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Esame autoptico, dal greco autopsia, "vedere con i propri occhi". Da bambina Mallory aveva imparato un po' di greco e di latino da Edward Slope. Frigorifero e lavandini facevano assomigliare la sala dissezione a una cucina. Lunghi tavoli pieni di strumenti. Un vassoio cavo, sopra una piattaforma di metallo, conteneva gli intestini. Un'altra parte del corpo si trovava sul piatto della bilancia. Il dottor Slope scandì il peso ad alta voce, poi spense il registratore. «Salve Kathy.»
«Mallory» lo corresse. Si avvicinò al tavolo d'acciaio e osservò i resti di una donna della sua età. Una profonda cavità rossa si apriva dallo sterno fino al bacino. L'odore di cloro si mescolava alla puzza di carne putrefatta.
Hoc est corpus. Questo è il corpo.
Si era persa quelle parole, la formula con cui si inizia l'autopsia, e ora osservava il procedimento al contrario. Alcuni organi erano stati messi da parte. Quelli che avrebbero seppellito con Kennedy Harper invece venivano rimessi al loro posto. Mallory si sporse per esaminare da vicino dei piccoli fori. «E questi cosa sono?»
«Le vie d'uscita dei vermi.» Puntò la lente d'ingrandimeno sulla clavicola. «Guarda qui, i bordi del foro sono rivolti all'esterno.» La mano avvolta nel guanto insanguinato indicò la pelle martoriata della gola. «C'è però un aspetto più interessante: la corda ha fatto parecchi danni, ma il responsabile non è l'assassino.» Guardò Mallory e attese che l'allievo chiedesse al maestro: "Perché no?".
Se Mallory l'avesse assecondato in quel gioco, ci sarebbe voluta un'infinità di tempo per estorcergli poche informazioni. Slope adorava le lunghe lezioni. Mallory incrociò le braccia, decisa a non dargli soddisfazione.
«Se l'è provocate da sola.» Slope abbassò gli occhi mentre arrotolava l'intestino. «Questa donna ha reagito freddamente.»
Mallory non chiese delucidazioni. Quando ebbe finito di ricucire lo squarcio, il dottor Slope cambiò tattica e disse: «Non assisterai mai più a una autopsia come questa». E la condusse vicino al bancone d'acciaio accanto al frigorifero, dove si tolse il camice insanguinato e lo gettò in un cesto insieme ai guanti. «Ho visto molti morti per impiccagione, suicidi nella maggior parte dei casi, ma mai niente del genere.» Frugò in un plico di fotografie. «Normalmente si trova un segno del nodo dietro il collo.» Prese una fotografia del volto della vittima, con la corda fra i denti. «Ma qui il nodo è davanti. Di solito si tratta di un nodo scorsoio.»
«Lo so.» L'impazienza di Mallory crebbe. Anche lei era presente quando il cappio era stato rimosso. «Un nodo doppio. Heller mi ha già…»
«Che non ha bloccato la carotide. Questo significa che la signorina Harper non ha perso conoscenza.»
«Ipossia cerebrale transitoria» disse Mallory.
«Allora mi ascolti, quando parlo!» Il dottor Slope la ringraziò con un mezzo sorriso e tirò fuori uno schema della scena del delitto. «Io e Heller abbiamo ricostruito gli ultimi minuti di vita della Harper.» Indicò lo schizzo di un bancone. «Qui la squadra di Heller ha trovato impronte di piedi. Nota la distanza dal lampadario.» Fece scorrere il dito sul disegno. «Questo è il punto dov'era impiccata.» Guardò Mallory. «La Harper era ancora viva quando l'assassino ha lasciato l'appartamento. Fingeva soltanto di essere morta. Prima si è tolta i sandali, li abbiamo trovati sotto il corpo. Sollevando le gambe poteva a malapena raggiungere il bancone con la punta del piede. Si è data una spinta e il corpo ha cominciato a dondolare avanti e indietro.»
