gli agenti stavano al gioco, compiaciuti di quel colpo di fortuna: il paradiso del poliziotto. Lavoravano in mezzo a una folla di belle ragazze, mandavano a casa le brune e compilavano schede per le bionde, nome e numero di telefono.

L'auto di Mallory accostò. Lasciò il motore acceso. Riker aprì la portiera: «Tu non vieni?».

«Ho da fare» disse Mallory. «Vado a casa di Natalie. Vuoi venire?» La proposta era senza entusiasmo.

«No, conosco il posto. Ci sono passato in macchina. L'hanno ristrutturato e a giudicare dall'esterno il nuovo proprietario ha rifatto tutto il condominio» spiegò Riker, con una gamba in macchina e una fuori, osservando senza interesse il marciapiede pieno di belle ragazze. «Ho mandato due agenti da Susan Qualen. Ti perderai tutto il divertimento quando andranno a prenderla.» Riker capì che Mallory non era interessata all'argomento. Così scese dall'auto, salutò e sparì in un mare di capelli biondi.

Mallory attraversò l'East Village diretta verso la casa dove Natalie era stata uccisa, vent'anni prima. Jack Coffey aveva commesso un altro errore fatale: invece di lavorare alle indagini, i suoi uomini stavano interrogando delle aspiranti attrici. Come se a quel modo potesse sperare di trovare la vittima designata.

Mallory svoltò nella Prima Avenue e scivolò lungo una via laterale. Tempo prima, il quartiere era abitato dai più poveri fra i poveri, che ora non avrebbero potuto permettersi nemmeno di guardarlo. Parcheggiò di fronte all'edificio dove viveva Natalie Homer, lo stesso dov'era morta. Solo la struttura era rimasta invariata. La facciata rimessa nuovo, e così le finestre e le ringhiere in ferro battuto. Secondo gli appunti di Geldorf, il proprietario precedente era morto e i vecchi inquilini se n'erano andati prima che l'edificio fosse ristrutturato.

Riker aveva ragione. Era una perdita di tempo. E un'altra donna sarebbe morta.

Mallory sbatté la portiera e raggiunse l'edificio. Salì le scale di corsa e suonò all'appartamento del padrone di casa. Una donna paffuta aprì la porta, sorridendo alla sconosciuta. Non era di New York, pensò Mallory, doveva venire da qualche tranquilla cittadina di provincia. «Signora White?» Le mostrò il tesserino.

La donna smise di sorridere. «È per Natalie Homer? Mi chiedevo quanto ci avreste messo a venire.»

Eve Forelli, l'ausiliaria civile che lavorava al distretto di Midtown era una donna magra con i capelli scuri, e odiava le bionde con tutto il cuore. Prese il suo tabloid preferito e lesse i titoli: «Attrice accoltellata in pieno giorno». Guardò la bella ragazza che le sedeva di fronte. «Sei meglio di persona.»

Era una battuta, naturalmente, perché la fotografia mostrava soltanto la nuca dell'attrice, il viso premuto contro il petto di un uomo. L'attore teneva in braccio la vittima svenuta e sanguinante e intanto sorrideva, in posa per lo scatto.

La ragazza spalancò i grandi occhi blu. «Come fa a essere già sul giornale? È successo soltanto stamattina.»

Eve Forelli indicò la scritta sotto la testata: «È l'edizione della sera».

La ragazza non capiva.

«La seconda edizione, la distribuiscono gratis, una trovata promozionale per un giornale sull'orlo del fallimento. Ho bisogno di sapere la grafia esatta del tuo nome una o due "l"? All'ospedale l'hanno scritto con una sola.» Allungò il giornale alla ragazza. «E sul giornale il tuo nome non c'è.»

La ragazza smise di guardare l'orologio sulla parete e lesse l'articolo. «Merda, ha ragione.»

«Allora, come fai esattamente di cognome?»

«Small, due "l". Però mi chiami pure Stella.» Sorrise. «Ci vorrà tanto? È un'ora che aspetto, e sono già in ritardo, ho un appuntamento a SoHo.»

