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Un lenzuolo era stato sistemato sulla finestra rotta e dalla strada si sentivano le risate della gente. Il pavimento dello scantinato non era più allagato ma l'aria era impregnata di umidità e calore. Mallory si tolse la giacca, la ripiegò e la appoggiò sul braccio. Si muoveva per la stanza, registrando tutti i particolari. La schiuma antincendio colava lungo gli armadietti della cucina, formando rivoli di umidità sulla polvere per il rilevamento delle impronte digitali. Un divano letto aperto e un mobile in ferro battuto costituivano tutto l'arredamento della sala da pranzo. Alle pareti, solo un crocifisso di legno. Contenitori di metallo e sacchetti di plastica della Scientifica erano ammucchiati vicino alla porta, in attesa di essere caricati sul furgone.
Nonostante fossero state raccolte tutte le prove, Riker teneva le mani in tasca per placare Heller, un uomo grande e grosso con gli occhi stanchi e le maniche rimboccate. Il medico legale passò l'asciugacapelli su una confezione vuota per rullini fotografici e borbottò: «Stupidi pagliacci». Era l'appellativo più lusinghiero che fosse riuscito a trovare per i vigili del fuoco che avevano rotto la finestra e innaffiato la sua scena del delitto. «I miei uomini non hanno trovato nessuna macchina fotografica. Forse l'assassino ha scattato una foto ricordo.»
Uno scarafaggio fradicio si asciugava sul bordo del lavandino, crogiolandosi sotto la luce artificiale fornita da Heller. Gli scarafaggi di città non si lasciano spaventare dalla luce, dal fuoco, dalle alluvioni, dai poliziotti armati. Ci vuole ben altro.
«Non ci siamo, qui è tutto sbagliato.» Riker, in piedi accanto al tavolo, esaminava un sacchetto di plastica pieno di insetti morti. «Mallory, hai mai visto tante mosche intorno a un corpo non ancora cadavere? Ce ne saranno un migliaio.»
«Come minimo.» Heller spense l'asciugacapelli poi, lentamente, ruotò la testa come un cannone che punta il bersaglio. «L'assassino s'è portato le mosche da casa, in un barattolo.»
«Cosa?» Riker si avvicinò al sacchetto che conteneva un grosso barattolo di vetro, cosparso di polvere nera. «Non avete trovato impronte?»
«Probabilmente apparteneva all'assassino, che indossava i guanti.»
Heller esaminò le impronte di pompieri e poliziotti che avevano raccolto per il confronto. «Abbiamo trovato solo quelle della vittima e di quell'idiota di Zappata.» Indicò il sacchetto di plastica. «Il barattolo è crepato. Forse l'assassino l'ha fatto cadere, o magari sono stati i vigili del fuoco. Ho ripescato le mosche dall'acqua, ma sono sicuro che erano morte ben prima di toccare il pavimento. Posso anche dirvi come sono morte.»
Riker sollevò un sopracciglio. «Sono annegate nella schiuma o hai trovato del fumo nei loro piccoli polmoncini?»
Il ghigno di Heller, un'espressione di malcelato disprezzo, non lasciava dubbi: non si scherza col maestro.
«L'interno del barattolo odorava di insetticida. E anche le mosche.» Tirò fuori dalle tasche quattro boccette per campioni e le allineò sul tavolo. Quattro mosche morte galleggiavano in un liquido chiaro. «Sono a diversi stadi di decomposizione. Direi che le conservava da almeno una settimana. Venti dollari che un entomologo mi darebbe ragione.»
«Ci credo.» Riker fece un gesto con la mano, sapeva che sarebbero stati soldi buttati. Difficile che quell'uomo sbagliasse.
«Progettava l'omicidio da qualche tempo.» Mallory si voltò verso la finestra. «Un tipo passa di lì per caso, abbassa gli occhi, vede Sparrow per la prima volta e decide di ammazzarla. A quel punto inizia a collezionare delle mosche. Un'esplosione di follia tipicamente newyorkese.»
Heller si chinò sulla borsa degli strumenti e iniziò a estrarre lamette e tamponi, pennelli e bottiglie. «Ha chiamato il tenente Coffey, sta arrivando.»
Mallory aveva il tipico sorriso da "Lo dicevo, io". Riker la ignorò e si avvicinò a Heller: «Allora, era arrabbiato?».
«Puoi scommetterci. Ha sentito dire che la Crimini Speciali ha accettato il caso. Come contate di cavarvela, ci avete pensato?»
«Sì,» rispose Riker «se ne occuperà Mallory.»
Heller annuì: «Ottima scelta».
Mallory studiò le bruciature alla base del muro di mattoni, poi si diresse verso i sacchetti delle prove, colmi di cenere e frammenti di carta. «Che cosa ha usato il nostro amico per appiccare il fuoco?»
«Un semplice fiammifero. Cercherò delle tracce di liquido infiammabile, ma so già che non ne troverò.»
