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Mallory, nella cucina dell'ufficio, si versava un'altra tazza di caffè. Le si chiudevano gli occhi. Da quanto tempo non dormiva?
Vecchie immagini irrompevano nei suoi pensieri, non riusciva a concentrarsi. I topi si avvicinavano al corpo di Sparrow. Il sangue e la carne di Frankie Delight non li avevano saziati. Volevano anche lei.
Si lavò la faccia con l'acqua fredda e tornò al tavolo. Il caffè era freddo. Chiuse gli occhi, e nel dormiveglia aveva di nuovo dieci anni. Sparrow sanguinava e diceva: «Non piangere, piccola».
Ma Kathy non riusciva a smettere. Disperata, scuoteva Sparrow perché non morisse: «Ci serve aiuto!» gridava.
«Non lasciarmi» disse Sparrow, indicando un angolo buio dove i topi si contendevano il cadavere di Frankie Delight. «Tienili lontani, ti prego, finché non me ne sarò andata…»
«Non puoi morire.»
Sparrow sfiorò il viso di Kathy. «Piccola, ti avrò letto un milione di storie. Adesso raccontami tu qualcosa, ma non una storia lunga, non c'è molto tempo…» Socchiuse gli occhi, per sorridere alla propria battuta.
«Hai bisogno di un dottore.» Kathy scrollò Sparrow finché gli occhi si riaprirono. Teneva le mani premute sulla ferita, per cercare di fermare il sangue.
«Non lasciarmi in pasto ai topi» disse Sparrow. «Dimmi, come finisce quel libro? Raccontami La strada infinita. Wichita Kid decide di tornare a casa. Perché?»
Kathy svuotò la borsa di Sparrow sul pavimento. «Wichita ferma il cavallo di fronte al cartello di Franktown.» La stanza si faceva sempre più buia, il sole tramontava e Sparrow stava morendo. Kathy trovò un fazzoletto. Bastò avvicinarlo alla ferita, perché subito si inzuppasse di sangue. «Alla fine Wichita dice…» Anche se la bimba sapeva il libro a memoria, il panico aveva preso il sopravvento. Sparrow non poteva morire.
«Cosa dice, piccola?»
Kathy si morsicò le labbra fino a farle sanguinare. Aveva bisogno di quel dolore per concentrarsi: «Era più di un ritorno a casa, cavalcava verso la sua redenzione».
«Sai cosa significa?»
«No.» Ma non importava. Kathy premette il fazzoletto contro la ferita. «Vado a cercare aiuto, torno subito.»
«No, piccola, rimani con me» era poco più che un sussurro: «Redenzione». Poi disse: «Come faccio a spiegartelo?».
I topi stavano arrivando. Kathy batté i piedi e urlò: «State lontani, non è ancora morta…».
«Giusto, piccola, fatti valere, diglielo.» La voce di Sparrow stava svanendo. «Redenzione… è quando saldi il conto del tuo karma negativo e vai in paradiso.»
Che cos'è il karma?
Sparrow chiuse di nuovo gli occhi, ma questa volta Kathy non riuscì più a svegliarla. La bambina si voltò a guardare la zona buia da dove proveniva lo zampettare dei topi. Gridò, ma non avevano paura di lei. Erano attirati dal sangue. Ne vide uno sulla porta, gli urlò di andarsene. Sparò al topo con la pistola giocattolo, mancando il bersaglio. Piangeva. «Non è morta, non ancora!»
Frugò tra il contenuto della borsa, alla ricerca di qualcosa da lanciare addosso ai topi. Trovò un accendino d'argento che aveva rubato per Sparrow. Lo tenne stretto, poi afferrò una sigaretta rotolata sul pavimento, vicino a una confezione di lacca per capelli. Una volta Sparrow si era quasi incendiata i capelli: fumava spruzzandosi di lacca.
Kathy accese la sigaretta. Rimase a fissare la brace, inghiottendo la paura, finché il topo si avvicinò ai suoi piedi. Kathy gli puntò contro la bomboletta, spruzzò la lacca e lo beccò in pieno. Poi gli lanciò addosso la sigaretta e indietreggiò, mentre il topo, con la pelliccia in fiamme squittiva per il dolore. Un altro sbucò dal buio, attratto dall'odore di carne bruciata. Kathy strisciò verso il topo. Teneva l'accendino acceso a pochi centimetri dal pavimento. Spruzzò la lacca contro il ratto. Quando lo spray raggiunse l'accendino si trasformò in un lanciafiamme. Il ratto bruciava, squittendo e girando su se stesso. Ratti cannibali lasciarono il cadavere di Frankie Delight.
Lentamente, con fatica Kathy trascinò il corpo di Sparrow fuori dall'edificio, verso la luce…
Nella cucina della Butler & Company, Mallory si sentì mancare. Quando rinvenne, era distesa sul pavimento. Provò a rialzarsi, aggrappandosi alle gambe del tavolo. Raggiunse il lavandino e si sciacquò il viso. Doveva restare sveglia, o Stella Small sarebbe morta.