Eve Forelli squadrò quella bionda senza cervello. Aveva lasciato l'ospedale prima di rilasciare una dichiarazione alla polizia. E un principe della Crimini Speciali aveva chiamato per chiedere la documentazione. Il supervisore di turno l'aveva incaricata di risolvere la faccenda, sicché lei, semplice ausiliaria, si era trovata a litigare con il personale dell'ospedale. Alla fine l'attrice era stata identificata. Eve Forelli doveva confermare la veridicità del rapporto medico. «Sei stata accoltellata da…»

«Oh Dio!» esclamò l'attrice. «Non voglio guai con la polizia. Ascolti, agente, mi rincresce ma io…»

«Non sono un'agente.» Eve Forelli indicò il nome appuntato sulla camicia, la targhetta diceva chiaramente il suo ruolo: ausiliaria. «Mi occupo soltanto delle scartoffie.»

«Mi scusi.» Stella Small si toccò il braccio fasciato. «È stata una macchina fotografica. Niente di grave.»

«Un uomo ti ha accoltellata… con la macchina fotografica? Davvero curioso…» Questa ragazza comprovava la sua teoria: le radici dei capelli biondi danneggiano le cellule cerebrali.

«No.» L'attrice indicò il giornale. «I giornalisti sbagliano. Non sono stata accoltellata, ma ferita.»

«Con una macchina fotografica» sottolineò Eve Forelli.

«Ci siamo soltanto scontrati, voglio dire, uno scontro accidentale…» La bionda sprofondò nella sedia, roteò gli occhi, poi, con un sospiro di sconfitta, disse: «Va bene, ora le spiego com'è successo. La mia agente dice che una ferita da rasoio è più interessante per la stampa, ma io… cioè quel tipo, mi è venuto addosso sul marciapiede…».

«Roba da matti…»

«Non immaginavo che il dottore avrebbe steso un rapporto per la polizia.»

«Mai fidarsi dei dottori» sospirò Eve Forelli. «Denunciano tutto. Vai a capire perché.»

«Non finirò nei guai, vero?»

«No, tranquilla.» Eve Forelli aveva troppo da fare, era stanca e aveva la testa che scoppiava. Sulla denuncia scrisse: Miss Barbie finisce contro macchina fotografica. Al diavolo le bionde. Il suo supervisore non avrebbe mai accettato un rapporto del genere, se l'avesse letto. Ma le probabilità erano scarse. Aveva sprecato migliaia di frasi interessanti per quel pigro bastardo illetterato. E adesso avrebbe dovuto telefonare a un detective della Crimini Speciali altrettanto ignorante e riferirgli di quell'incontro.

«Dai retta a me: basta con le false denunce, rischi di finire in prigione.» Eve Forelli non era tanto sicura che fosse vero, ma quell'avvertimento servì a spaventare la bionda.

Non appena Stella abbandonò la stanza, l'ausiliaria aprì la finestra per fumarsi una sigaretta in santa pace. Vide Stella Small comparire sul marciapiede. Aveva un'aria indecisa, guardava a destra e a sinistra, non sapeva che direzione prendere. Eve Forelli non aveva niente di meglio da fare e continuò a osservarla. La bionda estrasse una camicia dalla borsa e la gettò nella pattumiera. Poi si presentò una vecchia, che ripescò la camicia dalla spazzatura e la studiò attentamente. Eve Forelli non aveva ancora finito la sua sigaretta. Vide la vecchia spogliarsi. Rimase così, nuda, davanti alla stazione di polizia, poi si buttò la camicia sulle spalle e se ne andò. Sul retro della camicia era disegnata una grossa "X".

Mallory ascoltava educatamente la signora White che spiegava tutti i particolari dei lavori di ristrutturazione. «Questo edificio sembrava una tana per conigli, gli appartamenti erano minuscoli. Si faticava perfino a respirare. Adesso ne sono rimasti solo alcuni all'ultimo piano. Per il resto gli spazi sono più grandi, adatti a una famiglia moderna.»

«Dove è successo?» la interruppe Mallory.

«Se ricordo bene la vecchia piantina…» Alice White spalancò la porta scorrevole di legno e la condusse in sala da pranzo. «Probabilmente qui.»