Una sedia a dondolo e un piccolo portariviste bloccavano la porta del bagno. «Sei sicuro che i pompieri non abbiano spostato i mobili?»
Heller annuì in silenzio mentre riponeva le boccette nel loro scomparto. «Uno degli uomini di Loman ha raccolto le deposizioni di tutti i pompieri.»
Mallory indicò un cuscino del divano appoggiato contro la parete di fronte. Un grosso pezzo di rivestimento era stato asportato. «E quello, che cosa significa?»
«Ho tagliato via un pezzo bruciacchiato e l'ho catalogato. È la prima cosa che l'assassino ha cercato di bruciare. Avrebbe dovuto prendere fuoco come una torcia. Il divano probabilmente è stato acquistato fuori dallo Stato, dove i rivestimenti in materiale ignifugo sono obbligatori. Altrimenti, in quattro minuti sarebbe bruciato tutto.»
«E le prove sarebbero andate distrutte» disse Rilcer. «Forse era proprio quello che voleva.»
«Il nostro uomo puntava a un incendio rapido e controllato, tanto fumo ma danni contenuti. Ha fatto molta attenzione a sgombrare l'area attorno al falò.»
Mallory era d'accordo: quell'uomo voleva che il suo lavoro fosse notato, non che andasse distrutto. Per terra c'era un mucchio di stoffa umida e lustrini. «Su questi vestiti ci sono segni di bruciature.»
«Un altro tentativo» disse Heller. «Ha cercato di bruciarli, ma gli è andata male di nuovo. La legge prevede materiali non infiammabili per i costumi teatrali. Alla lunga però anche quelli prendono fuoco, come tutto il resto. Ma il nostro uomo aveva fretta, così ha raccolto tutte le cartacce che ha trovato in giro; ha bruciato persino la tenda della finestra.»
«Quindi non è un piromane esperto ma un principiante.» Riker si piegò per esaminare il mucchio di vestiti che non erano ancora stati catalogati fra le prove. «Ho passato quattro anni nella Buoncostume. Non ho mai visto una prostituta con un guardaroba così.» Sollevò un indumento a cui erano state applicate delle ali rivestite di lustrini. «Ho già visto qualcosa del genere. Credo fosse giugno. La rassegna "Shakespeare al parco", Sogno di una notte di mezza estate. Meraviglioso.»
Heller, la faccia stupita, si voltò a guardare Riker. Tutto si sarebbe aspettato tranne che quell'uomo amasse il teatro.
Riker scosse la testa, poi si corresse: «No, era ottobre, la sfilata di Halloween».
Il medico legale sospirò continuando a sistemare gli strumenti.
Mallory osservò la collezione di insetti catalogati sul tavolo. Heller sbagliava: il tenente Coffey non avrebbe mai pagato un entomologo. E avrebbe fatto del suo meglio per disfarsi di quel caso. Fra i contenitori delle prove ammucchiati vicino alla porta c'era un sacchetto di candele votive. Ce n'erano almeno una ventina, di varie forme, tutte ricoperte di polvere per le impronte.
«Le candele appartenevano all'assassino?»
«Sì, facevano parte del suo piccolo rituale» Heller indicò la zona sotto il lampadario. «Vedi quella cera?» Dove l'incendio non aveva attecchito, un cerchio di gocce rosse era sopravvissuto all'allagamento. «Tracce di cera rossa anche sulla gonna della vittima. Se ne deduce che fosse sdraiata sul pavimento mentre le candele bruciavano. Analizzando gli stoppini si capisce che l'ultimo è stato acceso quindici minuti prima che spegnessero le fiamme, e in quell'intervallo ha impiccato la donna e acceso il falò.»
«Non può essere» intervenne Mallory. «Sono passati altri dieci, dodici minuti prima che tirassero giù Sparrow e la rianimassero. Sarebbe sopraggiunta la morte cerebrale.»
«Il passaggio dell'ossigeno non era completamente ostruito.» Heller prese un contenitore di plastica. Ruppe il sigillo ed estrasse un pezzo di corda. «Se avesse fatto un nodo scorsoio, avrebbe potuto ucciderla in cinque minuti. Ma questo è solo un doppio nodo. Il cappio non si è serrato intorno al suo collo, nonostante il peso del corpo. Soddisfatta?»
Sì, era soddisfatta. Mallory immaginò Sparrow appesa in quella stanza. Cercava di respirare fingendosi morta, aspettando che l'uomo se ne andasse. Una puttana astuta. Aveva sperato di farcela: la finestra era aperta, le luci accese. Qualcuno sarebbe venuto ad aiutarla. Poi i suoi polmoni si erano riempiti di fumo e aveva perso i sensi. Forse si era accorta dell'arrivo dei soccorsi, aveva sentito le voci dei pompieri. Peccato che nessuno avesse aiutato una signora a scendere dal soffitto.
«E il barattolo di mosche?» chiese Mallory.
