173939.fb2 La casa che uccide - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 16

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Dall’alto della scogliera Charlie osservava gli uomini muoversi come formiche tra gli scogli e Dwight Ericson aggirarsi all’estremità di quella nera distesa irregolare, investito dagli schizzi delle onde che s’infrangevano di tanto in tanto sulla costa. Charlie non aveva mai visto il livello della marea così basso. La mattina era fresca e senza vento. Il sole a est non aveva ancora illuminato la parete di roccia dietro a Smart House.

Jake Kluge comparve sul sentiero che saliva dalla spiaggia in pantaloncini e maglietta a maniche corte. Era estremamente muscoloso e in forma, e la scioltezza della sua camminata ora sembrava appropriata al suo fisico. Nonostante avesse corso e si fosse arrampicato per il sentiero, non ansimava particolarmente. Lo salutò con un cenno della mano ma non si fermò. Solo pochi minuti prima Harry era sceso giù per cominciare la sua corsa mattutina.

Charlie pensò a quanto lo irritavano gli uomini che mettevano in mostra i muscoli delle gambe con i pantaloncini corti, che trasformavano la corsa all’alba in una sorta di rituale. Alla fine si diresse nuovamente verso casa e vide Constance che lo aspettava sotto l’ampia veranda. Charlie la raggiunse con la dignitosa e pacata sobrietà di chi è consapevole del proprio ruolo nella vita, ed entrarono insieme per fare colazione.

Bruce era sulla soglia della sala della colazione e fissava Alexander con uno sguardo pieno d’ira. «Non me ne frega un cazzo! Voglio quella lista!» gridò. «Ne ho diritto!»

«Te ne farò una copia» gli rispose Alexander. «Farò una copia a tutti dopo colazione.»

«Eccome se la farai!» Bruce uscì a grandi passi e sbatté la porta.

Alexander cominciò ad avvicinarsi piano alla porta. Sembrava terrorizzato, più da Charlie che da Bruce.

«Be’, il ragazzo è piuttosto arrabbiato stamattina» disse allegramente Charlie, e avvicinò una sedia per Constance e un’altra per sé. «Si sieda Alexander.»

Alexander si sedette miseramente in punta alla sedia.

«Cos’è questa lista di cui dovrebbe dare una copia a Bruce?»

«Niente di importante, davvero. Una lista di cose che la polizia ha preso dalla stanza di Milton, tutto qua. Bruce sta cercando di fare un inventario degli oggetti della casa. Teme che qualcuno stia portando via delle suppellettili.»

Se Alexander avesse assunto un’aria ancora più colpevole, lo avrebbero certamente portato via per impiccarlo, pensò Charlie.

«Gliene preparerò io una copia» gli propose Constance. Preso dalla confusione Alexander ebbe un attimo di esitazione. Constance stese la mano e disse con decisione: «Sono sicura che avrà cose più importanti da fare.»

Assistere all’indecisione di Alexander, per quanto breve, fu una sofferenza. Alla fine tirò fuori dalla tasca un foglio di carta e lo consegnò a Constance. Il ragazzo parve istantaneamente sollevato. «Per quanto tempo ci terranno qui? Cosa stanno aspettando?»

Charlie si strinse nelle spalle. «Stanno cercando la pistola. Appena l’avranno trovata probabilmente vi rilasceranno tutti.»

«Se non ci lasciano andare presto…» cominciò a dire Alexander, ma poi scosse la testa. «Devono per forza lasciarci andare. Non si rendono conto del logorio, della tensione, degli stati d’animo che si stanno creando. Dobbiamo tornare tutti al lavoro e loro non lo capiscono.»

«Oh, credo che lo capiscano» rispose Charlie con un certo sarcasmo. «Sono sicuro di sì.»

«Alexander, che tipo di rapporto c’era tra di voi al di là del lavoro? Vi conoscevate bene?» domandò pigramente Constance.

«Alcuni si conoscevano più di altri» borbottò. «Non lo so.»

«Sa se qualcuno di loro pratica arti marziali?»

Alexander la fissò come se avesse detto qualcosa di osceno o stesse parlando in swahili. Charlie sentiva che la sua pazienza nei confronti della ritrosia di quel ragazzo era giunta agli sgoccioli. Alexander scosse la testa e bofonchiò qualcosa di incomprensibile, si alzò e si avvicinò quasi furtivamente alla porta. Questa volta nessuno dei due cercò di fermarlo. Arrivato in prossimità dell’uscita, si voltò e si allontanò in fretta.

«Probabilmente possiamo scoprirlo» disse Charlie immerso nei suoi pensieri. «Perché lo vuoi sapere?»

«Stavo pensando a Gary. Io sarei in grado di buttare chiunque in quella vasca idromassaggio e di affogarlo senza procurargli nemmeno un livido. Mi chiedevo se qualcun altro fosse capace di farlo.»