«Non funzionerà mai.» Riker si voltò. «Ci saranno dieci milioni di persone nel Wisconsin.»
«Facciamo quattro e mezzo» lo corresse Charles. «E poi stiamo controllando solo la piccola contea dove il bambino fu dato in affidamento.»
Riker scosse la testa. «Non abbiamo tempo. In questo momento, Stella Small potrebbe essere già appesa al soffitto, ancora viva.»
Mallory sollevò gli occhi dal monitor. «Cosa vuoi che faccia, Riker? Che vada di casa in casa con questa roba?» Indicò i ritratti ottenuti grazie alle indicazioni delle prostitute.
Anche Charles pensava che quei disegni valessero poco. Servivano più che altro a capire come non era fatto quell'uomo. Né magro né grasso, né africano né asiatico, i suoi capelli non erano né lunghi né corti.
Mallory tornò al computer. «Sto controllando gli archivi dei giornali. Se salta fuori qualcosa…»
«Ci vorrà un'eternità» disse Riker.
«Sì» rispose Mallory. «Grazie per il sostegno.»
Anche Charles adesso fissava lo schermo. «Esistono due possibilità: un fatto recente ha provocato le impiccagioni, oppure lo spaventapasseri ha manifestato inclinazioni criminali fin da ragazzo.»
«Gli archivi del tribunale dei minori non sono consultabili» disse Riker.
«Ma quelli dei giornali sì. La contea è composta in gran parte da piccole cittadine. Lì tutto quello che succede, qualsiasi episodio fuori dall'ordinario, finisce sui giornali.»
Riker non era convinto. Guardò l'orologio, un modo per dire che a Stella Small non rimaneva molto tempo, poi uscì facendo sbattere la porta. Mallory passò il cellulare a Charles. «C'è una detective del Wisconsin in linea. Lavora alla sezione minorile, puoi darle il profilo dello spaventapasseri?»
Il telefono sparì nelle enormi mani di Charles. Non si perse in giri di parole. Descrisse un bambino torturato, che aveva perso tutto, i genitori, la casa. Era stato mandato a vivere con degli estranei, ma aveva perso anche quelli. La custodia della polizia, l'affidamento, tanti cambiamenti e tanti sconosciuti. «Troppi traumi, uno in fila all'altro. Sto cercando qualcuno che abbia alle spalle piccoli reati e qualche episodio di violenza. Il comportamento sociopatico potrebbe essersi manifestato già intorno ai nove o dieci anni. O forse…» Charles vide Mallory che chiudeva gli occhi. Aveva allontanato le mani dal computer, lasciandole sospese a mezz'aria. Charles desiderò di essere morto. Non aveva descritto solo l'assassino, quello era anche il ritratto di Mallory. Rapidamente aggiunse un particolare, mai menzionato nei racconti dell'infanzia di Mallory. «Potreste trovare dei riferimenti alla tortura o all'uccisione di piccoli animali.»
Stella Small ascoltò il messaggio trasmesso dagli altoparlanti. Era scoppiato un piccolo incendio ai piani superiori e i clienti erano invitati a evacuare l'edificio con ordine. Indossava il vestito nuovo e l'aveva pagato, ma non era riuscita a cambiarsi le calze e una commessa le sbarrava la strada verso i camerini. Stella scrollò le spalle: aveva tempo di tornare a casa prima dell'audizione serale a Tribeca. Si unì al flusso di clienti diretti verso le scale mobili, ignorando le proteste dei commessi che cercavano invano di indirizzarli verso le uscite di sicurezza e le scale antincendio.
Solo una persona era immobile in mezzo alla folla, un uomo in attesa. Nonostante portasse gli occhiali da sole, Stella lo riconobbe subito. Era il suo ammiratore, quello che non si perdeva una puntata della sua soap opera. Portava lo stesso cappello da baseball e stava in piedi rigido come quella volta al negozio di vestiti firmati. Era lui che la seguiva, che le aveva regalato il buono acquisto. Anche il borsone da ginnastica le ricordava qualcosa, dove aveva già vista quella borsa grigia?
L'uomo non sembrava curarsi di nessuno, si fece strada con decisione in mezzo alla calca, finché fu di fronte a Stella. Senza mai guardarla negli occhi, le attaccò un biglietto al risvolto della giacca. Stella lesse il biglietto: «Posso toccarti quando voglio».
Charles sprofondò nel divano di pelle, l'unico oggetto d'arredamento in grado di accogliere le sue gambe fuori misura. Aveva quasi finito di leggere tutti i documenti trasmessi via fax. Di tanto in tanto s'interrompeva per guardare il televisore. Mallory voleva che guardasse tutte le edizioni del telegiornale. Improvvisamente, un volto familiare comparve sullo schermo. «Mallory» gridò. «C'è Riker in televisione.»