Heller smise di riporre i suoi strumenti per osservare quel perfetto cerchio di cera. «Un lavoro molto accurato, meticoloso. Anche il tentativo di scotennarla. Non puoi spuntarti i baffi senza spargere peli ovunque, ma non è stato trovato nemmeno un capello sui vestiti della vittima. E le candele, una accanto all'altra, alla stessa distanza. L'assassino è un tipo ordinato, non me lo vedo andare a caccia di insetti.»
Mallory invece sì. Immaginò un uomo che apriva i sacchi dell'immondizia, e aspettava a lungo, pazientemente, con l'insetticida in mano. Probabilmente indossava i guanti per raccogliere le mosche e provava ribrezzo a toccarle.
La porta dello scantinato si aprì e si richiuse di colpo. Il capo della Sezione Crimini Speciali era arrivato. Prima della promozione, Jack Coffey era un uomo dall'aspetto comune, un viso fra tanti, capelli e occhi castani. Ora, a trentasette anni, la tensione del comando lo stava portando alla calvizie. Sembrava più vecchio. Riker notò le mani del tenente, contratte, e contava i secondi prima che Coffey esplodesse.
Lo sguardo del tenente oltrepassò i due uomini per posarsi su Mallory. Era troppo tranquillo quando le rivolse la parola: «Immagina la mia sorpresa quando il tenente Loman mi ha passato il caso di una puttana». Poi la voce si alzò in un grido rabbioso: «Che, tra l'altro, non è nemmeno morta!».
Mallory non sbatteva mai le palpebre. Socchiudeva gli occhi come un gatto e questa sua calma serafica mandava in bestia il suo superiore.
«Il caso torna alla squadra dell'East Side» disse Coffey. «Stasera stessa! Cosa cazzo avete pensato? Questa è un'aggressione, non un omicidio. Loman dice che si tratta di un gioco sessuale finito male.»
Heller teneva gli occhi sulla borsa e scuoteva la testa. «Ho visto diversi ragazzini appendersi per il collo per provare piacere, e anche qualche vecchio, ma mai nessuna donna. Aveva le mani legate…»
«Era una puttana» disse Coffey. «Faceva quello per cui la pagavano. E il bondage faceva parte del gioco.»
«Sparrow non ha mai fatto cose del genere.» Riker lo disse con un tono distratto, casuale.
La reazione del tenente era prevedibile. «Non assegno una squadra a questo caso solo perché c'è di mezzo una tua informatrice.»
Riker alzò le spalle e si accese una sigaretta: avrebbe lasciato fare a Mallory. Coffey non poteva collegarla a Sparrow: l'ultima volta che aveva parlato con lei, Mallory aveva solo dieci anni.
«Stiamo parlando di un serial killer» disse. «La squadra di Loman non ha le competenze.»
Riker inspirò profondamente. Mallory cosa cazzo stai facendo? Stava cercando di farsi levare il caso? Quando mai si era sentito di un serial killer che impicca le sue vittime? Era più verosimile il profilo tracciato da Heller, uno psicopatico meticoloso con l'hobby di collezionare mosche morte.
«Un serial killer?» Coffey si inumidì le labbra, misurando le parole. «Allora, sentiamo.» Si guardò intorno provocatoriamente: «Dove sono gli altri corpi?».
«Archiviati tra i casi irrisolti» spiegò Mallory. «Il modus operandi è lo stesso. Il tipo di corda, i capelli, tutto combacia».
Ora comincia il divertimento. Riker interpretò così il sorriso sul volto di Jack Coffey. Le mani sui fianchi, il tenente squadrò Mallory. «E dove sarebbe il fascicolo relativo a questo caso non risolto?»
«Non l'hanno ancora trovato.»
Riker si rilassò. Mallory sapeva quel che faceva. L'archivio dei Casi Irrisolti era sterminato, comprendeva fascicoli risalenti al 1906. Recentemente era stato trasferito a una nuova sede. Nessuno si sarebbe preoccupato di cercare fra centinaia di scatoloni, solo per fargli un favore.
Il sorriso di Jack Coffey non vacillò. «Quindi hai preso l'informazione dal computer. Mi fai vedere la stampata?»
«Il caso non è nel computer» disse. «I fascicoli antecedenti a una certa data, non sono stati inseriti.»
Con problemi di budget e mancanza di personale, ci sarebbero voluti anni per inserire tutti i dati dei delitti irrisolti dell'ultimo secolo. Mallory poteva cavarsela con questa spiegazione.
Non credere di farmi fesso, diceva lo sguardo di Coffey. «Se non hai mai visto il fascicolo…»
«Me ne ha parlato Markowitz» disse.
«Bene» disse Coffey. «La tua fonte è un morto. Davvero un bel colpo.»
Anche Riker era perplesso: da Mallory si sarebbe aspettato di meglio.
Heller richiuse la borsa degli strumenti con un suono secco. L'attenzione di tutti si concentrò su di lui. Poi si alzò in piedi e disse: «Ero presente quando Mallory sentì parlare di quel vecchio caso d'impiccagione».