Il dottore mostrò le fotografie della superficie di formica ricoperta dalla polvere scura per il rilevamento delle impronte. Un primo piano mostrava l'impronta parziale di un piede. «Qui l'impronta è più grossa» disse Slope. «Dondolando il corpo descrive un arco più ampio a ogni spinta. Alla fine riesce a posare entrambi i piedi sul bancone. Ora il peso è distribuito su due punti, i piedi e il cappio. Vedi qui?» Indicò la fotografia di due impronte complete sul ripiano vicino al lavandino. «Si vede tutto il piede. Ha ruotato il corpo fino a ritrovarsi con il cappio sul davanti. Ha infilato il mento nella corda, che però si è incastrata nei denti. Non posso dire per quanto tempo sia rimasta in quella posizione.»
Aspettava che la cavalleria giungesse in suo aiuto, proprio come Sparrow.
«Non è riuscita a togliersi la corda né i capelli dalla bocca» disse Slope. «Avrebbe potuto urlare, ma non emettere suoni articolati.»
I vicini non sono arrivati, i poliziotti neanche.
Il dottor Slope accantonò le fotografie. «Posso dirti che è morta sei giorni fa, ma non è morta soffocata. Ha ceduto il cuore.» Prese un flacone imbustato ed etichettato come prova. «Ho chiamato il suo cardiologo. La Harper aveva un difetto congenito al cuore, e non potevano operarla. Aveva vissuto tutta la vita con una bomba a orologeria nel petto.»
Mallory annuì. «Questo spiega molte cose, vero? Dondolare appesa a una corda e non farsi assalire dal panico. Ce l'aveva quasi fatta.»
Mallory pensava al giorno in cui quella donna era entrata nella stazione di polizia con un biglietto insanguinato al collo. Ma ora aveva due vittime che avevano finto di essere morte mentre il loro cuore batteva all'impazzata. Una strana coincidenza. Si voltò verso il patologo e sorrise.
Non mi stai nascondendo qualcosa, vero?
Il dottore non le avrebbe mai riferito spontaneamente un'ipotesi sulla quale non potesse giurare in tribunale, supportato da prove inconfutabili, ma se pensava che l'autopsia fosse finita si sbagliava, e di grosso. Mallory lanciò un'occhiata alla donna sezionata dall'altra parte della stanza. «Così abbiamo un assassino che non riesce a distinguere i vivi dai morti. Tutto qui? Non hai nient'altro da raccontarmi?»
Il dottor Slope esitò un momento. Credeva di essere un grande giocatore di poker, di avere un viso imperturbabile, capace di non rivelare mai il gioco che aveva in mano. Eppure Louis Markowitz aveva annusato ogni suo bluff e tutto quello che il poliziotto sapeva sul poker e su Slope l'aveva insegnato alla figlia adottiva. Anche se Mallory non riusciva a interpretare il volto di Slope, sapeva cosa stava pensando. Ingrata, ora ti dò una lezione.
Il dottore era seccato, adesso. «Secondo te l'assassino se ne è andato convinto che la vittima fosse morta. Be', io non la penso così. Una volta impiccata, la Harper riceveva ancora ossigeno, anche se non in misura sufficiente a consentirle di rimanere cosciente ancora a lungo. L'assassino se n'è andato immediatamente dopo averla appesa, altrimenti Kennedy non avrebbe avuto il tempo né la forza per compiere quel suo balletto aereo. Insomma, non è rimasto lì a vederla morire.»
Proprio come con Sparrow.
Mallory girò le spalle a Slope e attraversò la stanza, verso il tavolo d'acciaio. Il corpo di Kennedy Harper era percorso da una quantità di brutte cuciture. Mallory, facendo del suo meglio per suonare annoiata, ripeté: «Dimmi qualcosa di utile».
L'autocontrollo del dottore era visibilmente messo a dura prova, e la sua espressione oscillava fra stupore e indignazione. Marciò verso il tavolo e si parò davanti a Mallory. «Credo che il nostro uomo non sia un tipo violento. Può suonare un po' strano, ma…»
«Strano?»
«D'accordo Kathy, può sembrare folle. Però non ha infierito su nessuna delle due donne e neppure…»
«Ha tagliato loro i capelli!!»