Nessuna risposta. Probabilmente era troppo impegnata con i suoi computer nell'ufficio dall'altra parte del corridoio.
Povero Riker. Sembrava così pallido accanto alla faccia coperta di fondotinta del giornalista. Mostrò la foto di un testimone in fuga, la sorella di Natalie Homer.
Stella lottò con la marea di persone che scendeva dalle scale mobili. Vide un'uscita di sicurezza e corse in quella direzione, voltandosi per controllare gli spostamenti del cappello da baseball. Tutti i clienti erano stati allontanati dalle scale mobili e gli ascensori non erano in funzione. Un fiume di folla riempiva le scale antincendio. Prima Stella percepì l'odore dell'insetticida, poi la mano che le sfiorava il viso. Si voltò, l'uomo si stava dirigendo verso un'uscita di sicurezza. Stella non rimase a guardarlo.
I suoi occhi esplorarono tutti i muri, cercando invano un'altra uscita d'emergenza. La scala mobile era bloccata da tre energumeni che indirizzavano le persone verso l'unico accesso alla scala antincendio urlando: «Quella è l'uscita di sicurezza».
Raccontò loro d'essere inseguita da un pazzo, ma non riuscì a impressionarli. Provò a convincerli, li pregò di farla passare, ma di nuovo venne indirizzata verso le scale, l'unica uscita autorizzata, dove lui la stava aspettando. Stella aveva rispettato tutte le regole di New York. Non aveva mai cercato di consolare gli squilibrati che vagano sui marciapiedi della città, non aveva mai risposto a un loro sguardo. E proprio lei si trovava in quella situazione! Individuò un'altra via di fuga e corse in quella direzione. Chiuse a chiave la porta del bagno. Quel pazzo non avrebbe osato violare il bagno delle signore. Era deserto, tutte le porte delle toilette erano aperte. Stella non aveva mai considerato la possibilità di morire bruciata in un edificio in fiamme. Viveva a New York da troppo per prendere sul serio gli allarmi antincendio. Comunque non era quello il problema, adesso. Valutò l'idea di rimanere chiusa nel bagno finché l'allarme non fosse finito e clienti e commessi fossero tornati a popolare l'edificio, doveva solo trovare il modo di ammazzare il tempo. Si tolse i collant smagliati e indossò quelli nuovi. Mancava qualche ora all'audizione. Si guardò allo specchio, quel completo le donava. Il rossetto andava ritoccato, nessun problema, aveva tutto il tempo. Prese dalla borsa la bustina con i trucchi. Prima però doveva usare la toilette. Prese la borsa dal ripiano di marmo ed entrò in uno dei bagni. Nessuna newyorkese avrebbe lasciato la propria borsa incustodita, nemmeno in un bagno vuoto. Forza dell'abitudine. Era seduta sul gabinetto quando sentì la porta che si apriva. Passi pesanti, scarpe da uomo. La porta si richiuse all'istante. Un impiegato del magazzino, pensò Stella, chi altri poteva avere la chiave dei bagni? Rimase immobile, trattenendo il respiro, poi guardò sotto la porta e controllò, nessuno era entrato. Uscì dal gabinetto, il bagno era deserto, eppure si sentiva osservata. E cos'era quel rumore? Mosche?
«La polizia cerca questa donna.» Il giornalista mostrò la fotografia di Susan Qualen. Charles notò la somiglianza. Accanto alla foto della sorella di Natalie comparve quella di Stella Small. «Se avete visto una di queste due donne, chiamate il numero in sovraimpressione. E adesso la parola al sergente Riker.»
Il detective si avvicinò al microfono. «La signorina Qualen può darci delle informazioni sull'attrice scomparsa. Dobbiamo trovare Stella entro stasera. Questa ragazza è nei guai, ha bisogno del nostro aiuto.»
«In questo momento,» proseguì il giornalista «il nostro programma va in onda anche in Wisconsin.» Si rivolse a Riker: «Dunque avete ragione di credere che Susan Qualen si trovi nei pressi di Racine?».
«Potrebbe essere diretta là» rispose Riker.
«Se Susan Qualen ha delle informazioni importanti, perché sta scappando, detective Riker?»
«Perché non le importa nulla se Stella Small vive o muore.»
Bel colpo, Riker.
Nessuno avrebbe potuto riassumere la questione in maniera più chiara.
Sapeva come accelerare il battito cardiaco, e sapeva come rallentarlo o arrestarlo. Non gli piaceva questo lavoro, ma nemmeno gli dispiaceva.
Quasi pronto.