Mallory lanciò un'occhiata alla cucina. Andare sempre in cucina. Era una delle lezioni di Louis Markowitz. Le persone, interrogate in cucina, diventano più loquaci. Del resto, è un ambiente che invita alla confidenza, poco formale, che di solito ospita amici e parenti.

La voce della signora White tradiva un certo nervosismo. La presenza della polizia tende a innervosire la gente. Mallory, però, sospettava ci fosse dell'altro. Alice White doveva conoscere Natalie anche se all'epoca dell'omicidio era poco più che bambina. Tutte le volte che si toccava l'argomento "omicidio Homer", Alice chiamava la vittima per nome, Natalie.

Stai pensando di nascondermi qualcosa, Alice White?

La donna si fermò vicino a un grosso tavolo di legno, circondato da otto sedie. «Sì, ne sono sicura. L'appartamento di Natalie era esattamente qui, e non era più grande di questa stanza.»

Mallory era stanca di convenevoli. Sollevò la testa e osservò il lampadario. Il punto nel quale Natalie Homer era rimasta appesa per due giorni nella calura di agosto.

«Sembra quasi di vederla, no?»

La signora White alzò lo sguardo al soffitto, e vide un corpo in stato di decomposizione che dondolava appeso alla corda. Da quel momento, ogni volta che fosse passata nella sala da pranzo, non avrebbe potuto scacciare quell'immagine.

Mallory la fissava. Non senti ronzare le mosche, Alice?

La donna portò le mani alla bocca, come se Mallory avesse pronunciato quel pensiero a voce alta. «Signora White, posso chiederle un caffè?» La caffeina è il miglior siero della verità, pensò Mallory.

«Ma sicuro, cara, lo faccio subito.» Alice White non vedeva l'ora di allontanarsi dalla stanza e da quel fantasma appeso al cappio. Una volta uscita, sarebbe stata al sicuro. Mallory la seguì in cucina, si sedette al tavolo e cominciò a consultare delle carte. «So che ha comprato questo edificio cinque anni fa.»

«Non esattamente, cara… Non l'ho comprato.» La signora White rovistò nelle credenze. Cercava il servizio buono, poi si accontentò di due grosse tazze appese al muro.

«Mi piace bere il caffè nelle tazze grandi» disse Mallory.

«Oh, anche a me.» La donna sorrise.

«Forse l'impiegato ha commesso un errore.» Mallory prese una fotocopia del passaggio di proprietà. «Qui c'è scritto che ha acquistato la casa da Anna Sorenson.»

La signora White, prese il foglio e lo esaminò con cura. «No, è proprio un errore.» Servì il caffè poi si mise a sedere di fronte a Mallory. «Non ho comprato la casa. Anna Sorenson era mia nonna, l'ho ereditata.»

«E lei veniva a fare visita alla nonna… quand'era piccola?» Passarono almeno dieci secondi.

«Sì.» Alice White lo disse con un'espressione colpevole. «Ero qui, quell'estate.»

Le mani di Alice White si strinsero attorno alla zuccheriera. «Il caffè è troppo forte, vero? I norvegesi lo fanno così.» Prese una confezione di panna. «Vuole aggiungere un po' di…»

«No, va bene così.»

E ora cominciamo, Alice.

«Dunque, l'ultima volta che lei ha visto Natalie Homer…»

«Avevo dodici anni.» La signora White versò un po' di panna nel caffè, guadagnava tempo, cercava le parole giuste. «Era così bella, sembrava una stella del cinema. Almeno questo mi diceva la nonna. Natalie mi regalava i suoi vecchi rossetti, una volta mi diede un paio di scarpe coi tacchi.»

«Dunque ha passato del tempo con lei. Parlava mai di sé?»

«No, non è mai accaduto.» Alice White mescolava rumorosamente il caffè. «La sua famiglia veniva dall'Europa, ma Natalie era nata in America. Mia nonna diceva che parlava male il norvegese.» Un sorriso forzato. «Io non parlo norvegese, neppure una parola. I miei genitori lo usavano solo quando non volevano farsi capire. E quelle volte che Natalie parlava norvegese con la nonna sapevo che stavo perdendomi qualcosa di interessante.»

Mallory allungò ad Alice un altro foglio. «È una copia del certificato di matrimonio di Natalie. Il suo nome da ragazza è strano, Qualen. È norvegese?»

