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La stanza era piena di sole. Le pentole di rame tappezzavano un'intera parete. Sugli scaffali, un'infilata di contenitori, una fornitura di spezie impressionante, e ogni genere di utensile da cucina dal gusto un po' retrò. Charles Butler accese la fiamma sotto la caffettiera. Indossava la camicia e i jeans del giorno prima e aveva gli occhi gonfi. Aveva lavorato tutta la notte per Mallory, su quel vecchio western, anche se lei non lo avrebbe mai saputo. Riker non riusciva a spiegarsi l'infatuazione non corrisposta di quell'uomo per Mallory. Charles era un esperto in fatto di psicologia deviata, doveva sapere chi si trovava di fronte.
Il detective si mise a sedere al tavolo della cucina e aprì il libro alla pagina dove c'era la dedica. A parte la firma di Lou Markowitz, andata persa, il libro non era sciupato, e per un momento pensò davvero di regalarlo a Mallory. «Come nuovo, un tocco magico…»
«La carta era piuttosto fragile.» Charles apparecchiò il tavolo con tazze da caffè e forchette. «Ho dovuto trattarla con un polimero particolare perché le pagine non si sbriciolassero. Naturalmente questo fa perdere valore a un libro raro. Così ho fatto qualche ricerca.»
Non scherzava. Riker osservò la pila di volumi sul tavolo della cucina, la bibliografia di un avido collezionista. Tra i molti titoli intravide Il ruolo del western nella letteratura americana. «Il libro non ha valore, vero?»
«Esatto.» Charles posò il vecchio scontrino della libreria di Warwick accanto al libro. «Non capisco perché Louis abbia pagato una somma simile.»
«Te l'ho detto, era difficile trovarli. Gli ci volle un bel po' di tempo per scovare questo.»
«Sicuramente incaricò un professionista. Anch'io lo faccio ogni tanto. Ecco spiegato il prezzo.» Charles indicò la data sulla ricevuta sbiadita: «Non è l'anno in cui Louis ha adottato ufficialmente Mallory?».
Riker si sentì mancare la terra sotto i piedi. Non si pentiva di aver rubato il libro, aveva rischiato il distintivo ma l'avrebbe rifatto. No, il suo grande errore era stato quel momento di debolezza in cui aveva deciso di non distruggerlo. Il secondo errore era stato portare il libro alla persona che amava Mallory. «Apprezzo molto il tempo che…»
«Non che avessi di meglio da fare.» Charles mise due fette di torta sul tavolo, poi spense il fornello sotto la caffettiera. «Non mi interessano le vacanze… A proposito, dimenticavo: ho rintracciato tutte le opere di Jake Swain. Sai che ha scritto altri undici libri?»
«Sì, lo sapevo.» Riker si domandò quanto potesse dirgli senza rischiare di svelare l'intero pasticcio.
Charles versò il caffè nelle tazze e si sedette all'altro capo del tavolo.
«È interessante che Louis abbia assoldato un professionista pur di avere quel libro.» Era soltanto curioso, non aveva sospetti, non ancora, almeno. «Doveva volerlo a tutti i costi.»
Un fatto molto strano. Charles e Louis Markowitz avevano buon gusto in fatto di narrativa, condividevano una lista di autori piuttosto rispettabili, certo più autorevoli di Jake Swain. Forse Butler sospettava che quel brutto romanzo rappresentasse una specie di scherzo tra Mallory e il suo padre adottivo.
«No,» disse Riker «è stato il proprietario della libreria a trovarlo.» Sorseggiò il caffè e sentì in bocca un sa pore amaro.
«Dimmi, come hai saputo degli altri libri di Swain? È un autore pressoché sconosciuto. Te ne ha forse parlato Louis?»
«Louis li aveva letti tutti.» Riker sapeva che non gli avrebbe creduto, anche se diceva la verità.
Charles era sbigottito. «Perché avrebbe dovuto leggere libri… di questo genere?»
Riker infilzò un pezzo di torta. «Perché si tratta di alta letteratura?» azzardò.
«No, non direi. Posso?» Charles aprì il western e si concentrò sulle pagine finali. «Nell'ultimo capitolo si parla di uno scontro a fuoco piuttosto curioso.»
Charles non aveva bisogno del libro, che evidentemente aveva letto per rinfrescarsi la memoria: sfogliava le pagine e assimilava tutto. Aveva una memoria notevole. Eppure, si considerava un uomo come tanti. Anzi, cercava sempre di sembrare meno brillante, meno geniale di quanto fosse realmente. Riker si domandò se non fosse anche un po' colpa sua. Forse doveva smettere di chiamare "marziani" i clienti della Butler & Company. Dimenticava che anche quell'uomo proveniva dallo stesso pianeta.