In quello stesso momento, al piano di sopra, Beth era appoggiata al montante della vetrata scorrevole della camera di Maddie. Si sentiva goffa, provava una sensazione di pesantezza in tutto il corpo, persino nel cervello. Non riusciva a comprendere cosa le stesse proponendo Maddie. Quella notte si era girata e rigirata nel letto, aveva fissato l’oscurità e per due volte si era alzata di scatto trattenendo il respiro per ascoltare i rumori del buio. Alla fine aveva acceso la luce del bagno lasciando filtrare un po’ di chiarore dalla porta, e solo a quel punto era riuscita ad appisolarsi, pur continuando a svegliarsi di tanto in tanto.

Maddie aveva esordito chiedendole se l’investigatore avesse intenzione di trascinarli nel fango a causa di quello stupido gioco, ma aveva abbandonato subito l’argomento, e ciò di cui stava parlando in quel momento risultava incomprensibile a Beth.

Maddie aveva gli occhi rossi, il viso e le palpebre gonfi. Continuava a traguardare Beth fissando il mare al di là del vetro, sollevando e posando più volte la tazza senza bere. Sul tavolo davanti a lei c’era la colazione, intatta.

«Ci devi qualcosa» le disse. «Avresti potuto evitare tutto quanto. Tutto quanto. Aveva continuamente bisogno di te e tu lo sapevi. Hai distrutto la sua vita e ora rovinerai anche quella di Bruce e la mia.»

«Non so di cosa stai parlando!»

«Lo sai, lo sai. Lo hai buttato tra le braccia di quella donna! Lui la disprezzava. Non faceva che ripetermelo, e tu lo hai buttato tra le sue braccia. Ora tu avrai i soldi e Bruce sarà rovinato. Ci devi qualcosa!»

«Cosa vuoi da me?» le domandò Beth decisa a non piangere, a non urlare contro quella donna che ora le appariva del tutto folle.

«Che tu venga a casa con me. Anche Bruce ci verrà. Noi tre saremo di nuovo una famiglia. Bruce ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi, di qualcuno che adesso lo aiuti. Ci saranno abbastanza soldi, e poi a te non servono tutti, a nessuno serve così tanto denaro, non quello che Gary ha tirato su dal nulla. Ci devi…»

«Smettila! Non vi devo un bel niente! Né a te né a Bruce. Mio Dio, se potesse mi manderebbe sulla forca!»

Sembrava che Maddie non l’avesse nemmeno sentita. «Voleva una famiglia, io lo so, una vera famiglia con te, dei bambini, una vera casa. Così sarebbe stato felice, soddisfatto. Tu glielo hai negato e lo hai negato anche a me. Come puoi essere così insensibile ora? Ci sono abbastanza soldi per tutti. Non devi distruggere anche la vita di Bruce. Come puoi farlo? Sii più gentile con noi, Beth. Ti prego, non farci più soffrire.»

Beth si tastò le orecchie con le mani. «Non voglio più sentire questi discorsi! Maddie, tu sai cosa significava vivere con Gary. Maledizione, lo sai!»

«Ha lavorato così tanto» disse Maddie, e ricominciò a piangere. «Per tutta la vita ha avuto solo te e il lavoro. Le uniche due cose…»

Con un grido inarticolato Beth corse via e si fermò tremante nell’ampio corridoio. Sobbalzò nell’udire la voce di Jake che la chiamava.

«Stai bene?» le domandò avvicinandosi con un’espressione preoccupata.

«Sì» rispose Beth. «Stavo parlando con Maddie prima di colazione. È stato uno sbaglio.»

«Ho bussato alla tua porta» le disse, e d’un tratto parve a disagio. «Pensavo che avremmo potuto fare colazione insieme, ma dopo quello che è accaduto ieri forse preferiresti di no. Beth, mi dispiace. Non avrei dovuto criticarti. Ieri io, e adesso Maddie…»

«Non l’hai fatto» rispose. «Insomma, non la definirei una critica.» Beth si rese conto di essere altrettanto impacciata. Fece un profondo sospiro e si sforzò di sorridere. «A ogni modo sono felice che tu mi abbia parlato un po’.»

«Un po’? Ti ho raccontato la storia della mia vita!»

Arrivati alle scale Jake la fermò premendole una mano sul braccio, la guardò intensamente e disse: «Ascolta, Beth, permetti a tutti di approfittarsi di te, me compreso. E ora Maddie. Qualsiasi cosa voglia non è un tuo problema. Non deve confonderti ulteriormente e nemmeno io. Ho passato una brutta notte» aggiunse con un’espressione truce. «Continuavo a pensare a tutto quello che ti ho detto ieri su Gary, sulle mie speranze, i miei progetti, le mie preoccupazioni, e all’improvviso mi sono accorto che è così che ti trattiamo tutti da sempre. Quando venivo a casa vostra, di tanto in tanto ti osservavo e mi chiedevo come facessi a sopportare Gary e la sua meschinità, le sue continue pretese, e la scorsa notte ho capito di averti messa esattamente nella stessa situazione. Mi dispiace.» D’un tratto Jake sorrise, le afferrò il braccio e cominciò a spingerla giù per le scale. «Ecco qua. Ero sicuro che non sarei riuscito ad arrivare fino in fondo a questo discorso. Mentre correvo, stamattina, non ho fatto altro che ripeterlo.»

