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La segreteria telefonica lampeggiava. Il cuore di Stella batteva forte. Poteva essere la polizia. Sicuramente volevano sapere perché fosse mancata all'appuntamento alla stazione di SoHo. Quel mattino aveva perso anche un'altra audizione. La sua agente le aveva dato un'ultima possibilità, un'audizione serale molto ristretta. Questa volta ci sarebbero state solo quattro concorrenti. E non aveva niente da mettersi.
Il contenuto degli armadi era sparpagliato dappertutto, inutilizzabile: quei vestiti non le rendevano giustizia. Avrebbe fallito di nuovo. Prima della fine della giornata si sarebbe trovata senza prospettive, senza un agente, senza uno scopo. Si sedette sul bordo del divano, fissando il soffitto.
La giacca nuova era lì, a suoi piedi. Aveva scoperto la "X" in metropolitana, quando si era tolta la giacca per cucire il bottone. Aveva pianto, gli occhi le bruciavano ancora. I soldi dell'affitto se n'erano andati, e non avrebbe potuto chiederne altri. Sua madre e la nonna non avrebbero mai capito l'importanza di un vestito azzurro chiaro.
Non poteva tornare a casa, ma ne sentiva la mancanza. L'indomani avrebbe spedito un'altra cartolina piena di bugie: Il successo è a portata di mano. Poi si sarebbe trovata un altro posto come cameriera.
Pensò all'uomo che la seguiva. Non poteva rivolgersi alla polizia, non dopo che aveva mentito soltanto per fare uscire il suo nome sui giornali. Quella donna, Eve Forelli, sicuramente li aveva già informati. Stella immaginò il dipartimento di polizia come una colonia di ragni telepatici, impegnati a tramare contro di lei. Non si era nemmeno presentata all'appuntamento a SoHo, dove venivano interrogate le bionde perseguitate. Anche se avesse mostrato loro la giacca marchiata, la sua posizione non sarebbe migliorata. I poliziotti non le avrebbero creduto, a causa della "X" che lei stessa aveva disegnato sulla camicetta.
Stella si alzò e si stirò. In fondo era un'attrice, li avrebbe convinti. Bastava soltanto azzeccare il personaggio giusto, ma quale era? Si guardò allo specchio e si chiese: «Chi sono io, oggi?».
Nessuno, disse lo specchio, una ragazza dell'Ohio.
Stella annuì, poi prese la giacca e sfiorò la "X". New York aveva il potere di sciupare tutte le cose belle…
Udì un rumore di passi nel corridoio. Si fermarono proprio davanti alla sua porta.
La polizia?
Trattenne il fiato e si immobilizzò, una busta bianca era scivolata sotto la porta. Forse un mandato di comparizione. Era davvero nei guai. Sentì i passi allontanarsi. Attese qualche minuto e aprì la busta.
Incredibile.
Era l'equivalente di un sacco di soldi, un buono acquisto per un negozio sulla Quinta Strada, dove non poteva permettersi neppure di respirare. Avrebbe potuto comprare un vestito nuovo, firmato, e anche un paio di scarpe.
La Quinta Strada la chiamava: Vieni, Stella, ti sto aspettando…
Uscì, domandandosi chi dovesse ringraziare per quel meraviglioso regalo. Escluse l'angelo custode di cui le avevano parlato a catechismo. Nemmeno Dio sarebbe sopravvissuto in quella città. Il suo salvatore era l'uomo che la pedinava, un suo ammiratore un po' disturbato che si era spinto troppo in là e adesso, pentito, cercava un modo per farsi perdonare.
Mentre scendeva le scale, si bloccò di colpo. Non c'era l'aria condizionata nei corridoi del condominio, eppure sentì un'ondata di gelo scenderle nello stomaco. Quell'uomo sapeva dove viveva.
Il sergente Bell sedeva dietro la scrivania, all'ingresso della stazione, aspettando che il tenente Coffey gli ordinasse di far entrate il sospetto. Nel frattempo, teneva sotto controllo il pompiere. Gary Zappata stava lavorandosi gli agenti, pacche sulle spalle e chiacchiere amichevoli, benché non avesse un solo amico in quel dipartimento.
I tre detective entrarono dalla porta principale. C'era anche Deluthe. Riker gli disse qualcosa e quello si precipitò al piano di sopra. Riker e Mallory attraversarono la stanza, ignorando gli sforzi del pompiere per attirare la loro attenzione.
Zappata gridò: «Sei uno stronzo, Riker, una spia del cazzo…».