«Ecco qui.» Charles guardò la pagina. «Prima di tutto, la pistola emette una fiamma rossa, come un lanciafiamme. La folla esulta e il sindaco tiene un breve discorso. Poi, dall'altra parte di Main Street, una vecchia ballerina sviene quando sente il suono del proiettile che penetra nel corpo dell'avversario.» Fissò il suo ospite. «Considerando tutto quello che succede, ci sono sei minuti fra il momento in cui parte il colpo e quello in cui colpisce il bersaglio.»
Chiuse il libro dicendo: «Altamente inverosimile».
Riker sogghignò. «Parli così perché non hai mai visto Lou al poligono di tiro. Potevi aspettare anche tutto il giorno prima che un suo proiettile colpisse il bersaglio.» Sorseggiò il caffè, cercando delle parole che non suonassero false. «Ci sono due sparatorie in ogni libro.» Ora ricordava il nome del fuorilegge. «Non ho mai letto questo libro in particolare, ma credo che l'ultima sparatoria sia quella tra lo sceriffo Peety e Wichita Kid.» Scosse la testa. «Ecco come finisce.»
«Li hai letti anche tu?»
«Sì, più o meno.» Aveva dovuto leggerli. Lou Markowitz voleva la sua opinione: non riusciva a capire per quale motivo una bimba di dieci anni fosse tanto appassionata di quei western di serie B.
Charles era scettico, convinto com'era che il detective avesse gusti più raffinati.
«Nel primo libro,» disse Riker «lo sceriffo Peety guarda questo ragazzino crescere nell'anonima Franktown, nel Kansas. Il bambino e sua madre sono arrivati un giorno sulla diligenza per Wichita.» Cominciava a ricordarsi la storia. «Il bambino segue lo sceriffo come un'ombra. Peety comincia a chiamarlo Wichita Kid. Un nome da fuorilegge. Uno scherzo, capisci? Ma il ragazzino ama quel nome, ne va molto fiero. Dopo qualche tempo, Wichita Kid riceve la sua prima pistola "una vecchia arma arrugginita pagata un dollaro".» Riker aveva finito la torta. «Il giorno del quindicesimo compleanno del ragazzo, lo sceriffo si sveglia nel bel mezzo di una sparatoria. Corre in strada.» Il detective abbassò gli occhi, per mostrare a Charles un corpo sul pavimento. Uno straniero a Franktown, un cowboy disarmato steso sulla schiena in una pozza di sangue.
«I suoi occhi senza espressione fissavano il sole.» Riker constatò con sorpresa che stava citando a memoria. «E indovina chi c'è vicino al corpo?» La sua mano mimò una pistola. Soffiò il fumo dal dito. «Wichita Kid. La sua situazione peggiora quando Wichita ruba un cavallo e sparisce. Nel capitolo successivo, lo sceriffo sella uno stallone nero. Si prepara a seguire il ragazzo.» Riker aveva finito anche il caffè. «Lo sceriffo Peety ci vede a malapena, gli occhi offuscati dalle lacrime. Vuole bene al ragazzo. Ma Wichita ha ucciso un uomo e per questo va impiccato. Alla fine del libro Wichita è in trappola sul bordo di un canyon. È un gran salto, centinaia di metri. Eppure nel libro successivo l'inseguimento continua.»
«È una serie a episodi, i personaggi sono sempre gli stessi?»
«Sì, e tutte le storie finiscono allo stesso modo. Credo sia per questo che il lettore si appassiona.»
Charles annuì, poi fece scivolare il libro sul tavolo.
Il detective lo afferrò e se lo mise in tasca, come se fosse un libro sporco, invece che pericoloso.
La regina di ghiaccio entrò.
La recluta Ronald Deluthe osservò una bella donna che entrava in ufficio. Era sicuramente ricca, indossava un paio di scarpe da ginnastica molto costose. Sicuramente spendeva parecchio dal sarto e dal parrucchiere. Si chiese se fosse corrotta.
Che occhi verdi hai. Come sono freddi.
Mallory non lo notò. Il suo sguardo trapassò Deluthe ma lui non se la prese. Per lei era un ragazzo qualunque con i capelli tinti di un giallo volgare. Non era una questione di grado.
La recluta si rimise al lavoro, completando il rapporto sul perché il camioncino della televisione fosse arrivato sulla scena del delitto prima dei pompieri. Questa volta il detective Riker non avrebbe avuto niente da ridire.