«Ma non ha inferto nessuna ferita, nessuna frattura. L'altra vittima, Sparrow, non aveva neppure un livido. Non ha cercato di difendersi. Credimi, Kathy, so quello che un uomo può fare al corpo di una donna.» Il dottore guardò il cadavere disteso sul tavolo. «Ma qui non c'è alcun segno di violenza, non ha perso il controllo, non ha infierito.»
Quell'uomo, pensò Mallory, aveva appuntato al collo della vittima ancora viva un messaggio con una spilla da balia. Mallory stava per dirlo quando il dottore alzò la mano per respingere qualsiasi obiezione.
«Questo non è il mio campo» disse. «Ma all'assassino non importava se le donne fossero vive o morte. Lo so che è un paradosso. A questo assassino non interessa uccidere.»
L'omicidio di Kennedy Harper aveva occupato un'intera parete della sala operativa. Mallory appese le foto dell'autopsia vicino agli schizzi di Heller. Anche Sparrow aveva una parete tutta per sé.
I detective prendevano posto sulle sedie pieghevoli. Quattro uomini si avvicinarono alle apparecchiature audio per ascoltare e riascoltare la voce dell'assassino registrata dall'emittente televisiva. Alzavano il volume nello sforzo di interpretare un rumore di fondo ricorrente: Pssst.
Un uomo contava i secondi sul suo orologio, mentre Mallory seguiva il ticchettio del suo orologio mentale. Quel rumore di fondo si ripeteva ogni venti secondi.
Pssst. Il rumore dell'appretto. Mallory rivide Helen Markowitz che stirava.
Si diresse verso la parete dell'assassino e osservò la foto della sua nuca. Sovrastata da un cappello da baseball circondato di mosche morte.
Pssst.
Janos domandò: «Che ne pensi del nostro spaventapasseri?».
«È così che lo chiamate, adesso?»
«Già.» Si voltò: «Dov'è finito il tuo collega?».
«Torna subito.» Mallory aveva tenuto il conto dei minuti trascorsi da quando Riker era sgusciato fuori dalla stanza. Dopo l'incontro con l'ex moglie nel bar di Peg Baily, ogni momento era buono per farsi un goccio. Le rare volte che gli capitava di incontrarla finivano sempre in una sbronza.
Pssst.
Riker avrebbe trangugiato il bourbon in un sorso. Mallory calcolò che sarebbe rientrato fra poco. Un minuto, stimò, poi un altro minuto per uno scambio d'insulti con il sergente all'ingresso, e avrebbe spalancato la porta della sala operativa.
Riker comparve in quel momento.
Pssst.
Aveva un aspetto decente. Riker si vantava di non barcollare mai alla luce del sole. Sul vestito non c'erano macchie recenti. Riker si sedette accanto a lei e scartò una confezione di caramelle. «Mi sono perso qualcosa?»
«Stiamo ancora aspettando il rapporto.»
Pssst.
Ascoltarono ancora una volta il nastro. Il volume al massimo.
Hanno ucciso una donna all'East Village…
Una voce atona, lontana dalla spavalderia di un uomo in cerca di fama.
…si chiama Kennedy Harper…
L'assenza di qualunque inflessione aveva impedito ai tecnici di stabilire da dove provenisse.
Troverete il corpo al…
L'uomo, così esperto nel predisporre omicidi a effetto, recitava i fatti in un tono piatto, privo di qualunque emozione. Un omicidio, un nome, un indirizzo.
Pssst.
Mallory s'immaginò un uomo freddo, meticoloso, organizzato. Aveva un piano preciso? Fissò lo spaventapasseri sul muro. Cosa diavolo vuoi?
«Ci siamo!» Janos si chinò sul computer: «Lo spaventapasseri viene dal Midwest. Stanno ancora cercando di capire da quale stato. I tecnici dicono che non ha chiamato da un cellulare o da una cabina. Il rumore di fondo potrebbe essere un vecchio umidificatore o un nebulizzatore per le piante.»
Jack Coffey entrò nella stanza e spense il registratore. «Ascoltate…» Le voci si smorzarono e tutti si voltarono a guardarlo. «Il testimone di Riker, Emelda Winston, ha fatto centro. Il nostro uomo era appollaiato sull'albero con la Polaroid.»