Constance mangiava uova, prosciutto e biscotti insieme a Charlie, dando contemporaneamente un’occhiata alla lista di oggetti che la polizia aveva prelevato e portato in laboratorio a fare esaminare. Cominciò a dire qualcosa, ma poi porse la lista a Charlie e indicò una voce. «È strano.»

Charlie lesse la riga che Constance gli aveva indicato: "tre lenzuola due coperte, due copriletti". La porta si aprì e Charlie ripiegò in fretta il foglio e lo mise in tasca. Beth e Jake entrarono nella sala della colazione.

Beth guardò Charlie e Constance e non riuscì a trattenersi dal chiedere: «Avete già detto alla polizia… quello che sapete?»

«No, io no» rispose Charlie.

«Oh, si riferisce al gioco?» chiese Constance.

«Sì. Glielo avete detto? Maddie è convinta di sì, mentre io ero sicura che non l’avreste fatto, non senza avvertirci. Glielo avete detto?»

«Perché Maddie ha questa convinzione?»

«Per qualcosa che le ha detto Bruce. La polizia lo ha accusato di essere stato reticente, di aver mentito. Praticamente il capitano ci ha accusati tutti di aver mentito.»

«Non gliene abbiamo parlato, Beth» ribadì Charlie. «Santo cielo, però il capitano ha ragione, gli avete mentito tutti.»

Beth si morse il labbro, guardò la tazza che aveva davanti a sé e cominciò a farla ruotare sul piattino finché emise un rumore stridulo simile a quello delle unghie sulla lavagna. Jake le allontanò la mano dalla tazza. «Ho detto a Maddie che ve lo avrei chiesto. Dovremmo dirlo alla polizia, vero?» sussurrò senza sollevare ancora lo sguardo. «Forse se glielo dicessimo potrebbe aiutarli nelle indagini.»

«Vi è stato di qualche utilità saperlo, Charlie?» domandò Jake.

«Non lo so ancora. Beth, se sarà necessario glielo dirò. Lo capisce questo, vero?»

Beth annuì.

«Quanto è stabile l’equilibrio di Maddie in questo momento?»

«Non è ancora crollata, ma non manca molto» rispose Beth. Lanciò uno sguardo a Jake il quale annuì. «Penso che sia arrivata al limite. Perché me lo chiede?»

«Come reagirebbe se accusassero Bruce di omicidio? Riuscirebbe a sopportarlo?»

«Oh, mio Dio! Hanno intenzione di accusarlo?»

«È possibile. In ogni caso…» Mrs Ramos entrò con un vassoio. Charlie si ammutolì e osservò ogni suo movimento finché non se ne fu andata. D’un tratto si alzò in piedi.

«Scusatemi. Torno subito.» Charlie seguì Mrs Ramos in cucina.

Beth lo guardò uscire, poi si voltò con uno sguardo confuso verso Constance che si limitò a stringersi nelle spalle. Beth cominciò a mangiare lentamente, ma dopo un boccone posò nuovamente la forchetta. «La prenderà davvero male» disse tristemente. «Maddie è convinta di aver trascurato Bruce nel corso degli anni, Bruce lo sa e non perde occasione per rafforzare questa convinzione. Ieri sera è stato orribile. Bruce rideva come faceva sempre Gary, e lei continuava a tremare. È stato terribile.»

«Cerca sempre di imitare il fratello?»

«Non proprio. Penso sia un retaggio del test di Turing al contrario a cui si erano sottoposti molti anni fa. È stato allora che ha perfezionato l’imitazione di Gary.»

Constance sorrise e scosse la testa. «Le spiacerebbe fare un passo indietro? Cos’è un test di Turning al contrario?»

«Turing» la corresse Jake. «Dal nome del matematico che ha messo a punto il test originario. Il soggetto siede a un terminale, scrive delle domande e cerca di determinare quali risposte provengono dal computer e quali dalla persona che si trova in un’altra stanza. Il test ha anticipato le attuali ricerche sull’intelligenza artificiale. L’idea di Gary era di creare delle tracce audio e con esse programmare il computer insieme a una serie di dati riguardanti ogni persona coinvolta nell’esperimento. L’intenzione era quella di perfezionare a tal punto la capacità del computer che nemmeno un imitatore professionista avrebbe potuto trarlo in inganno. Insomma, un test di Turing al contrario per tentare di raggirare un computer anziché una persona.» E aggiunse con una certa freddezza: «Ora il computer non sbaglia più un colpo.»

«Buon Dio!» esclamò Constance a bassa voce. «Succede spesso alle persone, vero? Sentono una voce e credono appartenga a qualcuno che conoscono, poi si voltano e si trovano di fronte un estraneo. Il computer riesce a riconoscere le voci anche in un luogo affollato? Penso che i servizi segreti sarebbero più che mai interessati a una simile tecnologia.»

Beth e Jake si scambiarono degli sguardi e all’improvviso il silenzio si fece innaturale. Constance ebbe l’impressione di aver toccato un argomento proibito.

«È una delle ragioni per cui è stato scelto un luogo isolato» spiegò Jake dopo un istante. «Gary voleva poter contare sull’assoluta segretezza del progetto finché non fosse stato pronto a mostrare l’intero pacchetto dei programmi a cui stava lavorando. Alla fine sono riuscito a cavare solo questo da Alexander.»