Il sergente Bell pregò in silenzio: Per favore Riker, non fare idiozie. Se l'avesse colpito sarebbe finito sotto processo. E forse era proprio quello che Zappata voleva. Era stato licenziato anche dai pompieri e non poteva tornare in polizia.
L'ex pompiere Zappata si avvicinò ai due detective. «Hai fatto la spia.» Squadrò Riker, poi lo spintonò: «Alcolizzato del cazzo…». Poi si rivolse a Mallory: «E tu farai bene a starmi alla larga, puttana…». Guardò gli agenti in divisa come se aspettasse un applauso.
Mallory non batté ciglio, ma Riker strinse i pugni. Il sergente pensò che sarebbe stato meglio chiamare Coffey prima che… Poi alzò lo sguardo e lo vide in cima alle scale, con le mani in tasca. Si godeva lo spettacolo.
Zappata tentò di bloccare la strada a Riker.
Un altro errore.
«Non potevi affrontarmi da vero uomo» ringhiò Zappata. «Dovevi colpirmi alle spalle.» I detective si avvicinavano a lui. Poteva succedere in qualsiasi momento. L'unico rumore proveniva da un impiegato che batteva a macchina.
Tap, tap, tap, tap.
Zappata si era messo in posa davanti al pubblico di poliziotti. Non sospettava che di lì a poco Riker l'avrebbe messo al tappeto.
Zappata non vide partire il colpo. Il pugno di Mallory fu rapido, preciso. Il naso dell'ex pompiere sanguinava.
Mallory attendeva la reazione di Zappata, guardò Riker e gli intimò di non avvicinarsi. Il sergente sorrise, e tutti nella stanza approvarono. La figlia di Markowitz non aveva permesso che qualcun altro finisse Zappata. L'ex pompiere non aveva perso coscienza, ma non poteva o non voleva muoversi.
L'impiegato smise di battere a macchina. Gli agenti osservavano Mallory, una bomba umana al centro della stanza.
Squillò il telefono, le conversazioni ripresero, anche l'impiegato ricominciò a battere sui tasti. I poliziotti entravano e uscivano, qualcuno scavalcò il corpo di Zappata guadagnando la porta. La vita continuava.
Quando la porta si chiuse e Jack Coffey e Mallory si ritrovarono l'uno di fronte all'altra, lei non colse l'occasione per dirgli: "Te l'avevo detto". Semplicemente gli voltò le spalle e si diresse verso la sala operativa.
Il sergente Bell aprì la porta e chiese: «Tenente, vuole ancora interrogare Zappata?».
«No, sbattilo fuori.» Coffey confermò la tesi degli agenti: Zappata era scivolato.
Un muro di poliziotti si era stretto attorno a Mallory. Non che Coffey fosse preoccupato delle conseguenze, Zappata non avrebbe mai denunciato una donna per aggressione. Mallory l'avrebbe passata liscia. Il tenente la guardò sparire attraverso la porta in fondo al corridoio.
«Forse l'hai notato.» Riker si mise a sedere. «Il tuo sospetto numero uno ha la mandibola fragile.» Accese una sigaretta. «Sparrow era una ragazza alta, abituata alle risse, abile, perfino più di Mallory. Quell'idiota non sarebbe mai riuscito a metterla al tappeto.»
«Nemmeno con un rasoio in mano?»
«Credi che Zappata saprebbe cosa farsene? Il nostro uomo è molto più pericoloso di lui.»
Riker appese la fotografia di Natalie Homer accanto alla sagoma dello spaventapasseri.
Madre e figlio finalmente insieme.
Il detective Janos attaccò un biglietto vicino all'articolo che riferiva dell'attrice accoltellata. «Ho parlato con l'agente di Stella Small e con il dottore che le ha medicato la ferita. Entrambi hanno confermato che è successo in una strada piena di gente. Questo combacia con ciò che ci ha detto il tenente Loman. Le aggressioni avvengono sempre in luoghi affollati…»
«Questo non vale per Sparrow.» Riker staccò un rapporto dalla parete e lo allungò a Janos. «È la dichiarazione del regista dello spettacolo. Sparrow gli disse che era momentaneamente disoccupata e che aveva impiegato quattro giorni per imparare la parte. La sua serietà lo colpì, per questo le affidò quel ruolo. Non c'erano audizioni pubbliche la settimana prima che venisse aggredita, dunque Sparrow non prese la metropolitana nelle ore di punta.»
«D'accordo,» disse Janos «ma questa città è sempre affollata.»