Mostrò due sacchetti di plastica, ciascuno contenente una scatoletta con il marchio Polaroid. «Queste confezioni di rullini sono state trovate sulla scena dei delitti. L'assassino ce le ha lasciate intenzionalmente. La scatola che abbiamo trovato oggi è vecchia di vent'anni.» Gettò i sacchetti sul tavolo. «Kennedy Harper è morta sei giorni fa, ormai è ufficiale. Vent'anni e sei giorni fa un'altra donna è stata trovata impiccata.»
Il tenente si voltò verso Mallory. «Era un anniversario. Adesso abbiamo un collegamento concreto con il caso di Natalie Homer.» Indicò Janos. «Tu prendi il caso Kennedy, e tu, Desotho, il caso Sparrow.»
Mallory osservò il viso di Riker che s'incupiva. Non può essere. Come poteva assegnare a un altro detective il caso di Sparrow? Stava alzandosi dalla sedia quando Mallory lo afferrò per la manica e lo rimise a sedere.
«Se non ci restituisci il caso di Sparrow, ci lavoreremo lo stesso.»
La stava ascoltando? Sì, annuiva.
Jack Coffey aveva finito di assegnare gli incarichi, e ora osservava alternativamente Mallory e Riker. «Voi due lavorerete sul caso di Natalie Homer. L'assassino ha riprodotto quel delitto, e voglio sapere dove ha preso le informazioni.» Il tenente fece una pausa, interpretando correttamente l'espressione di Mallory: «Non devi fare la baby sitter di Geldorf. Usalo, ma per favore tienilo alla larga dalla mia sezione».
Lars Geldorf era diventato rauco a forza di spiegare e gridare, il volto esasperato. La sua interlocutrice era una donna piccola, con gli occhi scuri. Una donna sospettosa, che aveva la missione di pulire tutta Manhattan. Prese uno straccio dal carrello di spazzole e disse: «Pulirò l'ufficio di Mallory, adesso». Nulla avrebbe potuto fermare l'intrepida signora Ortega, certamente non quel vecchio, pistola o non pistola.
Il detective in pensione la informò che la stanza non poteva essere pulita finché non avessero risolto il caso. Non si fidava di nessun civile, doveva capirlo. Charles intervenne dicendo alla signora Ortega che si era fatto tardi, poteva anche non pulire quella stanza. Ma la donna rispose: «Ordini di Mallory». La signora Ortega non accettava ordini da nessuno, eccetto che da Mallory.
Geldorf alla fine riuscì a ottenere che Charles rimanesse nella stanza. Poi, molto dignitosamente, lasciò l'ufficio imitato dall'agente di scorta dai capelli gialli.
A quel punto, la signora Ortega accese l'aspirapolvere e disse: «Quel ragazzo ci ha dato dentro con la candeggina».
Charles annuì. «Un colore interessante, magari vuole dirci qualcosa con i suoi capelli.»
«Qualcosa tipo: "Hei, guardatemi, la mia testa è fosforescente".»
«Proprio quello che stavo pensando» disse Charles, poi si voltò verso la parete di sughero. Dove poteva sistemare gli scarafaggi? C'era un unico posto. Sotto ai vermi.
Quando Riker entrò, il tappeto era immacolato. Salutò Charles con un gesto, poi sorrise alla donna delle pulizie. «Salve, come va?» Era contento di vederla, perché aveva modo di esercitarsi con lo spagnolo.
La signora Ortega guardò una macchia sul vestito di Riker, una delle tante, e la pulì con uno straccio imbevuto di solvente. «La prossima volta che si rovescia addosso del bourbon scadente, veda di darsi una sistemata.» La signora Ortega non aveva indovinato grazie all'olfatto: sapeva che Riker aveva un debole per il bourbon scadente.
Ricominciò a spolverare gli scaffali, mormorando: «Ecco in che tasche vanno a finire i soldi che pago in tasse».
«Tra poco arriva Mallory» ridacchiò Riker. «Ha soltanto quindici minuti, signora Ortega.» Riker conosceva i punti deboli della donna, e infatti la signora Ortega raddoppiò la velocità. Non voleva che Mallory trovasse un singolo granello di polvere.