«Santo cielo!» esclamò nuovamente Constance. «Se il computer era in grado di riconoscere la voce delle persone la sera in cui Gary e Ridi sono stati uccisi, allora deve aver sentito anche la voce dell’assassino.» Si rese conto con un brivido che ne stava parlando come se si fosse trattato di una persona e non di una macchina.

«Non era un registratore» protestò Jake.

«In realtà sì» intervenne subito Beth. «Ti ricordi il primo programma di successo scritto da Bruce? Era un programma musicale» spiegò a Constance. «Poteva sintetizzare musica, qualsiasi strumento, e suonare un’intera sinfonia, la partitura di ogni singolo strumento rendendo ognuno di essi in modo unico, e lo stesso principio è stato applicato alle voci. L’insieme di voci, indipendentemente dal numero, viene considerato un insieme di strumenti i cui suoni possono essere riprodotti.»

Questo spiegava l’apprezzamento di Bruce nei confronti di ciò che Alexander era riuscito a realizzare come programmatore, pensò d’un tratto Constance. Bruce era perfettamente in grado di comprendere ciò che stava facendo Alexander e quello che significava.

«Bruce…» sussurrò Beth. «Se Maddie dovesse capire che sta per perderlo…»

Jake le prese la mano. «Beth» le disse fermamente «ricordi cosa abbiamo detto? Non sono un nostro problema, nessuno di loro lo è.» Jake la fissava intensamente, con insistenza, come se cercasse di allontanare quei pensieri dalla mente di Beth, e non si rilassò finché la donna finalmente annuì e sollevò nuovamente la forchetta. «Dopo colazione andiamo a fare una passeggiata e poi passiamo da Maddie per vedere come sta. Le piace giocare a bridge. Chiederemo anche a Laura di giocare. Forse giocare un po’ a carte potrebbe essere d’aiuto a tutti oggi.»

Constance lo osservava con grande interesse. Jake era perfetto come terapeuta o come sacerdote, ma anche per ogni altra attività per la quale fosse stata necessaria una buona dialettica. Aveva il dono di individuare subito i problemi, e questo era uno dei requisiti fondamentali per certe professioni. Constance ebbe l’impressione che durante quel breve interludio Jake si fosse completamente dimenticato di lei. Ora che quel momento era passato, poteva tornare a includerla nella loro conversazione, cosa che infatti fece invitandola a giocare a bridge in un modo tanto cortese da dare per scontato un suo rifiuto.

Quando Charlie un paio di minuti dopo ritornò, Constance fu sorpresa nel constatare che né Beth né Jake reagirono in alcun modo alla nuova carica immessa nell’aria dal suo arrivo. Lei invece la percepì quasi come una scossa. Allontanò leggermente il piatto e si alzò. «Penso sia arrivata l’ora della nostra passeggiata» disse. Charlie annuì e Constance lo raggiunse alla porta. «Ci vediamo dopo» disse senza voltarsi, e uscì insieme al marito.

«Cos’hai scoperto?» gli chiese non appena furono in corridoio.

«Shh. Parliamone fuori.»

Nella veranda Constance fece un altro tentativo. «Cos’hai in mente?»

«Voglio che Dwight Ericson porti quassù le chiappe e che i suoi uomini lavorino per me.»

«Charlie!»

«Ho dato un’occhiata alla macchina per popcorn. È esattamente come quella che avevamo prima che Jessica se ne impadronisse quando ha cominciato l’università.»

Charlie non aveva mai dimenticato che sua figlia aveva portato via la macchina per popcorn quando aveva lasciato casa per frequentare l’università. L’averne comprata una nuova non era servito a mitigare il ricordo di quella vecchia, e a suo tempo l’improvvisa sensazione di privazione aveva scatenato in lui furibonde lamentele. Constance gli diede una gomitata nelle costole. «Charlie!»

«Ho scoperto che Mrs Ramos utilizzava due lenzuola per ogni letto. Mi ha preso per pazzo quando gliel’ho chiesto.»

«Ah, be’, avresti dovuto saperlo.»

Charlie rise, le cinse le spalle e la guidò verso la scogliera. Scesero per il sentiero e incontrarono Dwight in fondo. Aveva un’aria avvilita e stanca. Vederlo vicino a Charlie le provocò un leggero sussulto. Si rese conto che lei e Charlie dovevano apparire agli altri esattamente così: uno alto, magro, e molto, molto biondo, l’altro più basso, massiccio e moro. L’immagine le piacque.

«Niente» disse Dwight rispondendo alla domanda di Charlie.

«Nemmeno un lenzuolo?» Quando Charlie assumeva un’aria così innocente, Constance temeva sempre che qualcuno potesse dargli un pugno in faccia.

«Che cos’è questa storia del lenzuolo?» domandò Dwight.

Charlie glielo spiegò. «Quindi manca un lenzuolo. Forse la pistola è stata avvolta lì dentro e ora si trovano entrambi in fondo all’oceano.»