Il sorriso di Jack Coffey sembrò evaporare, e persino Riker si stupì.
«Non conosco tutti i dettagli,» disse Heller «e neppure Markowitz li conosceva. Non era un caso suo. Capitò sulla scena del delitto, e non riuscì più a levarsela dalla testa. Un modo davvero insolito per uccidere una persona.»
Heller non avrebbe mai coperto le bugie di qualcuno. Nessuno era credibile quanto lui. Il tenente Coffey alzò gli occhi al cielo, come se cercasse le parole sul soffitto. «Mallory, voglio vedere tutta la documentazione. E fino a quel momento, il caso non impegnerà un solo agente della Crimini Speciali, neanche uno, chiaro?» S'incamminò verso la porta, si voltò e disse: «Puoi disporre del ragazzo che ti ha prestato il tenente Loman, e questo è tutto».
«Due uomini» disse Mallory. «Loman me ne ha promessi due.»
Jack Coffey sembrò quasi divertito. «Due uomini, davvero? Credo che ti abbia presa per i fondelli. Avrai un solo detective, o meglio, mezzo detective. È un novellino, nessuna esperienza. Ed ecco la parte migliore: si tratta dell'idiota che ha resuscitato il cadavere. Cosi la squadra di Loman si libera di una prostituta mezza morta e di un poliziotto fesso in un colpo solo. Che affare, eh?»
"Un punto per il capo" pensò Riker. Jack Coffey aveva bisogno di qualche piccola vittoria, ogni tanto. Adesso che aveva messo a segno un colpo, uscì sbattendo la porta.
Heller si piegò per raccogliere la borsa, poi guardò Riker.
«Ti stai domandando perché Markowitz non ti abbia mai parlato di quel caso di impiccagione?»
«Non parlava mai dei casi aperti.»
«Lo stesso vale per me» disse Heller. «Ero l'unico con cui si confidasse.» Poi indicò Mallory. «Markowitz non le ha mai raccontato niente. Aveva solo tredici anni. La scoprimmo a origliare dietro la porta, se ricordo bene…»
Riker spense la sigaretta. «Ricordi nient'altro?»
«Le mani della donna erano legate. Corda o nastro, non saprei dirlo.»
Heller si alzò, asciugandosi la fronte con il fazzoletto. «L'assassino si era portato la corda per appenderla, proprio come il nostro uomo. Ma perché un'impiccagione?» Prese la giacca dallo schienale della sedia e solo a quel punto notò che, malgrado il caldo soffocante, Riker era l'unico a non essere in maniche di camicia.
Automaticamente, Riker controllò che la sua giacca fosse abbottonata. «E i soldi? Lou sosteneva che il denaro è sempre un buon movente.»
«No» disse Heller. «Fece qualche indagine fuori dall'orario di lavoro ma non trovò nulla che avesse a che fare coi soldi o col sesso.»
«Il cappio stringeva il collo della vittima» intervenne Mallory. «Ma di sicuro non si era buttata da un mobile. L'assassino aveva sollevato il corpo dal pavimento, proprio come è successo a Sparrow.»
«Ma non ci fu nessun incendio» disse Heller. «Niente candele né barattoli pieni di mosche.» Sembrava quasi un'accusa. «E non c'erano capelli nella bocca. Il tuo vecchio non disse niente in proposito.»
Riker si cacciò le mani nelle tasche: «Mallory, perché devi sempre complicare le cose? Hai detto a Coffey che i capelli…».
«Non è un problema» disse. «Senza il nome e il numero di protocollo, nessuno può sperare di trovare quel fascicolo. Non abbiamo neppure una data.»
«Hai ragione» disse Heller. «Quando Markowitz me ne accennò, il caso era già vecchio. Quella vicenda continuò a tormentarlo per anni. Troppe cose non quadravano.»
Alzò le spalle. «Non ricordo altro.»
La porta si aprì e un agente della Scientifica entrò a raccogliere la pila di contenitori di plastica. Heller seguì il suo uomo all'esterno.
Riker diede un'ultima occhiata ai sacchetti di cenere e frammenti. Si intravedevano i resti di alcune riviste e, per chissà quale miracolo, era sopravvissuto anche quel vecchio romanzo. Quando l'aveva recuperato dall'acqua, non aveva nemmeno una bruciatura. Sotto la giacca, all'altezza della fondina, sentiva la pelle umida a contatto con il libro.
Mallory aveva notato l'alone che si allargava sul vestito. Abbassò lo sguardo: «Scommetto che non hai mai usato quel bottone prima d'ora».
Vero, non si era mai preoccupato di chiudere la giacca, ma prima di allora non c'era niente da nascondere.
Bambina impicciona, sempre a notare le cose più strane.
Mallory lo fissava aspettando che dicesse qualcosa.
Una confessione?
Accidenti a lei! Evidentemente, sapeva che aveva preso qualcosa dalla scena del delitto, ma non voleva fare una domanda diretta. Un poliziotto non chiede a un collega: «Hai infranto la legge?».
