174056.fb2
Edgar Allan Pogue ricorda il giorno in cui lei scese a parlare al suo capo. Doveva essere per una cosa importante, se la direttrice si era abbassata a prendere quel montacarichi, scomodissimo e inaffidabile.
Era di ferro, arrugginito, con le porte che si chiudevano dal basso verso l’alto e si incontravano nel mezzo, come le fauci di un animale feroce. Naturalmente c’erano anche le scale: le norme antincendio le prevedevano in ogni edificio pubblico. Tuttavia nessuno le prendeva mai per scendere nella divisione di Anatomia, che era sottoterra, e meno che mai Edgar Allan Pogue. Quando prendeva quel montacarichi perché doveva salire all’obitorio, non appena le porte metalliche si chiudevano si sentiva come Giona nella balena. Il fondo di acciaio era perennemente coperto di polvere e di cenere, e qualcuno ci lasciava sempre dentro una barella, fregandosene altamente se a lui poi veniva la claustrofobia.
Ma lei no, lei non se ne fregava.
Seduto sulla sua sedia a sdraio nell’appartamento di Hollywood di cui ha appena preso possesso, con la mazza da baseball in mano, Edgar Allan Pogue ricorda la mattina in cui lei uscì dal montacarichi con il camice bianco e i calzoni verdi da chirurgo e attraversò la sala senza finestre in cui lui trascorreva le giornate — e, in seguito, anche le notti — con passo leggerissimo. Indossava scarpe con le suole di gomma, probabilmente perché erano antiscivolo e comode e lei stava in piedi molte ore nella sala autopsie, a smembrare cadaveri. Strano: fare a pezzi cadaveri per lei andava bene perché era una dottoressa, mentre lui, Pogue, non era niente. Non ha neppure finito le superiori, anche se sul curriculum ha dichiarato di essere diplomato e tutti ci hanno creduto.
“Non si lasciano le barelle nel montacarichi” disse la dottoressa al capo di Pogue, Dave, un uomo curvo con gli occhi scuri e pesti e i capelli tinti pieni di brillantina. “Specie quelle che usate nel crematorio, che lasciano in giro un sacco di polvere. Non mi piace e non è igienico.”
“Sì, dottoressa” rispose Dave, manovrando l’argano con cui tiravano fuori i cadaveri nudi e rosa dalla vasca piena di formalina. Ai tempi in cui Edgar Allan Pogue lavorava nella divisione di Anatomia, per estrarli dalla vasca gli infilavano un grosso gancio di ferro in ciascun orecchio. “Quella non è nel montacarichi” le fece poi notare Dave guardando una barella graffiata, mezza arrugginita e piena di ammaccature, parcheggiata in mezzo alla sala con un involucro di plastica lucida sopra.
“Dico in generale. Quasi nessuno usa il montacarichi, ma preferisco comunque che sia pulito” ribatté lei.
Fu in quel momento che Pogue si rese conto che per la dottoressa il loro era un lavoro sporco. Come altro avrebbe dovuto interpretare quel commento? Però, senza quei cadaveri, gli studenti di medicina non avrebbero potuto fare pratica. Che cosa avrebbe fatto la famosa Kay Scarpetta, se da studentessa non avesse potuto fare le esercitazioni? Se non ci fosse stato lui a fornirle cadaveri da sezionare, avrebbe mai imparato a fare le autopsie? In realtà, non era stato Edgar Allan Pogue a procurarle i cadaveri su cui esercitarsi, visto che Kay Scarpetta aveva studiato a Baltimora e aveva dieci anni più di lui.
Quella mattina non ebbe modo di parlarle, ma notò che non si dava arie. Era molto educata e lo salutava sempre, tutte le volte che scendeva nella divisione di Anatomia, per qualsiasi motivo. “Buongiorno, Edgar Allan”, “Dov’è Dave, Edgar Allan?”. Quella mattina, tuttavia, non gli parlò. Attraversò la sala con le mani in tasca e forse non lo vide neppure. Non cercava lui, questo è certo. Altrimenti lo avrebbe trovato in mezzo alla cenere, come Cenerentola, a sbriciolare frammenti di osso con la sua mazza da baseball preferita.