Mallory si fermò a leggere il biglietto sul retro del computer di Deluthe. Qualcuno l'aveva appiccicato alla giacca della recluta e lui se n'era accorto solo togliendosela. C'era scritto «Rianimatore di puttane morte». Sportivamente aveva appeso il biglietto in bella vista, guadagnandosi i sorrisi di alcuni detective.
Mallory, però, non lo trovava divertente.
Strappò il foglio dal computer, lo appallottolò e lo buttò sulla tastiera.
Deluthe alzò lo sguardo quando Mallory si allontanò. Disse: «Signora?».
Troppo ossequioso?
Lei lo ignorò, come del resto facevano tutti i detective. Lasciò perdere il rapporto e la inseguì lungo il corridoio. La raggiunse in un'ampia stanza senza finestre. I muri erano rivestiti di sughero, tappezzati di fotografie e documenti. Qualche ora prima, un detective gli aveva fatto fare il giro della Sezione, dal bagno degli uomini alla sala da pranzo, ma non gli aveva mostrato quel posto. Alcune sedie pieghevoli erano sistemate in cerchio, ma lui non sarebbe mai stato invitato a quelle riunioni.
Sul tavolo vicino alla porta c'erano un grosso televisore e un videoregistratore. Lì accanto, Mallory parlava con un uomo più vecchio, Janos.
Un vero detective.
Deluthe sapeva che non doveva interrompere. Quindi, invece di sbracciarsi come un ragazzino che chiede il permesso di andare in bagno, passeggiò lungo le pareti rivestite di sughero. Osservò le foto e i documenti. Nessuno riguardava la prostituta impiccata. Non era un caso importante, gli avevano assegnato quel rapporto solo per tenerlo occupato. Mallory infilò una cassetta nel videoregistratore. Deluthe si avvicinò allo schermo, attratto dalle immagini della notte precedente. Ora capiva perché il direttore del telegiornale non gli aveva consegnato una copia della registrazione. Quella cassetta era già nelle mani di Mallory.
Il detective Janos fermò l'immagine.
«Quello?» Indicò una figura in piedi in mezzo alla folla, un uomo che indossava jeans e maglietta. «Sì, potrebbe essere l'uomo che la vecchia ha visto sull'albero.»
Deluthe trasalì al ricordo di Emelda Winston e di tutti gli sbagli commessi durante l'interrogatorio. Aveva imparato molte cose dal sergente Riker, era l'unico che si fosse preoccupato di insegnargli qualcosa. Forse anche la corsa a vuoto all'emittente televisiva faceva parte dell'addestramento. Si schiarì la voce prima di parlare con Mallory.
Avrebbe preferito morire piuttosto che balbettare: «Credevo di dover essere io a parlare con i giornalisti. Il sergente Riker mi aveva detto…».
«Sono arrivata prima.» Mallory lo disse senza una particolare inflessione, ma Deluthe ebbe la sensazione di aver sbagliato ancora.
Sicuramente Mallory sapeva tutto ciò che sapeva lui, e anche di più. Un confronto di appunti gli avrebbe soltanto procurato altre umiliazioni. «Ho quasi finito con il mio rapporto.» Un rapporto inutile. «Che cosa faccio adesso?»
«Te lo dico io.» Mallory sorrise.
Lo sfotteva? Sì, e Deluthe incrociò le braccia, aspettandosi che gli dicesse di sparire o peggio.
Mallory sfoderò il taccuino. «Non importa se ti ci vuole qualche giorno. Datti da fare.» Scrisse l'indirizzo di un magazzino e ciò che le serviva. Poi aggiunse: «Potrebbe trattarsi di un omicidio di quindici, vent'anni fa».
Quella vaga indicazione avrebbe dovuto aiutarlo a trovare il materiale di un delitto senza nome né numero di protocollo? Avrebbe potuto cercare per anni e non trovare mai lo scatolone giusto. Di fatto, Mallory gli aveva appena detto di sparire. E il suo sguardo pareva domandare che cosa ci facesse ancora lì.
Deluthe uscì in corridoio salutando mentalmente le pareti. Chissà se avrebbe mai rivisto quel posto.
Qualche minuto dopo salì in macchina: era rimasto senza benzina.
Sono un imbecille.
Deluthe era circondato da poliziotti. Chiunque avrebbe potuto dargli un po' di benzina, almeno per raggiungere il primo distributore. Ma piuttosto di ammettere un altro sbaglio, abbandonò la macchina e s'incamminò verso la metropolitana, sperando di arrivare dalle parti del magazzino. Una volta arrivato, sarebbe invecchiato vagando per i corridoi pieni di scaffalature polverose e vecchi scatoloni di prove.