Riker uscì alla ricerca di una birra fresca e Mallory si trattenne a controllare il lavoro di Heller. La porta non era stata forzata. Non c'erano segni di scasso sulla serratura e anche dopo averla smontata non trovò traccia di forzatura.
Sparrow, perché l'hai fatto entrare?
Sparrow conosceva gli uomini, e sapeva evitare gli squilibrati.
Non era credibile che il collezionista di mosche morte fosse un cliente. Il suo radar l'avrebbe messa in allarme, a meno che non fosse disperata o in crisi di astinenza. Allora avrebbe aperto la porta a qualsiasi spacciatore, anche al più ambiguo. Ma il dottor Slope non aveva trovato tracce di droga, e non erano saltate fuori siringhe.
La puttana tossica si era sempre preoccupata di tenere una scorta di siringhe nuove. Da bambina, Kathy Mallory ne aveva rubate scatole intere da una clinica. Regali per Sparrow.
Mallory sfiorò con la mano uno strappo nel cuscino del divano e notò qualcosa che gli uomini di Heller non avevano notato. Scavò nello strappo e trovò un pettinino d'avorio, finemente cesellato. Sparrow lo portava sempre fra i capelli. Le incisioni orientali erano elaborate ed eleganti. Era l'unico oggetto di valore che non avesse venduto per comprarsi una dose. Kathy aveva rubato quel fermacapelli antico per pagarsi la prima ora di storie. Ma Sparrow aveva posato il regalo con un sospiro, dicendo: «Piccola, le storie non si comprano, sono gratis».
No. La piccola Kathy aveva scosso la testa. Se così fosse stato, le puttane sarebbero state costrette a mendicare, le loro bugie non avrebbero avuto alcun valore. In realtà, Sparrow non aveva mai capito cosa la bambina cercasse di comprare.
Per quanto tempo si erano tenute compagnia, e perché?
Mallory non aveva ricordi precisi dell'epoca in cui ancora viveva per strada. La memoria andava e veniva, mescolando le cose. Decise che, nel migliore dei casi, Sparrow era stata la brutta copia di una madre morta. Una puttana e nient'altro. Sulla scena del delitto, non l'aveva nemmeno riconosciuta. Riker l'aveva avvertita mentre andavano in ospedale, e l'aveva fatto con mille cautele, come se si trattasse di una sua parente.
Mallory strinse il fermacapelli. Non era finito nello strappo del cuscino per caso. Era stato seppellito lì intenzionalmente. Sparrow aveva avuto tempo di nasconderlo, ma quando? Mentre l'assassino bussava alla porta? Oppure era già entrato in casa? C'era stato tempo per fare conversazione? Per tentare di convincerlo a non ammazzarla?
Fissò il lenzuolo sul vetro rotto. Perché l'uomo aveva bruciato la tenda prima di fuggire?
Volevi un pubblico che assistesse al tuo lavoro. Non solo i poliziotti, una vasta platea. La fama, è questo quello che volevi? Sì, aveva perfino lasciato un autografo, una firma fatta di mosche morte.
La porta si aprì. Mallory si alzò e vide Gary Zappata. Il pompiere era impalato sull'uscio. La maglietta senza maniche e i calzoni erano più piccoli di una taglia per mettere in mostra il fisico atletico. I capelli scuri erano pettinati all'indietro, ancora bagnati dopo la doccia. Puzzava di colonia.
«E la scena di un delitto, Zappata. Hai dimenticato le regole?» Mallory indicò la porta: «Sparisci».
«Sono qui per aiutare». Chiuse la porta ed entrò. C'era arroganza nel suo sorriso e in ogni gesto. «Allora, detective?»
«Sto lavorando. Cosa vuoi?»
Zappata agganciò i pollici ai passanti della cintura e si avvicinò al divano. «Sto cercando di far quadrare i conti.»
«Non farmi perdere tempo. Se sai qualcosa, dilla e falla finita.»
Adesso Zappata era irritato, ma si sforzò di sorridere. «Io posso aiutarti, Mallory. So delle cose sull'incendio. Per esempio, le candele non c'entrano nulla.»
«Bella scoperta. Grazie per essere passato di qui.» Mallory gli voltò le spalle per esaminare il muro annerito. Dopo un istante, si voltò. Ancora lì?
Il pompiere la ignorò e si buttò sul divano. «Non è un professionista.» Appoggiò una gamba al bracciolo, per farle capire che si sarebbe fermato per un po'. «Un vero piromane avrebbe collegato dell'esplosivo alla porta.»
«L'hai imparato alla scuola dei pompieri?»
Zappata non gradì che gli ricordassero che era nuovo del mestiere. Anche quando era in polizia, la sua carriera non era durata abbastanza perché cessasse di essere una recluta. «Ascolta, Mallory…» Era un ordine. «Non è nemmeno un assassino professionista. I veri killer tendono a ripetere ciò che ha funzionato in passato. Il nostro uomo è sicuramente un principiante.»