Rimasto solo, Riker si voltò verso la parete e ricominciò a ordinare la documentazione di tutti i casi. Janos aveva ragione. New York City brulicava…
«Un gruppo di puttane» disse Mallory.
Riker sobbalzò. Mallory era in piedi di fronte a lui.
«Pensaci: se vedi una puttana, intorno ce ne sono sicuramente delle altre…»
Riker scosse il capo. «No, Daisy ha confermato che Sparrow aveva smesso con quella vita. Forse lo spaventapasseri l'ha vista mentre…»
«Sparrow si prostituiva ancora.»
«E come lo sai? Ti eri messa di nuovo a pedinarla?» Soltanto chi la conosceva bene quanto lui avrebbe potuto cogliere un segno di sofferenza sul volto di Mallory.
Una volta, Sparrow gli aveva raccontato che Mallory la spiava. L'ultima volta che Riker l'aveva incontrata, Sparrow gli aveva detto: «So perché Kathy mi segue. Crede che io stia per morire, e vuole vederlo con i suoi occhi». Erano passati due anni da allora, e di recente Mallory non poteva averla pedinata. Altrimenti avrebbe subito riconosciuto il suo indirizzo e il volto alterato dall'intervento estetico.
Mallory disse: «Ho parlato con il chirurgo plastico. Fa un sacco di lavoretti alle donne maltrattate. Sparrow lo pagava a rate. I suoi soldi finivano tutti lì. Si prostituiva per pagarsi l'operazione. Daisy ti ha mentito, che sorpresa, vero?».
«Ma tu non puoi sapere…»
«Sì che lo so. Le rate erano alte, e Sparrow sapeva fare soltanto quel mestiere. Certo, recitava a tempo perso… In ogni caso, non ha mai avuto un protettore, quindi ha sempre lavorato con altre puttane. In tante ci si può difendere.»
«D'accordo» disse Riker. «Troverò le colleghe con cui lavorava. Rintraccerò Tall Sally e parlerò di nuovo con Daisy.» Se uno dei due gli avesse indicato il posto dove si prostituiva avrebbe fatto una retata. La maggior parte delle puttane erano tossiche e avrebbero venduto la madre pur di non passare diciotto ore in cella.
Deluthe stava fotocopiando gli ultimi rapporti per Charles Butler. Mallory lo ignorò finché non si trovò di fronte l'articolo di giornale con la storia dell'attrice ferita. Vi era allegato un biglietto scritto a mano con il nome della ragazza accoltellata, il suo indirizzo e le parole montatura pubblicitaria. La firma era di Deluthe. «Dov'è il resoconto dell'interrogatorio di Stella Small?» gli domandò Mallory.
Deluthe balbettò. «Non ho mai parlato con lei, ho lasciato un messaggio sulla sua segreteria telefonica.»
Mallory cercò altri documenti sulla parete. «Dov'è la dichiarazione del distretto di Midtown?»
«Un'ausiliaria avrebbe dovuto mandarmi un fax…»
«Nell'articolo si parla dell'ambulanza. Dov'è il rapporto del dottore che l'ha medicata?» Si voltò. Deluthe non sapeva cosa rispondere. Era convinto che Mallory lo avrebbe strangolato, ma si sbagliava. Mallory difficilmente perdeva il controllo. Non era arabbiata quando aveva steso Zappata. Quel pugno era premeditato, era l'unico modo per evitare una sospensione a Riker. Fra i due detective, era lui ad avere un carattere irascibile.
Deluthe osservava la foto dell'attrice bionda, pensando a una scusa. «Stavo per richiamare quell'attrice, ma ho dovuto rimandare, il sergente Riker…»
«È stato un errore» disse Mallory. Poi aggiunse: «Non devi chiamarla, devi andare da lei. Fatti rilasciare una dichiarazione».
Non si era ancora mosso.
«Adesso Deluthe, prima che la ammazzino.»
Mallory telefonò alla stazione di polizia del quartiere dove l'attrice era stata aggredita.
Dopo dieci minuti riuscì a parlare con un sergente. «Mi dispiace, detective, ho trovato la dichiarazione, ma non dice granché. Quell'ausiliaria, Eve Forelli, è stata un po' troppo creativa…»
«Me la legga.»
«Miss Barbie finisce contro macchina fotografica. Al diavolo le bionde. Capisce qual è il problema?»
Il viso di Mallory era impassibile mentre si studiava la mano destra. Piegò le dita dalle unghie accuratamente laccate e all'improvviso batté il pugno sul tavolo. Poi, perché la lucidità durasse più a lungo, batté un'altra volta il pugno, un dolore lancinante.