L'uomo salì sul water, così che non si vedessero le scarpe da sotto la porta, e si accovacciò. Aprì lentamente la borsa di tela e prese la macchina fotografica, ignorando il barattolo con le mosche perché non gli interessava il terrore su scala ridotta. Alcune erano vive, altre stavano morendo. Tramortite dall'insetticida si arrampicavano una sull'altra cercando di guadagnare l'orlo del barattolo.
Chiuse la borsa, gli insetti ronzavano nel buio. Puntò l'obiettivo sulla porta socchiusa. Guardò la bionda accanto al lavandino, tremava, non riusciva a mettersi il rossetto. Prese un fazzoletto e si tamponò le labbra. Inspirò l'odore di insetticida proveniente dai vestiti di lui. Una lucina dentro la macchina fotografica passò da gialla a verde.
Come se Stella avesse percepito quel cambiamento, fece cadere il rossetto e sussultò quando rotolò ai suoi piedi. Raccolse le scarpe, la borsa e i sacchetti. Si precipitò fuori dal bagno, scalza.
Charles si alzò dal divano, si stiracchiò e raggiunse l'ufficio di Mallory. Deluthe non c'era. Mallory lavorava al computer, le dita correvano lievi sulla tastiera.
«Mallory?» Charles si piegò a raccogliere dalla stampante un altro pacco di fogli. Aveva già studiato centinaia di pagine di giornale, senza approdare a nulla. «Non ho trovato niente.» Quando lo spaventapasseri viveva a Green County, i ragazzi si comportavano bene, almeno stando ai quotidiani. «Forse è una perdita di tempo.»
Mallory continuò a battere sulla tastiera. Se si era accorta di lui, non voleva darlo a vedere. Charles si avvicinò con cautela.
Santo cielo, cosa le succede?
Gli occhi di Mallory erano chiusi come se stesse dormendo, ma continuava a digitare sui tasti, e quel movimento ripetitivo produceva soltanto composizioni di lettere senza senso. L'afferrò per le braccia, provò a scuoterla, studiò con grande preoccupazione il viso addormentato. Mallory non rispondeva. La portò nel suo ufficio, dove i computer non potevano arrivare, e la adagiò sul divano. Poi strinse le mani di Mallory e cercò di interrompere il movimento meccanico delle dita.
Il magazzino era deserto e inquietante. Nessuna traccia di clienti o commessi. Nessun incendio, niente sirene, né fumo. Stella attraversò i reparti vuoti. I manichini la fissavano e adesso, riflessa negli specchi, sembrava uno di loro. Immobile, paralizzata, vedeva solo quella borsa di tela grigia appoggiata al pavimento.
Lui dov'era? La stava osservando? Scrutò quello spazio enorme, dov'era così facile nascondersi. Corse verso gli ascensori ma trovò il cartello «Fuori servizio» attaccato alla porta. Provò con le scale di servizio, ma la maniglia era bloccata. Un altro cartello indicava il montacarichi. Era aperto, come se aspettasse proprio lei. Entrò e schiacciò il bottone del piano terra. Stava calzando le scarpe nuove quando vide un uomo che teneva aperte le porte. Senza guardarla entrò nel montacarichi. Appoggiò il borsone sul pavimento. Stella poteva ancora fuggire, ma doveva fare in fretta, le porte si stavano chiudendo. Pregò le sue gambe di portarla fuori da lì. Troppo tardi, il montacarichi si era mosso. Stella guardò i numeri luminosi. Stavano scendendo. La borsa di tela sul pavimento era aperta, e all'interno scintillava la lama di un taglierino. Scesero in silenzio. L'unico rumore era il ronzio sordo proveniente dalla borsa. Lanciò un urlo. Ma solo nella sua immaginazione.
Mallory aprì gli occhi. Aveva la testa appoggiata sul grembo di Charles Butler.
Che ora era? Non ne aveva idea. Il suo orologio interno si era fermato.
Il frusciare della carta. La pila di fogli sul tappeto. Doveva alzarsi. Non c'era tempo.
Charles non si era accorto del suo risveglio e le accarezzava i capelli mentre leggeva. Ogni contatto umano, da quando aveva perso i Markowitz, aveva su di lei un effetto inebriante. Prima Helen, poi Louis. Dopo che era rimasto vedovo, Lou aveva insistito per baciarla sulle guance ogni volta che la vedeva, un goffo tentativo di colmare l'assenza di una madre. Non perdeva occasione per stringerla in un abbraccio avvolgente. Poi era morto.
La gente non faceva che abbandonarla.
Mallory chiuse gli occhi e ascoltò i passi nel corridoio. Sentì la voce di Riker. «Ehi, sono io. Come va?»
«Forse ho trovato qualcosa, anche se non è quello che mi sarei aspettato» disse Charles. «Dai un'occhiata a questo articolo.»
«Adozione con frode» lesse Riker. «Il titolo è promettente.»
«Il bambino fuggì dalla famiglia adottiva quando aveva dodici anni, ma la polizia non fu mai avvertita.»