Dwight si mordicchiò il labbro scuotendo la testa rivolto verso l’orizzonte. «Pensa che sia stato ucciso nella sua stanza?»

«È possibile. Il letto era stato preparato per la notte in modo singolare, le impronte cancellate da troppi oggetti. È possibile.»

«Ed è stato avvolto in un lenzuolo e trasportato fino alla scogliera? Gesù!»

«È possibile. Se avessi a disposizione una squadra di uomini li farei cercare delle macchie di sangue e forse il segno di una bruciatura.»

«Una bruciatura?»

«Ripensi al portacenere» gli disse Charlie con un’espressione trasognata. «Un sigaro spento a metà e dei frammenti di cenere. Ma dov’è finito il resto? Supponiamo che Milton stesse fumando il sigaro quando è stato colpito. Ovviamente il sigaro sarebbe caduto a terra, ma non sull’erba bagnata, altrimenti si sarebbe spento, e con quella nebbia quasi tutto era umido e bagnato, mentre in realtà il sigaro era ancora acceso quando è stato messo nel portacenere. Lo si deduce dalla cenere all’estremità del sigaro che ha continuato a bruciare. Ciò significa che era ancora acceso quando è stato spostato e rimesso nel portacenere, e questa operazione potrebbe aver lasciato una bruciatura da qualche parte. Oppure dobbiamo pensare che qualcuno abbia riacceso il sigaro in un secondo tempo, ma una tale ipotesi mi sembra decisamente troppo macabra anche per questa comitiva.»

«Accidenti, Charlie, mi pare un’ipotesi un po’ azzardata. Quella sera Milton avrebbe potuto fumare quel mezzo sigaro in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo e poi posarlo e lasciarlo consumare completamente.»

«Si è chiesto in che modo sono state cancellate le impronte dal portacenere? Immagini la scena: qualcuno deve eliminare le impronte dal portacenere per Dio solo sa quale motivo, ma dentro c’è il mezzo sigaro ancora acceso. La persona appoggia il sigaro sul bordo del tavolo, pulisce il portacenere, rimette a posto il sigaro e lo lascia lì a consumarsi pian piano. Questo è uno scenario possibile. Un’altra ricostruzione prevede che Milton non sia stato colpito in camera sua ma da qualche altra parte, che il sigaro sia caduto e che l’assassino lo abbia messo nel luogo più consono, ovvero nel portacenere, ma solo dopo aver cancellato le impronte. A quel punto, nel portacenere, alla piccola quantità di cenere si aggiunge quella della combustione del sigaro che rimane lì indisturbato fino a quando la polizia lo preleva per analizzarlo.»

«In questo caso perché perdere tempo con le impronte?»

«Dio solo sa quanto vorrei saperlo.»

Dwight si fece scuro in volto. «Sa cosa sta succedendo nella Jordan Valley? A più di cinquecento chilometri da qui, vicino al confine del Nevada, la scorsa notte un allevatore è stato picchiato a morte. Solitamente in casi come questo vengo chiamato a occuparmi delle indagini. Raduno gli uomini che lavoravano per lui, il caposquadra, faccio qualche domanda, magari organizzo la ricerca di un bracconiere e risolvo la vicenda piuttosto in fretta. Questa volta se ne potrebbe occupare lo sceriffo, ma il caso vuole che alcuni suoi parenti lavorino per l’allevatore e dicono che questo potrebbe influenzarlo nelle indagini.» Dwight osservava i suoi uomini fuggire in gran fretta di fronte alla veloce avanzata delle onde sollevate dall’impeto dell’alta marea. «Be’, direi che con questa indagine abbiamo fatto fiasco.» Dwight fece una leggera smorfia. «La volta precedente ho voluto sapere tutto sui carrelli agricoli, sulle carriole, e poi ho scoperto che le vittime non erano state spostate. Stavolta invece non me ne sono nemmeno preoccupato. Dio onnipotente, che pasticcio!»

Dopo che Dwight e i suoi uomini se ne furono andati, Charlie e Constance raggiunsero la spiaggia. «Niente male» disse Constance dando una pacca al braccio del marito. Charlie non ebbe difficoltà a capire che non si riferiva al paesaggio.

«Non sono ancora riusciti a provare nulla» disse Charlie.

Constance fece un cenno con la mano come per allontanare quel pensiero. «Ci riusciranno.» Gli raccontò del test di Turing al contrario e delle tracce vocali. «Inizio a capire cosa stava mettendo a punto Gary» disse lentamente. «Credo che quel computer fosse in grado di comprendere qualsiasi cosa gli venisse detta e di rispondere esattamente come una persona. È impressionante.»

«Uhm» fu il commento di Charlie, e quel grugnito era più eloquente di qualsiasi cosa avesse potuto pensare in quel momento. «Se ti dicessi che "non so che pesci pigliare" pensi che renderebbe l’idea?»

Constance annuì con serietà. «"Ogni cosa a suo tempo."»

«"Non si trova il bandolo della matassa."»

Constance rise. «Sei "un lupo in veste d’agnello".»