«Non hai finito di raccontarmi la storia» disse Charles. «Cos'è successo a quella bambina indiana dopo che…»
Riker scosse la testa come per dire, No, non adesso, poi lanciò un'occhiata alla donna delle pulizie. Quando la signora Ortega ebbe terminato, Riker cominciò: «Wichita Kid riesce a scappare. Il libro successivo comincia con la morte della bambina indiana». Si appoggiò al muro e guardò la porta.
Temeva l'arrivo di Mallory?
Sì, e intanto forniva a Charles la conferma del fatto che quel libro non era un dettaglio trascurabile. Esisteva un legame tra la prostituta impiccata e una bambina che amava i western.
«Il cavallo di Peety ha spaccato la testa alla bambina» continuò. «A quel punto lo sceriffo smette di inseguire Wichita e riporta il corpo al villaggio. Wichita non sa che la ragazza è morta per salvargli la vita. Continua ad amarla fino alla fine del libro.» Il detective stava per proseguire, quando qualcosa catturò la sua attenzione. Un giornale ripiegato sul tavolo. La scarpa di Riker cominciò a tamburellare a ritmo crescente. Strano, non dava mai segni di nervosismo.
Era il giornale di Charles. Aveva finito di leggere il resoconto dettagliato del caso Sparrow e aveva colto le somiglianze con il delitto di Natalie Homer. Il pavimento della scena del delitto era allagato.
Considerata l'ora e il fatto che il libro fosse bagnato, addesso Charles non aveva dubbi sulla provenienza di quel western intitolato Ritorno a casa. Forse gli era semplicemente caduto dalla tasca mentre si trovava sulla scena del delitto, ma il nervosismo del detective suggeriva una verità che contrastava con il carattere di Riker più ancora del bourbon bevuto in servizio e delle bugie.
Malgrado Charles sospettasse che il libro fosse stato rubato, tutto ciò che disse all'amico fu: «Vieni al dunque, sentiamo come finisce la storia».
Riker guardava la porta; aveva la voce alterata quando disse: «Lo sceriffo Peety viene a sapere di un altro scontro a fuoco, un altro uomo ucciso da Wichita Kid. Lo segue fino a El Paso, in Texas. Alla fine, lo sceriffo sta per finire in, un'imboscata, quaranta contro uno. Sa cosa lo aspetta, sa di non poter vincere, ma continua ad avanzare».
L'appartamento aveva una sala da pranzo, ma Charles preferiva l'intimità della cucina, con un concerto di Bach in sottofondo. Spense la fiamma sotto una salsa di pomodoro, il piatto preferito del sergente Riker. I suoi ospiti non facevano complimenti. Riker e Mallory sedevano al tavolo divorando un'insalata di olive, cipolla e lattuga. Sembrava che non mangiassero da giorni.
Charles prese una bottiglia di Cabernet Sauvignon e la mise sul tavolo. «Non vi deluderà» disse. In effetti, era un'ottima annata. Fece ruotare il bicchiere, dal quale si sprigionava il calore e il profumo della campagna francese. Assaggiò quel vino che aveva il potere di stimolare l'intelletto e sapeva trasformare un idiota balbuziente in una specie di poeta. La prima edizione completa delle opere di Blake costava meno, ma anche quel vino era un capolavoro.
Riker si versò un bicchiere e lo tracannò in un sorso, senza neppure gustarlo.
Dopo un istante, Charles aprì gli occhi. Tornò ai fornelli e disse: «E tutto quello che ho potuto arrangiare in così poco tempo».
«È semplicemente fantastico» disse Riker. Il cibo aveva migliorato il suo umore, e forse anche il vino aveva contribuito.
«Sono contento che vi interessiate a Lars Geldorf.» Charles aprì il forno. Profumo di pane tostato all'aglio. «Cominciava a temere che steste semplicemente cercando di assecondarlo.» Dopo aver posato sul tavolo il cestino del pane, Charles guardò gli ospiti che si servivano avidamente, poi portò spaghetti e polpette. Suggerì a Riker di aggiungere il formaggio grattugiato e gli domandò. «Come si chiama quel detective, quello con i capelli fosforescenti? Era qui un momento fa. Se n'è andato senza salutare.»