«E quella gente continuò a incassare il sussidio?»
«Esatto» disse Charles. «Il ragazzo in questione fu loro affidato l'anno in cui il figlio di Natalie fu tolto ai Qualen.»
Riker posò una mano sulla spalla di Mallory poi le scostò una ciocca di capelli dal viso. «Non l'ho mai vista dormire» disse. «Pensavo che Mallory non dormisse mai. Ho sempre pensato che si appendesse al soffitto, come un pipistrello. Non voglio svegliarla.»
«E allora non farlo» suggerì Charles.
«Ma ho un regalo per lei… Susan Qualen. Si è presentata spontaneamente. Janos la sta portando qui… in manette.»
«Perché qui?» chiese Charles.
«È più tranquillo.»
Stella si schiacciò contro la parete del montacarichi e guardò l'uomo che apriva il pannello metallico con un mazzo di chiavi. Un guardiano? Perché non ci aveva pensato prima? I guardiani sono gli ultimi ad andarsene.
«Lavora qui?»
Nessuna risposta. Ma certo, quell'uomo lavorava lì. Per questo le aveva regalato un buono acquisto, probabilmente i dipendenti avevano degli sconti. E ora la stava semplicemente scortando in un posto sicuro. Stella decise di recitare la parte di quella che si fidava. Ma non avrebbe retto a lungo.
L'uomo chiuse il pannello mentre l'ascensore continuava a scendere verso lo scantinato. Il cuore di Stella batteva forte. Non appena le porte si aprirono, le gambe scattarono nel corridoio buio. Correva senza pensare, vedeva solo un'infilata di scatole contro le pareti. Nessuno la inseguiva. Perché avrebbe dovuto inseguirla, visto che il rumore dei tacchi segnalava perfettamente la sua posizione?
Che idiota.
Si tolse le scarpe e ricominciò a correre.
Tutte le emittenti televisive trasmettevano notizie e aggiornamenti sul caso di Stella Small. Erano riusciti a scovare le fotografie di Stella bambina e perfino le lettere spedite a casa. Le sue parole erano piene di sogni e speranze. Il successo era solo una questione di tempo.
«Cos'è stato?» Riker abbassò il volume, e avvertì più chiaramente qualcuno che bussava alla porta. «Dev'essere lei.»
Salutò il detective Janos con un sorriso. La sorella di Natalie Homer non aveva bisogno di presentazioni.
«Benvenuta, signorina Qualen.»
Stella si nascose come un topolino dietro a uno scatolone. Tremava. I passi si avvicinavano. Chiuse gli occhi e pensò a sua madre e a sua nonna: avevano affrontato di tutto, avrebbero superato anche la sua morte.
In fondo, erano più giovani di lei quando avevano cominciato a morire.
Calma, pensò Stella Small. Quella era New York, e le regole del gioco erano diverse: i vigliacchi non erano ammessi.
Lei non si sarebbe arresa a una morte ridicola, assassinata con un taglierino. Sollevò il mento e si preparò a interpretare un'altra parte. Quella di chi aveva ancora molta vita davanti. Il cuore batteva sempre più forte.
Lo senti, figlio di puttana?
L'uomo scostò lo scatolone. Una mano cercò di afferrarla, ma Stella balzò in piedi e cominciò a graffiarlo. Gli piantò le unghie nel petto e sulla sua T-shirt comparvero cinque righe rosse. L'uomo restò immobile, come se le sue batterie si fossero d'un tratto scaricate. Non capiva come fosse possibile che un oggetto si rivoltasse contro di lui. Gli graffiò la faccia, e lui non si mosse. Stella corse verso la luce in fondo al corridoio.
Io voglio vivere, bastardo!
Janos si appoggiò alla porta dell'ufficio, mentre Mallory e Riker si avvicinavano a Susan Qualen. La donna indietreggiò e andò a sbattere contro il computer. «Perché mi avete arrestata?» ringhiò. «Io non ho fatto niente.»
«Ora le spiego» disse Riker. «Vede, signorina Qualen, lei non ha voluto aiutarci, è scappata.»
Pronunciò le parole con calma, ma la signorina Qualen reagì come se Riker le avesse urlato in faccia. Chinò la testa e fissò il pavimento.
Come ricompensa per quell'atteggiamento contrito, Janos le tolse le manette.
Mallory con un calcio avvicinò una sedia a Susan. La sedia cadde a terra.
«La raccolga.»
Susan Qualen ubbidì.
«Adesso si sieda» disse Janos.
«Quando siete venuti…» disse la donna con la voce rotta «quel giorno non ho potuto aiutarvi. Io non…»
«Deve firmare questo» la interruppe Riker, indicando un foglio che elencava i suoi diritti. «Le troveremo un avvocato, se ne vorrà uno. Conosce i suoi diritti, signorina Qualen?»
«Non mi serve un dannato avvocato.»