«Accidenti!» esclamò Charlie fermandosi. Davanti a loro un’onda particolarmente grande si era infranta contro la scogliera. Gli scogli che si protendevano verso il mare a nord dell’insenatura venivano coperti dalla marea che guadagnava rapidamente terreno. Le onde si abbattevano contro di essi sollevando in alto spruzzi d’acqua e di schiuma. «Da queste parti la marea quando arriva non perde tempo» commentò Charlie, e ripresero a camminare.

«È terribilmente difficile spostare un cadavere» disse Charlie dopo un istante. «L’espressione "a peso morto" non è nata per caso. Ma perché ucciderlo e gettarlo giù dalla scogliera? Perché cancellare le impronte? È vero, prima che Milton morisse chiunque sarebbe potuto entrare e uscire dalla sua camera. L’assassino avrebbe potuto organizzare una messinscena, altrimenti perché sparargli un colpo in testa quando ormai era già spacciato?»

«Forse voleva assicurarsi che nessuno fingesse di credere a una morte accidentale.»

Charlie si fermò di colpo conficcando le dita nel braccio di Constance. «Gesù, ci sono!»

Con una certa sorpresa Constance si voltò a guardarlo. Immobile fissava le onde che s’infrangevano sugli scogli neri.

Charlie tornò indietro. «Abbiamo camminato abbastanza. Camminare, correre, fa male alle articolazioni, alle ginocchia. Andiamo.»

Ripercorsero la strada a passo svelto. Di tanto in tanto Charlie borbottava qualcosa a bassa voce, mentre in altri momenti canticchiava quasi impercettibilmente. In casa loro vigeva una regola non scritta, per cui chiunque poteva borbottare tutto il tempo che voleva senza essere interrotto. Talvolta, quando non era chiaro se la persona stesse borbottando o semplicemente conversando a un volume troppo basso, era consentito domandare: "Stai borbottando?". Constance non ebbe difficoltà a riconoscere che in quel momento Charlie stava borbottando e si guardò bene dall’interromperlo.

Sotto la veranda di mattonelle rosse incontrarono Beth. «Salve» disse Constance. «Niente bridge?»

Beth si avvicinò trascinando i piedi. «A Maddie non sembra importare molto che si giochi o meno, e poi oggi non riesco a concentrarmi sulle carte. Stanno eseguendo nuove perquisizioni. Non possiamo nemmeno andare nelle nostre camere. Cosa stanno facendo?»

Prima che Constance potesse parlare Charlie le diede una breve stretta al braccio e si ritrasse. «Vedo se riesco a sapere qualcosa» disse. «Arrivederci, signore» e si allontanò lentamente.

«Ovvio che è difficile concentrarsi in questo momento» disse Constance. «Le racconto una storia. C’era una volta una bella principessa i cui genitori morirono all’improvviso lasciandola orfana.» Constance ignorò lo sguardo incredulo di Beth e disse con un sorriso: «Mi dispiace, ma è così che iniziano sempre le storie, vanno dritte al punto senza girarci tanto intorno. Allora la fata buona andò dall’infelice ragazza e le disse: "Devi andare a vivere con lo zio più vecchio finché non diventerai grande". Così la ragazza andò a vivere dallo zio.»

Constance proseguì il racconto senza badare all’espressione di Beth. L’espressione stupita e preoccupata di chi ha di fronte una pazza.

«Sin dal primo giorno lo zio picchiò la ragazza se faceva troppo rumore, o se stava troppo in silenzio, se piangeva o non piangeva per i genitori, se mangiava troppo o troppo poco. Pian piano la nipote cominciò a capire che cosa desiderava da lei e a farlo prima che la picchiasse. Quando la fata buona venne a trovarla per vedere come stava, trovò la bambina rannicchiata in un angolo che osservava lo zio, cercando di intuire cosa potesse scatenare la sua ira. La fata buona portò via la ragazza da quella casa e la condusse dal secondo zio più anziano. "Dovrai rimanere qui finché diventerai grande" le disse come la prima volta, e la lasciò nella nuova casa.

«Quello zio era sposato con una donna che non appena vide la bambina disse: ’Oh, tu sei così giovane e in forze, mentre io sono vecchia e debole e presto dovrò morire’. La ragazza rise e la zia disse: ’Oh, tu sei così felice e spensierata mentre io sono triste e piena di pensieri e presto dovrò morire’. Quando vide la ragazza correre disse: ’Oh, tu sei piena di salute e di vita mentre io sono stanca e soffro e presto dovrò morire’. Questa volta, quando la fata buona ritornò, trovò la ragazza con i capelli legati in una stretta crocchia, una gonna voluminosa che le nascondeva le giovani gambe, e la poverina camminava con la schiena curva e piegata strofinandosi spesso gli occhi per arrossarli e farli lacrimare. Ovviamente la portò subito via.»

Beth ascoltò la storia passeggiando insieme a Constance sotto la veranda e mostrandosi stranamente restia all’idea di rientrare in casa.