Ma lei non lo cercò. No, non lo vide nemmeno. Lui, d’altra parte, nascosto al buio nella nicchia di cemento davanti al forno crematorio, vedeva bene la sala in cui Dave stava estraendo con l’argano dalla vasca colma di formalina una vecchia rosa appesa a due ganci, braccia e ginocchia piegate come se fosse ancora dentro la vasca, targhetta di acciaio inossidabile che pendeva dall’orecchio sinistro.
Osservava la scena e la sentì dire: “Nella sede nuova non faremo più così, Dave. Sistemeremo i cadaveri della divisione di Anatomia nelle celle frigorifere, assieme agli altri corpi. Questo metodo è primitivo, medievale. Non va bene”.
“Sì, certo, le celle frigorifere sono molto meglio. Anche se forse nelle vasche ce ne stanno di più” ribatté Dave. Premette un pulsante e fermò l’argano, lasciando la vecchia rosa sospesa a mezz’aria.
“Sempre che riesca a trovare lo spazio. Ogni volta succede così: alla fine è troppo poco. Dipende tutto dallo spazio” disse la dottoressa, grattandosi il mento e controllando il proprio regno.
Edgar Allan Pogue ricorda di aver pensato: “Okay, adesso questa sala, le vasche, il forno e la sala di imbalsamazione sono il tuo regno. Ma quando tu non ci sei, cioè il novantanove per cento del tempo, sono il mio regno. E le persone che caliamo nelle vasche e bruciamo nel forno sono i miei pazienti, i miei amici”.
“Speravo che ci fosse qualcuno ancora da imbalsamare” disse Kay Scarpetta a Dave, mentre la vecchia rosa dondolava per aria, appesa alla catena. “Forse mi conviene annullare la dimostrazione.”
“Edgar Allan è stato velocissimo… Ha imbalsamato il corpo e lo ha messo nella vasca prima che io riuscissi ad avvertirlo che le serviva, dottoressa” spiegò Dave. “E dopo non ne sono arrivati altri.”
“È utilizzabile per una dimostrazione o è già destinato altrove?” chiese la dottoressa, guardando il cadavere della vecchia sospeso sopra la vasca.
“Edgar Allan?” lo chiamò Dave. “È destinato a qualcuno il cadavere che hai appena imbalsamato?”
Edgar Allan Pogue mentì e disse di no, perché sapeva che Kay Scarpetta non avrebbe mai usato per una dimostrazione il cadavere di qualcuno che aveva donato il proprio corpo alla ricerca scientifica. Edgar Allan Pogue sapeva che alla vecchia lì appesa non sarebbe importato nulla. A quella interessava soltanto prendersela con il Creatore perché era stato ingiusto con lei.
“Pazienza” decise Kay Scarpetta. “Mi dispiace annullare la dimostrazione, e quindi lo userò lo stesso, anche se è imbalsamato.”
“So che non è l’ideale” replicò Dave. “Mi dispiace.”
“Non si preoccupi” disse Kay Scarpetta, posandogli una mano sulla spalla. “Non poteva sapere che non ne sarebbero arrivati altri. Proprio oggi che ho la dimostrazione… Be’, me lo mandi su.”
“D’accordo. Le sto facendo un favore, si ricordi” disse Dave strizzandole l’occhio. “Oggigiorno le donazioni scarseggiano.”
“E va già bene che la gente non sa dove va a finire, altrimenti ce ne sarebbero ancora meno” replicò lei, tornando verso il montacarichi. “Bisogna che ci vediamo per parlare di come organizzare il lavoro nella nuova sede, Dave. La chiamo nei prossimi giorni.”
Così Edgar Allan Pogue aiutò Dave a posare il corpo della vecchia sulla barella impolverata di cui si era lamentata la dottoressa poco prima. Poi la mise nel montacarichi e salì con lei al primo piano, pensando che di sicuro non si aspettava di finire così. Non ne aveva la più pallida idea, lui lo sapeva perché le aveva parlato, sia da viva che da morta. La spinse per un corridoio che odorava di disinfettante e oltre la porta che conduceva nella sala autopsie.
«E questa è la storia della signora Arnette, mamma cara» conclude, seduto sulla sdraio con le foto della donna posate sulle cosce bianche e pelose. «So che ti sembrerà brutto e ingiusto, ma ti sbagli. Sono certa che sarebbe stata contenta di essere sezionata davanti a un pubblico di giovani poliziotti. È meglio che finire squartata da una massa di studenti ingrati, non credi? È una bella storia, vero, mamma? Una storia bellissima.»