«Non l'ho mai sentito.» Alice White fissò il certificato. «Forse è stato modificato. Molti nomi stranieri furono storpiati a Ellis Island. Probabilmente si pronunciava Kv invece di Qu. In ogni caso, il nome non è comune…»

«Bene. Sarà più facile rintracciare la famiglia» disse Mallory. «Saprebbe dirmi da quale stato venissero? L'unica parente che abbiamo rintracciato è la sorella che vive a Brooklyn. Purtroppo, detesta i poliziotti.»

«Anche mia nonna. Diceva che erano tutti ladri. Stavano sempre a ronzare qui intorno inventando storie di false violazioni. Poi la nonna gli dava dei soldi e…» A quel punto realizzò che anche Mallory era un poliziotto. «Ma è stato tanto tempo fa. Non ho mai avuto problemi con…»

«Ricorda qualcosa che potrebbe condurci a dei parenti di Natalie residenti fuori dallo Stato di New York?»

«Credo fosse originaria di Racine, nel Wisconsin. I miei genitori vivono lì, e la nonna chiese a Natalie se li conoscesse.»

Mallory prese il giornale piegato sul bordo del tavolo. Era un vecchio giornale. In prima pagina c'era Sparrow. La stavano caricando sull'ambulanza.

Alice White la implorò con gli occhi. No, la prego, non parliamo di questo.

«Sapeva che la polizia sarebbe venuta.» Mallory spinse il giornale dall'altra parte del tavolo. «Il delitto di Sparrow ricorda quello di Natalie, i capelli strappati e infilati in bocca. Quando ha letto il giornale ha riconosciuto i dettagli, vero, signora White? Per questo mi aspettava. So che ha visto il corpo di Natalie, abbiamo la dichiarazione di un agente che la sorprese nel corridoio insieme a un bambino. Quanti anni aveva il suo amichetto?»

«Sei o sette» Alice White non sapeva che quelle di Mallory erano soltanto congetture. Prendeva le deduzioni di Mallory per certezze assolute. Non era sorpresa, solo rassegnata, credeva nell'onniscienza della polizia.

«Quindi avete visto tutto,» disse Mallory «prima che l'agente Parris vi cacciasse. Vero, signora White?»

La donna annuì. «Agente "Dita Appiccicose", così lo chiamava la nonna. O forse era quell'altro.» Alzò lo sguardo: «Mi scusi, i poliziotti in uniforme…».

«Sembrano tutti uguali, lo so. Lei ha visto tutto, i capelli e il resto…»

«Ce l'ho ancora davanti agli occhi.»

«Chi era il bambino?»

«Non so come si chiamasse. La nonna lo trovò che vagava nell'ingresso del palazzo. Lo fece entrare e frugò nella valigia che aveva con sé. Mi ricordo che trovò un numero di telefono, ma quando chiamò non c'era nessuno.»

«Perché non lo consegnò ai poliziotti?»

«Lei non…» La signora White alzò le spalle. «Alla nonna non piacevano i poliziotti. Non si fidava di loro, non voleva abbandonare quel bambino. Vede, c'era qualcosa di strano in lui. Non poteva o non voleva parlare. La nonna pensava che stesse andando a fare visita a qualcuno, per via della valigia. Quando l'aprì era tutto in ordine, ben piegato. Il bambino se l'era fatta addosso, così la nonna gli fece il bagno e lo cambiò. Poi andò di porta in porta, per tutto il condominio, per tutto il vicinato…»

«Così era sola con quel bambino quando arrivò la polizia?»

«Sì, era stata la nonna a chiamare la polizia, c'era un odore terribile, ma i poliziotti non arrivavano. La nonna aveva le chiavi dell'appartamento di Natalie, ma non funzionavano. Poi arrivarono i poliziotti, uno di loro gridò: "Mio Dio, no!"»

«E voi eravate curiosi di sapere cos'era successo…»

«Ci può scommettere. Arrivarono altri agenti. Uno fu messo di guardia all'appartamento, doveva tenere a bada la gente. Ho aspettato finché non è andato a parlare con la vicina. Poi mi sono avvicinata alla porta di Natalie. Era spalancata.»

«E il bambino era con lei?»