«Nella casa successiva la zia piangeva amaramente quando la ragazza sbagliava. "Il mio amore per te è immenso e tu mi hai ferito così tanto." Cambiò ancora casa e lo zio la trovò una compagnia così gradevole che non riusciva a sopportare di stare lontano da lei neppure per un attimo, e quando lei camminava, lui camminava, gli si arrossava il viso, si premeva una mano sul cuore e inspirava affannosamente perché gli mancava il fiato ma non si lagnava mai. Quando lei mangiava un dolce lo mangiava anche lui, sopportava dolori al petto e allo stomaco senza mai lamentarsi.

«Nella casa successiva ogni giorno la zia le prometteva che se si fosse comportata bene l’indomani avrebbe potuto avere questo o quello, ma l’indomani non arrivava mai, come il sole in una grigia giornata invernale.»

Avevano ormai percorso la veranda avanti e indietro per due volte quando Beth si fermò. «Questa storia non ha un finale, vero?»

«È chi ascolta la storia a determinarne di volta in volta la fine» spiegò Constance.

«Ha dimenticato il senso del dovere, la vergogna, l’amore e un paio d’altre cose.»

«Non le ho dimenticate, semplicemente non c’ero ancora arrivata.»

«È una storia molto bella, grazie.»

«Non c’è di che. Credo che andrò a vedere cosa sta combinando Charlie.»

Le due donne si fissarono per qualche istante con solennità, poi Beth annuì e prima di allontanarsi disse: «Davvero una bella storia. Ci vediamo dopo.»

Charlie era seduto al tavolo della sala della colazione e guardava Dwight Ericson passare in rassegna insieme a Bruce ogni singola voce dell’inventario. Avevano terminato di esaminare l’elenco delle stoviglie ed erano arrivati ai quadri e alle statue. Bruce era scuro in volto, accigliato e scortese. Dwight era estremamente paziente e non poteva fare altro, pensò Charlie, dal momento che i suoi uomini ci avrebbero messo una vita prima di trovare la bruciatura lasciata dal sigaro di Milton. Quella era la fase delle indagini che più detestava quando lavorava al dipartimento di polizia di New York, ricordò Charlie. Quella fase si fondava su un’attenta ricerca dei particolari, sulle perquisizioni, e spesso si finiva a cercare un ago in un pagliaio. Charlie provò una certa comprensione per Bruce, pensando alle enormi somme di denaro che Gary aveva speso per Smart House: diciassettemila dollari per i piatti di porcellana, altri tremila dollari per vari oggetti di porcellana, novemila dollari per l’argenteria e così di seguito. Cinquanta paia di lenzuola a venti dollari l’una. Charlie scosse la testa e ascoltò.

«D’accordo, d’accordo» disse Dwight. «Nell’inventario originale sono elencati quindici quadri e anche qui continuano a essere quindici. Vada avanti. Passiamo alle statue nell’ingresso. Non ne manca nessuna, vero?»

«Per ora no» rispose bruscamente Bruce.

«Bene, Mr Elringer. Non è stato in grado di aggiornare l’inventario delle camere da letto per cui presumo che anche l’inventario ufficiale possa essere sufficiente. Vorrei una copia del suo inventario.»

Bruce afferrò il taccuino.

«Howie, accompagna Mr Elringer nell’ufficio del seminterrato e fai delle copie dell’inventario in suo possesso» disse Dwight tranquillamente, ma la sua pazienza si stava esaurendo.

«Le farò io» si affrettò a dire Bruce. «Se lui vuole può stare a guardare mentre le faccio.»

«Starà a guardare.»

«Bruce» lo trattenne Charlie. «Come mai ha voluto stilare un suo inventario? Lo ha iniziato lo scorso maggio, vero?»

«Lo sa perfettamente il motivo. Non mi fidavo di quello fatto da Rich. Non mi fido della gente che è entrata e uscita liberamente da questo posto. Cinquecento dollari di portaceneri, trecento dollari di lampade, migliaia di dollari di soprammobili! Qualcuno doveva pure tenere una lista, controllare dove andavano a finire gli oggetti.» Bruce si era alzato in piedi e continuava a stringere il taccuino. «Sa quanti soldi si sono già volatilizzati? Migliaia di dollari! Sono i miei soldi, usciti da questa casa per la porta principale!»

«D’accordo, questo l’ha già detto, ma che cosa è uscito dalla porta principale, precisamente? Insomma, si riferisce a qualcosa in particolare, o si tratta di un semplice sospetto?»

Bruce si chinò e disse articolando minacciosamente le parole: «Una balena di malachite azzurra lunga all’incirca così.» Bruce indicò una misura di trenta, trentacinque centimetri. «Settecento dollari! A cosa cazzo serviva? A chi può servire una roba del genere in camera da letto?»

«Quando è scomparsa? Come faceva a sapere che mancava già dallo scorso maggio?»

Bruce guardò prima Charlie e poi Dwight con un’espressione infuriata. «Brutti stronzi, state cercando di incolparmi anche di questo, vero? Non ci riuscirete! È per questo che ho iniziato a compilare l’inventario, per provare che qui qualcuno ha le mani lunghe. Quando sono arrivato a Smart House la prima volta, quella balena era in camera mia. Ho notato il soprammobile, ho guardato il prezzo sull’inventario e mi sono reso conto che quell’affare sarebbe stato una tentazione per qualcuno, così ho iniziato a redigere la lista. Ogni camera aveva qualcosa di simile, qualcosa di facilmente trasportabile, di costoso, di allettante. E per quale cazzo di motivo?»