«Allora firmi.» Riker non stava recitando la parte del poliziotto cattivo, era davvero arrabbiato quando le diede le carte da sottoscrivere e una penna.
Susan firmò senza nemmeno leggere.
Mallory strappò i fogli dalle mani della donna e li gettò sul tavolo.
«E adesso…» disse Riker «ci dica che quel mostro psicopatico non è passato a salutare zia Susan quando è arrivato in città.»
«È colpa vostra» lo interruppe la Qualen. «Siete dei bugiardi, non fate altro che mentire…»
«Tutti quei dettagli sul giornale» disse Mallory. «Signorina Qualen, lei sapeva che c'era un collegamento tra l'ultima impiccagione e…»
«E mia sorella? La polizia mi disse solo che Natalie era stata uccisa. Ho scoperto il resto dai giornali, l'impiccagione, il finto suicidio, i tentativi di insabbiare tutto…» La voce di Susan era isterica. «Nessuno era interessato a scoprire l'assassino di Natalie.»
«Il piccolo Junior le raccontò tutto» insistette Mallory. «Per questo conosceva i particolari. Quando ha visto la storia sui giornali, è stato come se avessero ammazzato Natalie una seconda volta.»
«No, Junior non mi disse niente.» Adesso piangeva. «Quel bambino riusciva a malapena a parlare. Era catatonico.»
«Così lo mandò via, fece in modo di nascondere l'unico testimone che avrebbe potuto aiutare la polizia a scoprire l'assassino di sua sorella.»
Susan Qualen non era più spaventata e aveva smesso di piangere. Adesso era furiosa.
«Chi chiamereste voi se un poliziotto ammazzasse vostra sorella? Un altro poliziotto?» Lo stupore sulle loro facce le strappò un sorriso sinistro.
Mentre correva verso la luce in fondo al corridoio, Stella Small notò un piccolo ufficio con le pareti di vetro. La porta era socchiusa. Stava quasi per sbatterla con forza alle sue spalle, ma si fermò in tempo e la accostò con cautela. Girò la maniglia per chiuderla. Si nascose sotto la scrivania portandosi dietro il telefono. Compose il numero del pronto intervento. Ma un messaggio registrato le chiese di digitare la cifra che abilitava alle chiamate esterne.
Lui stava arrivando. Sentiva i suoi passi meccanici. Stella trattenne il respiro mentre l'uomo armeggiava con la maniglia.
Sentì una chiave entrare nella serratura. Che stupida. Era un maledetto guardiano. Aveva tutte le chiavi. Chiuse gli occhi e si tappò le orecchie, come se questo potesse fermarlo. La porta si aprì, e l'odore di insetticida invase la stanza.
Aprì gli occhi. Era lì davanti, a pochi metri. La guardava in silenzio, senza vederla. A quel punto Stella Small vide il pulsante dell'allarme alle spalle dell'uomo. Se fosse riuscita a rompere il vetro, sarebbe scattata la sirena, sarebbe arrivato qualcuno.
Susan Qualen parlava a fatica. «Se avessi consegnato il bambino, quanto tempo sarebbe passato prima che l'assassino lo eliminasse? L'unico testimone che ha visto un poliziotto ammazzare sua mamma. Ho vissuto in quel quartiere per anni. Gli spacciatori compravano la polizia con un dollaro. Vi coprite l'uno con l'altro, sempre.» Alzò la mano, non voleva essere interrotta. «Non ci provate, ho fatto la cosa giusta, lo sapete…»
«Scappò dai genitori adottivi» disse Mallory.
«Andò dai miei cugini, che lo portarono nel Nebraska. Una volta cresciuto cominciò a fare domande sulla madre. Gli raccontarono tutto ciò che sapevano. Poi tornò…»
«A casa?» chiese Mallory. «Da lei?»
«Si è fermato poco, un paio d'ore, tanto tempo fa.»
«Lei non aveva nessuna voglia di rivederlo.» Riker incrociò le braccia «Le faceva paura, vero?»
«No, Junior non era pazzo era normale quanto me.»
Janos tirò fuori il taccuino. «Dov'è ora suo nipote?»
«Non lo so.»
«Come si fa chiamare?»
«Junior, si è sempre fatto chiamare Junior.»
«Voglio la verità, signorina Qualen.» Janos si avvicinò. «Ha sentito la domanda? Come si chiama?»
«Non lo so, giuro…»
Mallory stava perdendo la pazienza: «Va bene, non sa niente di utile. Lo terremo a mente. Allora perché è scappata?».
Susan Qualen sprofondò nella sedia. Tremava per le troppe emozioni, rabbia soprattutto.
Riker vide l'odio stampato sulla faccia della donna. Disse: «Okay. Questa è una domanda facile. Perché è tornata?».