Puoi scommetterci, imbecille!
Quando raggiunse la banchina, l'ultimo vagone del treno stava scomparendo nel tunnel. Si mise a sedere. L'altoparlante gracchiò, poi avvisò Ronald Deluthe che non sarebbe andato da nessuna parte, non quel giorno. C'era un incendio sui binari e non sarebbe più passato nessun treno.
New York non offre seconde possibilità.
Oltre la vetrina sporca, c'era un uomo alla scrivania. Sembrava sedere su un pulpito, il modo migliore per individuare i ladri fra gli scaffali di libri usati. Quel pomeriggio, però, non si vedevano clienti. La targa sul tavolo diceva «John Warwick, proprietario». Annunciato da uno scampanellio, Charles Butler entrò nel negozio. Accanto alla porta c'erano un tavolo, due sedie e un ventilatore in funzione. Da questo dettaglio Charles capì che Warwick non era un commerciante di libri. Solo chi amasse davvero il proprio lavoro avrebbe sacrificato dello spazio prezioso per creare un angolino tanto accogliente per dei lettori, che forse non avrebbero comprato niente. «Signor Warwick? Ho avuto il suo nome da un amico. Forse lo conosce, è il sergente Riker.»
Warwick lo scrutò per un istante, poi abbassò lo sguardo. Charles fece scivolare un biglietto da visita sul tavolo. Il libraio lo prese e lo avvicinò agli occhi miopi.
«Questo non dice che lavoro fa.»
Era vero. Qualifiche accademiche e diversi dottorati seguivano il nome di Charles Butler, ma il biglietto da visita non specificava la sua professione. Era stata un'idea di Mallory, che lo costringeva a spiegarsi a parole. «Lavoro nella selezione del personale. Valuto le persone con qualità particolari e poi trovo loro una collocazione nell'ambito di progetti governativi o…»
«È uno psichiatra.» Warwick sputò la parola come se avesse un cattivo sapore.
«No, non lo sono.» Charles guardò il biglietto. «Alcune mie qualifiche riguardano lontanamente la psicologia, ma non ho mai praticato…»
«E ora mi verrà a dire che Riker non ha mentito. Giusto, dottore?» Warwick guardava il tavolo quando sussurrò: «E io sono pazzo perché non gli credo. Ho ragione?».
«Non penso che Riker abbia mentito.» Charles abbassò la voce, non voleva che quell'uomo si sentisse minacciato. «Sono sicuro che avrebbe…»
«Altri trucchi.» Warwick raddrizzò la schiena. Gli occhi saettavano da uno scaffale all'altro, poi si incollarono a quelli del visitatore. Fece un respiro profondo, per assorbire energia. La sua voce era più forte. «Dica a Riker…» Gli puntò contro un dito tremolante. «Che è viva!».
«Chi?»
«Non è demenza senile, se è questo che pensa. Prima Markowitz, poi…»
«Louis Markowitz?» ripeté Charles.
«Pensa che potrei dimenticare quel nome? Non c'è niente che non va nella mia memoria, lo dica a Riker.»
«Non sono venuto per metterla sotto esame» sorrise Charles, sapendo che quel sorriso da fesso avrebbe messo Warwick a suo agio. Nemmeno un paranoico poteva considerarlo una minaccia.
Infatti, Warwick si rilassò. «È stato tanto tempo fa, ma ricordo tutto. Era davvero speciale. Di solito sono più grandi quando scappano di casa. Quelli della sua età finiscono negli orfanotrofi oppure adottati. Sa com'è riuscita a sopravvivere? È stata più intelligente di loro. Molto più intelligente.»
«Loro chi? La polizia?»
«Markowitz e Riker. Hanno sorvegliato il mio negozio per giorni. Che fessi.» Warwick sistemò gli occhiali sul naso.
«Pensavano di poterla catturare…»
«Chi? Di chi parla…»
«La ragazzina che amava i western.»
Charles richiamò alla mente una vecchia fotografia, quella che Louis Markowitz portava nel portafoglio. «I capelli della bambina erano biondi, lunghi e mossi?»
«Sì, arruffati e sporchi.» Warwick annuì. «Anche il faccino era sporco.» Gli occhi si persero nel vuoto, stava guardando un ricordo. «I suoi jeans erano sempre arrotolati. I vestiti le andavano grandi, a parte le scarpe da ginnastica di un bianco immacolato. Penso che ne rubasse un paio alla settimana. Markowitz diceva che rubava a occhi chiusi. Ma da me non aveva mai rubato. Prendeva un libro dallo scaffale e posava quello che aveva preso in prestito.» Warwick sorrise con espressione di sfida. «Visto? Non ho dimenticato niente.»