«Quando si è accorto che era sparita?» gli domandò nuovamente Charlie con la stessa pazienza di Dwight, ma anche con lo stesso tono incalzante.

«Che ne so. A giugno, a luglio, a un certo punto quando sono tornato quest’estate. Non c’è più, capito? Chi cazzo può sapere cos’altro mancherà adesso?»

«E quando è ritornato ha aggiornato l’inventario della sua camera?»

«Ci può scommettere che l’ho fatto! E l’ho aggiornato anche questa volta!»

«Stupendo» disse Charlie soddisfatto, e ritornò a rilassarsi sulla sedia.

Proprio mentre Bruce e Howie uscivano, entrò uno degli uomini di Dwight Ericson. Il nuovo arrivato era un altro zelante agente in uniforme. Fece un saluto militare e Dwight lanciò uno sguardo imbarazzato a Charlie.

«Credo che abbiamo trovato la bruciatura» disse il giovane poliziotto. Dwight e Charlie balzarono in piedi. «Quantomeno c’è il segno di una bruciatura sul balcone, e sembra recente. Penso non ci sia modo di saperlo con certezza.»

«Oh, che fortuna sfacciata» sussurrò Charlie. «Che nessuno la tocchi! Sono ancora tutti nella biblioteca o nella sala tv?»

Il poliziotto si comportò come se quella situazione, in cui uno sconosciuto faceva domande e dava ordini, fosse stata assolutamente normale. Senza alcuna esitazione rispose che si trovavano ancora là.

«Si assicuri che ci restino» disse Dwight. «Andiamo a dare un’occhiata.»

Il segno era appena visibile, una macchia rossa sull’asse di legno del balcone. Quando Charlie vide che Dwight si stava avvicinando troppo lo trattenne istintivamente.

«È un esperto di bruciature?» gli domandò Dwight con un certo sarcasmo, e per una volta la sua irritazione ebbe il sopravvento sul tono paziente che era riuscito a mantenere fino a quel momento.

«Oh, sì» disse Charlie a bassa voce. «Eccome.» Ispezionò l’area a una trentina di centimetri dal bordo del balcone, nel punto in cui il pavimento era stato tagliato e incominciavano le scale che scendevano al livello del terreno. La ringhiera arrivava all’altezza della vita e aveva una sbarra intermedia di protezione. Il balcone era largo quattro metri e mezzo ma si stringeva alle estremità, là dove cominciavano le scale. Il punto in cui si trovavano, infatti, misurava tre metri, e le scale un metro e mezzo. La finestra più vicina era quella dell’appartamentino di Gary Elringer. Reputandosi soddisfatto da quella prima generica valutazione dell’ambiente circostante, Charlie appoggiò un ginocchio a terra e studiò con maggiore attenzione il segno della bruciatura, si chinò e la odorò. Si alzò e guardò Dwight.

«È qui che è stato colpito in testa ed è caduto il sigaro. Penso che riuscirà a raccogliere abbastanza cenere da costituire un reperto, nella venatura del legno ne è rimasta un po’.»

Dwight lo guardava con un’aria vacua. «Lei è un esperto di incendi, vero? L’ho letto da qualche parte.»

Charlie annuì. «È stato il mio lavoro per molti anni. Per moltissimi anni.» Si voltò a guardare il mare con l’odore di bruciato ancora nel naso e troppi ricordi che emergevano dalla sua memoria, troppi incendi che avvampavano nella sua mente. «I suoi tecnici sono in grado di occuparsene?»

«Sì. Taglieremo via la sezione, ma prima useremo un aspirapolvere.» Dwight cominciò a dare ordini ai suoi uomini.

Con lo sguardo perso nell’oceano luccicante, Charlie pensò ai tanti odori del fuoco. L’incendio senza acqua né prodotti chimici produceva un odore ben definito, autunnale. Poi c’era l’odore ripugnante della plastica, delle fibre e dei prodotti chimici, un odore di legno bagnato, pittura e materiale isolante… Il fuoco freddo era ancora peggio. Senza fiamme né calore, bruciava pian piano emanando vapori tossici, il fetore peggiore in assoluto. Poi arrivavano i muratori, sigillavano tutto e si diffondeva un nuovo odore, un odore dolciastro, simile alla decomposizione, e infine c’era il riflesso del materiale sigillante, un pallido colore bluastro con un’intensa patina di vernice…

«Andiamo giù a dare un’occhiata» gli disse Dwight.

Charlie lo seguì in silenzio, immerso nei suoi pensieri. Avrebbero trovato dei solchi di ruota che ora avrebbero assunto un significato diverso rispetto a quella mattina, forse un paio di piante spezzate che in precedenza nessuno aveva notato, e con un po’ di fortuna anche una macchia di sangue. E infatti così fu. Trovarono le tracce delle ruote, una pianta spezzata e persino una minuscola macchia che sembrava sangue, ma sarebbero stati i test di laboratorio a determinarlo con certezza.