«Lo tenevo per mano. La nonna mi aveva detto di non lasciarlo solo. Ho visto il cadavere appeso… ma non sembrava Natalie. I suoi occhi e i capelli…» Alice White respirò profondamente. «E gli scarafaggi che scendevano lungo la corda… Intanto gli agenti facevano le loro fotografie.»

«Che ne è stato del bambino?»

«Un uomo venne a prenderlo.»

«Un uomo, signora White? Chi era quell'uomo? L'ha conosciuto?»

«No, ero a letto. Ho sentito delle voci nell'altra stanza. Credo che la nonna lo conoscesse. O forse provò di nuovo a chiamare il numero, quello che aveva trovato nella valigia. Sì, dev'essere andata così, deve avergli parlato al telefono. L'uomo non disse chi era quando bussò alla porta…»

«Ha mai detto a sua nonna cosa avevate visto?»

«Dio mio, no. Si sarebbe infuriata, mi aveva raccomandato di badare al bambino, non di procurargli degli incubi per il resto della vita.»

Charles Butler conosceva Brooklyn, ci andava spesso per giocare a poker con gli amici. Come tutti i newyorkesi, conosceva solo le strade che percorreva abitualmente. Prima che Riker si facesse ritirare la patente, una strada su due era un mistero per lui. Anche questa strada che dava su Prospect Park. Charles restò in macchina mentre Riker attraversava la strada per raggiungere due agenti. Erano troppo lontani perché Charles sentisse cosa si dicevano. Allora cercò di interpretare il linguaggio dei corpi.

Un agente alzò le spalle per dire, Scusa. Riker allargò le braccia esasperato. Probabilmente l'aveva insultato, perché adesso l'agente aveva le mani sui fianchi, Non è colpa nostra, diceva. Riker, dietro gli occhiali scuri, fissava gli agenti a turno, senza che questi potessero intuire i suoi pensieri. A un certo punto i due agenti ricominciarono a scusarsi, probabilmente chiamandolo Signore.

Riker si limitò a fare dei gesti con la mano, Al diavolo. Poi si voltò e li congedò. Quando scivolò sul sedile anteriore della Mercedes di Charles era davvero infelice.

«Cattive notizie, suppongo.» Charles accese il motore.

«La sorella di Natalie è partita.» Riker indicò gli agenti. «E quei due idioti sono rimasti a guardare mentre faceva la valigia. Continuano a cambiare le regole, Charles. Adesso pare che se dici tre volte la parola avvocato, la polizia deve lasciarti andare. Ho sbagliato io. Ho detto in stato di fermo invece di arresto.»

«Mi spiace, Riker, non è colpa tua…»

«E pensare che non vedevo l'ora di spaventare a morte quella donna.» Riker cadde in un silenzio cupo, mentre davanti a loro si stagliavano le arcate del ponte di Brooklyn.

Charles intuì che non era solo la fuga della Qualen a mettere Riker di cattivo umore. Ma qual era il vero motivo della sua tristezza? Quando la macchina si fermò a causa del traffico, Charles si voltò e chiese: «Posso fare qualcosa per aiutarti?».

«Qualcosa ci sarebbe.» Il detective si ricompose. «Pensavo a Wichita Kid morso da quel lupo.»

Charles capì che Riker non gli avrebbe mai raccontato i suoi problemi. «Vuoi sapere come…»

«No, ecco la mia teoria. C'era una possibilità su un milione che Wichita Kid si salvasse senza il vaccino.»

«Ma non credo che l'autore del libro, quel Jake Swain, ne fosse consapevole.» Mentre attraversavano il ponte, Charles gli raccontò dello sceriffo Peety a caccia di un fuorilegge con la rabbia. «In ogni città interroga i dottori, finché non ne trova uno che ha sentito parlare di un lupo rabbioso…»

«Aspetta» disse Riker. «Non dirmelo. Lo sceriffo scopre che il lupo non aveva la rabbia…»

«Esatto. Scopre che un altro è stato morso dal lupo ed è sopravvissuto. E sai perché? L'animale aveva il cimurro, che è come la rabbia, per via della schiuma alla bocca e tutto il resto, però non si trasmette agli uomini. La ferita non era stata disinfettata, sicché Wichita ha contratto una grave infezione, febbre alta, allucinazioni, ma nessun segno di idrofobia…»

Riker alzò un sopracciglio, si capiva che il racconto non lo interessava più. Dopo un istante di silenzio, Charles disse: «Hai ricevuto notizie dall'ospedale, la tua amica…».