Il nostro uomo?
Mallory guardò la finestra e vide una sagoma maschile oltre il lenzuolo. Dalla forma del cappello, sembrava un poliziotto in divisa. Riker doveva aver messo qualcuno di guardia, contravvenendo agli ordini di Coffey. Zappata si alzò dal divano per raggiungere il mucchio di vestiti colorati. Sollevò il costume luccicante che anche Riker aveva notato.
«Chissà come le stava.»
«Lascia stare.» Mallory attraversò la stanza, dirigendosi verso Zappata. Lui indietreggiò verso la porta, stringendo il costume al petto.
«Non toccare le sue cose!» Gli strappò il vestito di mano. «Vattene!»
Zappata era sul punto di aprire la porta quando notò l'ombra del piantone. Si avvicinava. Poi sentì dei passi lungo le scale di cemento che conducevano alla porta dello scantinato.
Il pompiere era nervoso come una scolaretta preoccupata di perdere la reputazione. Gonfiò il petto per ritrovare un po' di spavalderia.
«Qui ho finito, stronza!» urlò Zappata, aprendo la porta. Quindi uscì dall'appartamento come se fosse stata un'idea sua.
Mallory si chiese se i suoi colleghi pompieri sapessero che quella recluta era un autentico codardo. Ma si dimenticò subito di lui. Bastò uno sguardo al fermacapelli che aveva in mano.
Sparrow, come è entrato l'assassino? Ti ha portato dei regali, come facevo io?
Il sergente Riker sentì odore di cibo. Il suo stomaco gorgogliò non appena mise piede fuori dall'ascensore. Il piano era diviso in due. Da un lato l'appartamento di Charles Butler, dall'altro, un'agenzia di consulenza grazie alla quale Kathy Mallory regolarmente infrangeva la legge. Impiegava le ore libere indagando sul conto di personaggi tanto dotati quanto instabili, selezionandoli per posizioni professionali ad alto livello.
Il tenente Coffey le aveva ordinato di lasciare l'agenzia e Riker, quella sera, ammirò l'elegante soluzione trovata da Mallory. C'era una nuova targa appesa alla porta: quella che prima era la Mallory & Butler Ltd adesso era la Butler & Company. Era diventata un partner invisibile.
Attirato dal profumo, il detective attraversò il corridoio, diretto all'appartamento di Butler. Secondo il suo fiuto per il cibo da asporto, si trattava di cucina cinese. Prima che potesse bussare, la porta si aprì e si trovò di fronte a Charles Butler.
L'uomo era più alto della media e anche il naso era fuori misura, un naso sul quale avrebbe potuto comodamente posarsi un piccione. Gli occhi sporgenti, le palpebre pesanti, le piccole iridi blu, davano a Charles uno sguardo spaventato, simile a quello delle rane e dei cavalli imbizzarriti. Dal collo in giù, madre natura era stata generosa con quell'uomo. Il corpo di Butler era ben fatto, proporzionato e potente.
«Ciao, Riker.» Quando sorrideva sembrava un pazzo, anche se del tipo affascinante. Butler ne era consapevole, per questo sorridere lo imbarazzava.
«Allora, come va?» Riker notò che l'amico stranamente non indossava giacca e cravatta, ma portava una camicia di jeans che profumava di soldi. Si capiva da come gli donava. Probabilmente Mallory gli aveva presentato il sarto che le cuciva i jeans su misura. I due soci avevano qualche difficoltà con il concetto di abbigliamento sportivo.
«Ho sentito che sei in vacanza.»
«Sì, è un'idea di Mallory.» Charles si tolse dagli occhi una ciocca di capelli castani. Dimenticava spesso l'appuntamento con il barbiere. «Niente clienti fino all'autunno.» Improvvisamente sembrò preoccupato: «Mallory sta bene vero? Non sei venuto per dirmi che…».
«Sta bene. Avrei dovuto chiamare, scusa.» Riker era sinceramente dispiaciuto. Charles doveva aver pensato che fosse venuto a comunicargli la prematura morte di Mallory. «È tardi. È meglio che vada.»
«Che sciocchezza. Sono contento di vederti.» Charles si fece da parte per lasciar entrare l'ospite. «Ero preoccupato perché avevamo prenotato un ristorante, ma non era in casa quando…»
«Non ha chiamato per avvisarti? La sgrido io, stai tranquillo.»
Ecco spiegato il profumo di cucina cinese nella casa di un ottimo cuoco. Riker attraversò l'ingresso e si fermò in soggiorno. «Ti ha rifatto l'impianto stereo, vero?»
«E come lo sai?»
«Sono un detective.» La perfezione era la firma di Mallory. Aveva reso invisibili l'apparecchiatura, i cavi e le casse. Il suono era straordinario e ti dava l'impressione di avere un'orchestra nel cervello. Nella macchina di Mallory non esistevano CD e Riker si era sempre domandato che razza di musica potesse piacerle.
«Bevi qualcosa?»