Stella si stupì della sua stessa forza mentre sollevava la scrivania e la scagliava contro la parete di vetro. Una pioggia di schegge. L'uomo si voltò verso un pannello accanto alla porta e disinserì l'allarme prima che scattasse. Un pezzo di vetro pendeva dal telaio, poi cadde e si frantumò sul pavimento. I vetri scricchiolavano sotto le scarpe mentre l'uomo si avvicinava. «No» disse Stella. «No!»
Solo a quel punto Stella capì d'essere invisibile. L'uomo non guardava lei, ma lo scaffale alle sue spalle. La scavalcò, prese un cartellino da un raccoglitore e lo infilò nell'obliteratrice. Quel gesto, assolutamente normale per qualsiasi impiegato che inizia il turno terrorizzò Stella. Il guardiano notturno non sarebbe accorso a salvarla, semplicemente perché quell'uomo era il guardiano notturno
«Sono tornata per chiedervi di non uccidere il figlio di Natalie.» Susan Qualen si piegò su se stessa come se l'avessero presa a calci nello stomaco. Era esausta, sostenuta solo dalla rabbia. «Sapete soltanto uccidere, avete reso Junior quello che è. Un poliziotto ha ammazzato sua madre, quindi credo che abbiate il dovere di risparmiargli la vita Non potete semplicemente abbatterlo come un animale malato.»
Janos cominciava a impietosirsi. La sua voce era morbida quando disse: «Ci dica dove vive suo nipote, magari possiamo intervenire…».
«Non lo so» Susan scuoteva la testa. «E la verità, lo giuro, l'ho visto solo per qualche ora, tre anni fa.»
Mallory afferrò la donna per un braccio. «Cosa ha saputo dai suoi parenti? Cosa faceva Junior per vivere mentre…»
«Era un poliziotto.» Il viso di Susan Qualen era rigato di lacrime. «Ci credete? Un poliziotto come voi… quindi… non uccidetelo.»
Stella indietreggiò, ferendosi i piedi nudi sui vetri. La bocca asciutta, gli occhi fissi sul taglierino. L'uomo si muoveva a scatti, non aveva il controllo del suo corpo. Stella si appiattì contro il muro, senza staccare lo sguardo dalla lama. «Per favore, non farlo. Per favore…» sussurrò.
Jack Coffey osservò le due donne. Tutti i newyorkesi ormai conoscevano la mamma e la nonna di Stella. Stavano di fronte alla sua scrivania, nei loro vestiti migliori, calzando scarpe robuste made in Ohio. Due donne coraggiose. Lo sguardo era spaventato, eppure sorridevano. «Avete trovato la nostra Stella?» domandarono piene di speranza. Quelle due gli spezzavano il cuore.
Deluthe aveva procurato qualcosa da mangiare in rosticceria e ora lavorava al computer, verificando le segnalazioni. Stella Small era stata avvistata in almeno quattro stati diversi. Charles Butier era seduto accanto a lui, sul divano di pelle. «Fermati. Evidenzia questa.»
«Fatemi vedere» disse Mallory.
«Qui» disse Charles. «Diversi avvistamenti, in vari negozi attorno alla Quinta Avenue. Sembra che si sia dedicata allo shopping fino a tardi…»
Deluthe scosse la testa. «Non può essere, non può permettersi di fare spese sulla Quinta Avenue, neppure in periodo di saldi.»
«Da Bergdorf c'era una svendita, e anche da Lord and Taylor» disse Mallory.
Si sporse in avanti per leggere una segnalazione precedente. «Qui ha comprato il completo, stamattina, e quel bastardo gliel'ha rovinato.»
«Ma di sicuro non è andata a ricomprarselo sulla Quinta Avenue» disse Deluthe. «Ho visto dove vive, tutte quelle bollette da pagare. Le ultime segnalazioni sono bufale.»
Mallory lo guardò di sfuggita, non doveva sfidarla sulle questioni di lavoro e neppure in fatto di shopping. «Stella ha buon gusto.»
Charles fissava il monitor. «Hanno parlato di questo negozio al telegiornale, c'è stato un piccolo incendio all'ultimo piano. È stato evacuato. Forse…» Alzò lo sguardo e vide Mallory che lasciava la stanza. «Andiamo.»
«È una perdita di tempo» disse Deluthe. «Lo spaventapasseri impicca sempre le sue vittime in casa.»
«Due volte non vuol dire sempre.» Charles prese un panino. «E non dimenticare che gli piacciono gli incendi.» A quel punto anche Deluthe si mise a correre verso l'uscita.
La signora Harmon Heath Ellis non aveva mai notato quanto fosse difficile trovare un taxi dopo la chiusura dei negozi. Attraversò il parco, sperando di trovarne uno sulla Quinta Avenue. C'era un gruppetto di sei persone davanti al suo negozio preferito, qualcuno avrebbe potuto riconoscerla. Il suo timore non era quello d'essere accomunata ai pezzenti che passano l'agosto in città, il suo status la metteva al riparo da quel rischio. Non voleva essere scoperta vicino all'hotel del cognato.