Riker si voltò verso il finestrino e guardò il cielo riflesso nell'acqua. «L'unico rene funzionante sta cedendo.»

Neppure Jake Swain avrebbe potuto inventarsi un lieto fine per Sparrow. Charles comprendeva il dolore di Riker e tentò di distrarlo. Disse: «C'è un testimone oculare dell'omicidio di Natalie Homer». La macchina era ferma nel traffico, a metà del ponte.

Era riuscito a distrarre Riker.

«La mia teoria spiega la storia di quella porta chiusa a chiave…»

Il detective tornò a guardare dal finestrino. Un modo per dire: Oh, ancora questa storia.

«Ascoltami. All'inizio pensavo che qualcuno avesse aperto la porta di Natalie prima che la polizia arrivasse. In realtà il mio testimone non aveva bisogno di una chiave, ha aperto la porta dall'interno.»

«Mi stai dicendo che il testimone è rimasto due giorni nell'appartamento a guardare il corpo che marciva?» chiese Riker.

«Facciamo un passo indietro. Quella sera Natalie stava cucinando per due persone. Non aveva amici, era in cattivi rapporti con la sorella. Dunque cenava con il figlio.»

«Interessante» disse Riker, un modo molto educato per dire che non era affatto interessato. «Secondo te, prima di partire per il viaggio di nozze Erik Homer lascia il bambino alla ex moglie? No, Charles, quell'uomo era un tipo autoritario, dopo il divorzio non ha mai permesso a Natalie di vedere suo figlio, nemmeno una volta.»

«Perché no? Erik Homer aveva una nuova moglie, un'altra donna da pestare. Lasciandolo alla madre avrebbe risparmiato i soldi della baby sitter. Questo fa quadrare le cose. Nessuno ha mai interrogato il bambino. Non sappiamo dove sia stato in quei due giorni di agosto, e nemmeno dopo.» Charles capiva che Riker non era convinto. «Solo un bambino piccolo avrebbe potuto resistere in quella stanza con il cadavere. Non avrebbe mai lasciato la madre. Viva o morta, era tutto il suo mondo.»

«Vediamo se ho capito. Era un monolocale, giusto? E non c'era posto per nascondersi. Ma Junior è riuscito a…»

«Riker, in tutto il mondo le madri dicono ai figli di lavarsi le mani prima di cena. Il bambino era in bagno mentre uccidevano sua madre.»

«Era agosto» disse il detective. «Niente aria condizionata, frequenti black-out, un fornello acceso e un caldo terribile e nonostante ciò…»

«Dopo due giorni l'istinto di sopravvivenza ha avuto la meglio sul trauma e il bambino ha lasciato l'appartamento. Questo spiega le contraddizioni circa gli spostamenti del piccolo… Mi segui? Il padre l'ha mandato via, Erik Homer non voleva che l'assassino scoprisse che quel bimbo aveva visto tutto.»

Quando entrarono nell'ufficio della Butler & Company, Charles e Riker stavano ancora ragionando sul caso Homer. Mallory non li notò neppure. Conversava con i suoi computer, e loro rispondevano con schermate di dati e fogli sputati dalla stampante. Kathy era concentrata sullo schermo, la luce del computer si rifletteva nei suoi occhi. Charles guardò il cavo che alimentava le macchine e per un istante pensò di staccare la corrente. Come avrebbe reagito Mallory?

Riker batté un colpetto sul monitor. Mallory non reagì. Allora disse: «Secondo Charles c'è un testimone oculare del delitto di Natalie Homer».

«Sì, è il figlio di Natalie» rispose Mallory senza alzare gli occhi dallo schermo. «È lui che ha aperto la porta. Ma non sappiamo come si faccia chiamare oggi, quindi concentriamoci sullo spaventapasseri.» Sorrise al computer come se le avesse appena detto qualcosa di divertente. «Adesso abbiamo un piano.»