«Una birra, grazie.» Riker sprofondò nel divano mentre Charles attraversava l'austera sala da pranzo per andare in cucina. Nonostante fosse stato in quell'appartamento parecchie volte, passò in rassegna la stanza arredata con preziosi mobili d'antiquariato, dalle pareti coperte di pannelli di legno. Libri e giornali erano impilati sulle sedie, segno che Charles aveva troppo tempo libero. Trovò quello che stava cercando: una ciotola di noccioline parzialmente nascosta da un giornale. Le aveva già divorate al ritorno di Charles, che portava le birre in due boccali ghiacciati. Chiunque tenesse i boccali per la birra nel freezer poteva contare sull'eterna amicizia di Riker.
«Sai…» Prendendo la sua birra, il detective vide un biscotto della fortuna sul tavolino accanto al divano. «Non è esattamente una visita di cortesia.» Afferrò il biscotto, poi, ricordandosi le buone maniere, chiese: «Ti dispiace?».
«Fai pure.» Charles si sistemò sulla poltrona. «Cosa posso fare per te?»
Riker sbottonò la giacca e mostrò il libro bagnato.
«Puoi sistemarlo?»
Charles osservò cowboy e pistole sulla copertina fradicia. L'espressione del suo viso era l'equivalente educato di Merda. Abbozzò un sorriso. «Credo di sì, ma occorrerà un po' di tempo.»
«Non c'è fretta.» Riker aprì il biscotto e guardò il foglietto cadere sul pavimento. Non lo raccolse: Riker era tra i pochissimi al mondo che mangiava quei biscotti, invece di limitarsi a leggere la frase all'interno. Si guardò intorno cercandone un altro.
Charles si allontanò per un attimo, e quando ricomparve portava un panino avvolto in un tovagliolo. Riker fu felice di scambiare il libro bagnato per un panino con il roast beef. Un secondo dopo la sua felicità era dissolta: Charles stava sfogliando il libro, e Riker notò un pezzo di carta incollato alla copertina.
Se non fosse stato così stanco e affamato, avrebbe pensato di esaminare il libro prima di consegnarlo. «Che cos'è?»
«Una ricevuta.» Charles delicatamente staccò il pezzo di carta. «E di Warwick libri usati. Strano. Credevo di conoscere tutte le librerie di Manhattan.» Chiuse il libro e fissò la copertina sbiadita. «Sembra che per te sia importante.» Era troppo discreto per chiedere perché.
«Non se ne trovano più. È uscito di stampa quarant'anni fa. È l'ultimo libro scritto da Jake Swain.» Riker divorò il panino, scolò la birra, cercando le parole. Lo sceriffo Peety cavalca ancora. Come si chiamava l'altro personaggio? L'aveva dimenticato, sperava di averlo cancellato dalla mente per sempre.
«È meglio che mi dia da fare prima che si asciughi.» Charles si alzò e passò nell'altra stanza.
Riker lo seguì in biblioteca. I muri erano alti più di tre metri, rivestiti da un mosaico di copertine di pelle. Una porta ricavata nella scaffalatura conduceva a un'altra piccola stanza.
Barattoli di colla, rotoli di carta, pennelli, pinzette e rocchetti di filo erano sistemati su un lungo tavolo dove il bibliofilo riparava i libri della sua collezione. Charles spostò dei volumi istoriati d'oro per fare spazio a un tascabile costato cinquanta centesimi.
«Non devi dire nulla a Mallory» disse Riker. «Devi promettermelo. Il libro è suo, non voglio che sappia che l'ho rovinato.»
Charles era una di quelle persone che è meglio non far sedere al tavolo da poker. Era trasparente. Ora stava pensando che Riker mentiva. L'ufficio oltre il corridoio conteneva tutti i libri di Mallory. Quasi tutta informatica, niente narrativa. E prima di lasciare il college per entrare nella polizia, aveva frequentato la prestigiosissima Barnard per due anni. Quel libro non poteva appartenere a lei.
«D'accordo.» Charles si allungò per prendere la carta assorbente da una mensola sopra il tavolo da lavoro. «Non sei mai stato qui. Questa conversazione non è mai avvenuta.»
«Grazie.» Riker sapeva che nel frattempo Charles aveva messo in moto il cervello e cercava di capire che cosa stesse accadendo.
Staccò il blocco di pagine dal dorso. Il nervosismo del suo ospite era evidente. «Non preoccuparti. Tornerà come nuovo.» Dopo aver messo da parte la copertina, tolse la prima pagina di pubblicità per osservare meglio la successiva. La sua faccia diceva che adesso tutto era chiaro. «Non posso asciugare questa pagina, l'inchiostro scolorirebbe completamente. Posso salvare la dedica, ma la firma di Louis è andata.»
«Cosa?» chiese il detective sforzandosi di dissimulare la propria sorpresa.
«Questa è la calligrafia di Louis Markowitz, giusto? Immagino saranno guai quando Mallory vedrà il disastro.»