L'unico taxi disponibile era fermo al semaforo. Guardò di nuovo le persone davanti al negozio, americani medi, giudicò la signora Harmon Heath Ellis. Fissavano una vetrina in particolare. La curiosità prevalse, e s'incamminò verso il negozio. Non intendeva mischiarsi a quella gente, soltanto guardare la vetrina illuminata. Con tutto il denaro che aveva speso per vestirsi, chi, più di lei, era in grado di giudicare un abito?
La signora Harmon Heath Ellis era sbalordita. Che trovata incredibile. Una novità assoluta. Quando si dice l'ultima moda.
«Non è un manichino» disse l'uomo che aveva accanto.
Certo che no. Era una modella che recitava la parte del manichino. A pensarci bene, l'idea non era così originale, ma qui la modella era appesa a una corda, e dondolava, un modo efficace per consentire al pubblico di studiare il vestito blu e quelle scarpe meravigliose da tutti i punti di vista.
«Davvero brava» disse la signora Harmon Heath Ellis. «Sembra davvero inanimata, non sbatte nemmeno le palpebre.» Poi scoprì il trucco. Chiudeva le palpebre quando la corda girava e lei si trovava con le spalle alla vetrina. La ragazza era piuttosto carina, giudicò la signora Harmon Heath Ellis. La pettinatura, però, con quei ciuffetti corti e arruffati era fuori moda. E cosa significavano quelle ciocche che spuntavano dalla bocca?
I mobili e gli utensili da cucina creavano il giusto contrasto con l'alta moda. Del resto, stabilì la signora Harmon Heath Ellis, si trattava di uno stilista rispettabile. Ma la scena, nel complesso, era decisamente discutibile: violenza senza sangue, senza dramma, banale.
A quel punto una grassona si staccò dal gruppo e cominciò a gridare: «Oh Dio, è morta!». Un uomo disse: «Qualcuno chiami la polizia».
La signora Harmon Heath Ellis sorrise benignamente all'idea di illuminare quella massa di turisti ignoranti. Finché un uomo indicò un punto preciso. La signora Harmon Heath Ellis si avvicinò alla vetrina e il sorriso si congelò. Per qualche minuto non sentì neppure le sirene della polizia. Sotto la donna impiccata c'era un barattolo di mosche morte, circondato da candele rosse, accese. Alzò lo sguardo, e non riuscì più a distoglierlo. La signora Harmon Heath Ellis maledì la sua miopia: non era un neo, ma una mosca quella macchia sul volto della ragazza.
La signora Harmon Heath Ellis cominciò a gridare, più forte delle sirene in lontananza. Sussultò quando le volanti inchiodarono, i lampeggianti accesi. Le macchine della polizia vomitavano agenti in uniforme e in borghese. Con loro c'era una ragazza bionda con la giacca di lino. La signora Harmon Heath Ellis non poté fare a meno di notare il taglio della giacca, poi vide la pistola.
Mallory cominciò a picchiare con violenza il revolver contro la vetrina.
La signora Harmon Heath Ellis stava per farle notare che quel vetro era infrangibile, conosceva bene il suo negozio preferito, quando sbucò un altro detective.
«La porta è aperta» disse Riker. «Lascia perdere quel vetro.»
Mallory sembrava impazzita, sbatteva la pistola contro la vetrina, gli occhi pieni di rabbia. Un'ultima botta e il vetro andò in frantumi.
La donna poliziotto era piuttosto esile, notò la signora Harmon Heath Ellis, e tuttavia riuscì a liberare il corpo dalla corda. Prese il corpo della ragazza fra le braccia e lo depose a terra. La sua faccia era concentrata sul viso pallido della ragazza, forse sperava ancora di salvarla. C'era una porta sul fondale della vetrina, un pannello mobile. Un uomo corpulento, anziché spostarlo, lo sradicò. "La brutalità in persona" si disse la signora Harmon Heath Ellis.
«Bel lavoro, Janos» disse un uomo meno imponente, che oltretutto indossava un vestito orribile.
Il poliziotto massiccio, quello che chiamavano Janos, si chinò sulla donna per toglierle i capelli dalla bocca poi le praticò la respirazione bocca a bocca. Il corpo della ragazza si rianimò, scosso dalle convulsioni. Colpiva l'aria con i pugni chiusi, si difendeva da chissà quali incubi, gridava terrorizzata. Il poliziotto grosso la sollevò con delicatezza. «Calmati Stella, è tutto finito» sussurrava.
La piccola folla di curiosi esultava e lanciava lunghi fischi d'incoraggiamento. La signora Harmon Heath Ellis si lasciò abbracciare dalla grassona, appoggiò la testa sul petto generoso della sconosciuta e scoppiò a piangere.