«Quanto durarono gli appostamenti?»
«Due mesi, e non sono riusciti a prenderla.»
Charles ricordava una versione completamente diversa: una sera Louis stava tornando a casa per festeggiare il compleanno della moglie quando si era imbattuto in una bambina che rubava in una macchina. Invece di passare la nottata a riempire verbali, aveva portato Kathy alla festa di compleanno, e sua moglie aveva scambiato la piccola per un regalo. Che bella storia, l'aveva sentita mille volte. Riker non era mai stato nominato e nemmeno i mesi di appostamento.
«Era lei a prestarle i libri:»
«No, no.» Warwick era di nuovo diffidente, temeva le domande trabocchetto. «I libri se li prendeva e basta, come se fosse un suo diritto. Ne prendeva uno, poi lo riportava. Per questo Markowitz era convinto che provenisse da una città di provincia.»
«Che significa?»
«Markowitz diceva sempre che probabilmente dalle sue parti la biblioteca pubblica non era più grande di questo negozio. Mi disse queste esatte parole: "La bambina porta indietro i libri perché sua madre l'ha educata come si deve". Poi quel bastardo le confiscò tutti i western. Tutti tranne l'ultimo.»
«Il libro che ha rintracciato per Markowitz?»
Warwick annuì. «Non è stato facile ma l'ho trovato. Markowitz ha pagato, poi ha posato il libro sullo scaffale, per farlo trovare alla bambina. Ma lei non l'ha mai trovato. Non l'ho mai più vista. L'ultima volta che Markowitz è venuto, mi ha detto che la ragazzina era morta. Ha scarabocchiato qualcosa sul libro e l'ha lasciato qui.»
«Allora lei sa che cosa c'era scritto…»
«Era una lettera d'amore a una figlia morta.» Warwick sospirò, poi si guardò le mani. «Voleva che credessi che era morta, ma era soltanto un trucco. Piangeva, quel giorno. Gli avevo quasi creduto.»
«Interessante» disse Charles. «La bambina dev'essere venuta diverse volte prima che lei la denunciasse.»
«Non l'ho mai fatto. Non l'ho mai tradita.» Il libraio lo disse con molto orgoglio, come se avesse evitato un altro tranello del suo inquisitore.
Sbagliato.
L'orgoglio del libraio derivava dal fatto di aver rispettato una specie di patto non dichiarato con la bambina. Era certo che i due non si fossero mai parlati. «Scommetto che non riuscì mai ad avvicinarla.» Gli vennero in mente le parole che Louis Markowitz aveva usato per descrivere la ragazzina che aveva cresciuto come una figlia. «Sfuggente come un gatto, no?»
Tutto quadrava. Warwick non aveva voluto che la ragazzina fosse catturata e rinchiusa in qualche istituto, com'era successo a lui, probabilmente imbottito di medicinali perché non creasse problemi. Warwick non intravedeva per la piccola Kathy la possibilità di essere adottata o presa in affidamento. No, quell'uomo aveva colto qualcosa di familiare in quella bambina, qualcosa di anormale e oscuro. Una mente malata aveva tentato di…
Charles si avvicinò al libraio. «Aveva capito che era una sbandata, dai vestiti, dai capelli. Ma non l'ha mai denunciata. Perché?»
Riuscì a leggere negli occhi di Warwich. Se mentissi mi crederesti?
Charles dovette fare uno sforzo per non gridare la risposta, Maledizione, sì!
John Warwick reagì come se fosse stato attaccato. Chinò la testa, sollevò le spalle ossute e il mento sparì nel colletto della camicia. Era una tartaruga spaventata.
Come per scusarsi Charles chiese in tono più mite: «Che libri le piacevano?».
L'uomo rilassò il collo, ma lo sguardo scrutava la stanza in cerca di nemici sconosciuti. «Solo western.» Fece un mezzo sorriso. «E solo un autore.» Non era più nervoso, sembrava stanco quando si appoggiò allo schienale della sedia. «Tutte le opere di Jake Swain non sono più in stampa, da tempo. E c'è una ragione. Uno stile tremendo. Ma rileggeva quei western in continuazione. Sempre gli stessi undici romanzi.»
«Per quale motivo?»
«Non saprei.» Il libraio scosse tristemente la testa. «Era così piccola e magra, vulnerabile, sempre sola. Credo che li leggesse per trovare conforto. Sapeva che cosa sarebbe successo, in quei libri.»
Warwick voltò la faccia verso la strada. «Ma non sapeva cosa sarebbe successo lì fuori.»