«Genero del vice procuratore, ecco come si chiama quel tipo.»
«Ronald Deluthe» grugnì Mallory.
«Lo chiamano Duck Boy.» Riker divorò gli spaghetti, poi sorrise a Charles. «Allora, com'è andata la giornata? Il vecchio ti ha dato dei problemi?»
«Niente affatto.» Si versò un po' di vino e raccolse ciò che rimaneva dell'insalata. «Mi piacciono le sue storie.» Si rivolse a Mallory. «Lo sapevi che tuo padre era stato sulla scena del delitto di Natalie Homer?»
«Sì.» Mallory aprì un taccuino. C'era una pagina con gli scarabocchi di Louis Markowitz. «Guarda qui.»
Charles riconobbe le frasi trascritte da Mallory sul computer. «Louis è rimasto in quella stanza soltanto pochi minuti.»
Riker annuì. «Geldorf aveva già levato i capelli dalla bocca della vittima. Lou non era al corrente di quel particolare.»
Charles lesse le prime righe: «Pensava che l'assassino le avesse ficcato in bocca del nastro adesivo, non dei capelli, ma non dice per quale motivo». Scorse rapidamente le pagine, decifrando senza difficoltà gli appunti di Louis Markowitz. Lou non amava le frasi complesse. Sfrondava i pensieri lunghi, riportando sulla carta solo le conclusioni essenziali. «Rossetto.» Si voltò verso Mallory. «Forse aveva visto tracce di rossetto su un pezzo di nastro adesivo?»
«Che razza di bastardo.» Riker si sporse per prendere una fetta di pane all'aglio e l'intinse nel sugo degli spaghetti. «Lou scriveva in codice di modo che i suoi taccuini non potessero essere ammessi come prove in tribunale. E il materiale di Geldorf? Hai guardato le foto, i rapporti?»
«Non ancora. Lars porterà qui un altro scatolone, domani.»
Mallory rimase con la forchetta sospesa. «Ci teneva nascoste delle prove?»
«Non direi» disse Charles. «Sta ragionando su alcuni spunti che non possono essere definiti prove. Ha detto che non voleva confondervi con particolari inutili. Ha ancora qualche fotografia e degli appunti.»
«Uno scatolone intero» disse Riker.
Charles osservò i due detective. Si rese conto che avrebbe dovuto rispondere semplicemente di sì: Geldorf aveva tenuto loro nascosto qualcosa. «Be', forse ha pensato che non vi avrebbero interessato. Ma quando ha capito che volevate occuparvi del caso…»
«Lascia stare.» Mallory scostò il piatto. «Che cosa hai scoperto finora?»
«Forse un paio di discrepanze e un grosso problema.»
Riker si servì una seconda porzione di spaghetti. «Ne hai parlato con Geldorf?»
«No, ho pensato che potesse offendersi.»
«Bene» disse Riker. «Per qualsiasi cosa rivolgiti a noi, non a lui. Geldorf non è più un poliziotto, è soltanto in visita.»
Mallory posò una mano sul braccio di Charles, e quel gesto ebbe l'effetto di una scossa. Raramente toccava qualcuno. «Qual è il problema?» chiese.
Charles avvertiva una strana sensazione, come se avesse delle farfalle nello stomaco. Si chiese quanto sarebbe durato quel contatto se non avesse mosso il braccio.
Mallory si avvicinò: «Charles, prova a respirare».
«Come?»
Quando capì che il problema non era un boccone andato di traverso, Mallory sollevò la mano dal suo braccio. Charles aveva perso il filo del discorso. Sentiva la faccia scottare. Riker gli rivolse il più gentile dei sorrisi, quello che significava Poveretto.
«Il problema» disse Mallory, impaziente. «Qual è il problema a cui hai accennato?»
Ah già, la serratura dell'appartamento di Natalie Homer. «Secondo le dichiarazioni della padrona di casa, l'odore nel corridoio era insopportabile e lei aveva cercato più volte di entrare nell'appartamento. Aveva le chiavi, ma non riusciva ad aprire quella maledetta porta. Capite, la serratura era stata cambiata oppure ne avevano aggiunta un'altra…»
I detective si guardarono.