Riker osservò la dedica scarabocchiata nella strana grafia del suo vecchio amico, e sotto la macchia blu della firma. «No. Mallory non ne sa niente. Contavo di farglielo avere fra qualche giorno.»
Charles lesse la dedica. «Così è un regalo di Louis per Mallory. Davvero carino. Pensato perché lei lo ricevesse dopo la sua morte, una specie di addio postumo.»
«Sì, qualcosa del genere.» Falso. Quando aveva scritto quella dedica, Louis Markowitz non pensava alla propria morte. Aveva davanti a sé ancora molti anni, tutto il tempo necessario per allevare Kathy Mallory. Il vecchio doveva essersi dimenticato dell'esistenza di quel libro, e così Riker, finché non se l'era ritrovato di fronte nell'appartamento di Sparrow.
«Il funerale di Louis non è cosa recente.» Charles usò pinze e tamponi per fissare la pagina a una tavola, poi accese una piccola stufa grande quanto una mano. «Non è un po' tardi per darglielo?»
«Sì.» Riker si stava lentamente riprendendo dallo shock. Un morto aveva sostenuto la sua bugia, quindici anni prima che venisse pronunciata.
Un'ora dopo, la stanza era invasa dalle pagine del libro avvolte nella carta assorbente. Solo la pagina con la dedica era in bella vista. Il detective fissò lo scarabocchio di inchiostro blu, le parole di un uomo che aveva amato una piccola vagabonda. Evidentemente Lou aveva scritto quelle parole nella convinzione che la bambina fosse andata, morta. Eppure si capiva che non aveva rinunciato a sperare che Kathy potesse tornare.
Riker lesse la dedica ancora una volta.
«C'era una volta una bambina. No, cancella. Sei sempre stata molto di più. Bisognerebbe metterti in musica – le note del fottuto inno nazionale – per essere sopravvissuta a tutte quelle notti terribili. Eri il mio mito.»
Dopo che Charles ebbe augurato la buonanotte a Riker sulla porta dell'ascensore, vide uno spiraglio di luce filtrare dalla porta della Butler & Company. Mallory? Non la vedeva dall'inizio di giugno. Entrò in ufficio, sforzandosi di non correre. Attraversò la reception e percorse lo stretto corridoio fino alla stanza di Mallory, dove c'erano i computer. Si fermò sulla soglia. Vide la schiena della sua socia. Sedeva di fronte a uno dei tre computer. La maggior parte dell'ufficio era avvolto nell'ombra a eccezione dei capelli di Mallory, illuminati da una lampada.
Cosa poteva dirle? Sicuramente non si sarebbe scusata, non avrebbe nemmeno accennato alla cena mancata. Rapita dalle sue macchine, era indifferente a ogni altra cosa. Anni prima, lui aveva scritto un saggio piuttosto poetico sulle doti di Kathy in campo informatico. Nel corso della sua carriera aveva studiato molte persone in grado di utilizzare la tecnologia a proprio vantaggio. Ma lei era diversa. Aveva la sensibilità di un compositore, fondeva competenze tecnologiche, matematiche e musicali per comporre partiture adatte a strumenti elettronici.
In seguito, dopo aver conosciuto i particolari della sua infanzia, quella visione si era alterata e incupita. Il suo passato era la causa di quel talento per ciò che era freddo e alieno. E la sua intimità con le macchine lo spaventava.
Non era sempre stato così categorico a proposito dei computer. Ma adesso li vedeva come soldati perversi capaci di sequestrare Mallory. Aveva cercato di smorzare la loro influenza, introducendola alla raffinatezza delle cose antiche. Mallory aveva resistito, occupando la cucina dell'ufficio con l'orribile tecnologia che Charles detestava. Aveva addirittura invaso il suo appartamento con un attacco a sorpresa e aveva rifatto l'impianto stereo. La perfezione del suono, il telecomando, l'avevano sedotto, per qualche tempo. Ma adesso era tornato sulle sue posizioni e fantasticava di riuscire un giorno a scollegare tutti i computer, Mallory compresa.
Una bella lotta.
Quando Charles si avvicinò, Kathy non alzò gli occhi dallo schermo. Fissava il monitor, concentrata nella semplice trascrizione di un testo scritto a mano. Tutta quell'angoscia per niente.
Punti interrogativi tra parentesi punteggiavano lo schermo luminoso. Sul tavolo di metallo c'era un consunto blocco per appunti, aperto a una pagina macchiata di caffè e solcata dall'inchiostro blu di una vecchia penna stilografica.
Per la seconda volta in quella notte Butler si trovava a fissare la calligrafia di un vecchio amico. Mallory stava decifrando gli scarabocchi del padre adottivo: le uniche parole leggibili con chiarezza erano nastro adesivo e corda.
Sollevò il viso verso di lui, e si scambiarono una specie di saluto. La guerra tecnologica non aveva rovinato il loro rapporto. Si salutavano e si sorridevano al di sopra dell'incolmabile distanza che li separava.