«Natalie aveva paura.» Charles fece un'altra pausa. «Qualcuno la pedinava. Forse lo sapete già. Non voglio annoiarvi con dettagli risaputi…»
«Prosegui» disse Riker. «Non ci stai annoiando.»
«Be', la padrona di casa fece un ultimo tentativo per aprire la porta prima di chiamare la polizia. Il primo agente arrivato sul luogo del delitto fece un rapporto dettagliato, ma non menzionò la porta, non dovette buttarla giù. Entrò e basta. Da questo si ricava che una terza persona dovesse aver aperto la porta prima…»
«E Geldorf non ci è arrivato?» Riker riempì di nuovo il bicchiere di vino. «Non è possibile, non me lo vedo tralasciare un elemento così importante. Da qualche parte esisterà una ricevuta per la riparazione di una serratura rotta.»
«Eppure,» disse Charles «ho letto ogni parola del rapporto. Tra la chiamata della padrona di casa e l'intervento della polizia c'è un intervallo di quattro ore. Immagino che non scattino immediatamente i controlli soltanto per via di un cattivo odore. Quindi, in questo lasso di tempo, qualcuno deve aver aperto la porta con la chiave.»
«L'assassino aveva le chiavi dell'appartamento di Natalie» disse Riker. «E stato lui a chiudere dopo l'omicidio. Magari ha dimenticato qualcosa ed è tornato indietro…»
«No» disse Mallory. «Non avrebbe rischiato tanto, non quel giorno, almeno.»
«Sono d'accordo» disse Charles. «Fra il caldo e gli insetti, il corpo era in stato di decomposizione. Il tanfo era insostenibile, lo dice l'agente nel rapporto. Il killer doveva sapere che la polizia sarebbe arrivata da un momento all'altro… E poi era domenica sera. La maggior parte della gente resta a casa domenica sera. Un rischio ulteriore…»
«Va bene» disse Riker. «Poniamo che l'intruso non sia l'assassino.»
«Ma qualcuno in possesso delle chiavi dell'appartamento» disse Charles. «Magari un amante. Vede la scena del delitto, uno spettacolo terribile, che lo turba profondamente, distruggendo il suo equilibrio mentale. Non è l'uomo che ha ucciso Natalie Homer…»
«…ma è il responsabile dei delitti-fotocopia.» Mallory guardò Riker. «Combacia con la teoria dell'anniversario, prima una donna con i capelli biondi come Natalie. Poi Sparrow…»
«Povera Sparrow.» Riker versò le ultime gocce di vino nel bicchiere. «L'assassino l'ha scelta solo perché è una bionda come tante.»
Verso mezzanotte Mallory fece nuovamente il giro dell'isolato. Spense motore e fari, e accostò al marciapiede. Alzò lo sguardo. Una finestra al terzo piano, illuminata dallo schermo del televisore. Era l'appartamento di Riker. Sapeva cosa stava facendo lassù. Fumava una sigaretta dietro l'altra scolandosi del bourbon, la sua medicina per sopportare la mancanza di Angie. Probabilmente non aveva più bicchieri puliti, ma Riker non beveva mai dalla bottiglia, solo gli ubriaconi lo fanno.
Mallory gli tenne compagnia per un po', seduta in macchina, al buio. Il genere di cose che si fanno tra colleghi. Era passato un anno dall'ultima volta che si era ubriacato per via della ex moglie. Mallory l'aveva aiutato a fare le scale, l'aveva sistemato sul letto sfatto, e lui aveva dormito vestito. Lei si era limitata a togliergli le scarpe, la pistola e i proiettili. Riker aveva la sbronza triste, e non sarebbe mai cambiato. Mallory si ripromise di aiutarlo, come aveva sempre fatto. Sempre. La luce al terzo piano si spense.
Notte Riker.
Mise in moto e se ne tornò a casa.
Non si sarebbe ammazzato al buio. È difficile per un ubriaco barcollante e intontito infilare il dito nel grilletto. Non se lo immaginava nemmeno crepare nel bagno, illuminato soltanto dalla luce di un crocefisso di plastica.