174056.fb2 La traccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 41

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Non riuscendo ad affrontare il problema in maniera costruttiva, Kay Scarpetta smette di pensare all’alluminio verniciato e alla polvere di osso. Se continua a spaccarsi la testa su quelle particelle di vernice bianca, rossa e blu mischiate alla polvere di osso, diventerà matta.

Il cielo è grigio e l’aria pesante: sta per scoppiare un altro temporale. Scende dall’auto con Marino e chiude la portiera. Non vedendo luci accese nella casa di mattoni con il tetto di ardesia malconcio dietro alla casa di Suzanna Paulsson, si sente prendere dallo scoramento.

«Sei sicuro che verrà?» domanda a Marino.

«Me l’ha assicurato. In ogni caso, mi ha anche detto dov’è la chiave. Voleva che potessimo fare a meno di lui, ne deduco.»

«Se mi stai dicendo che vuoi entrare in quella casa anche senza l’agente immobiliare, ti avviso che non se ne parla» ribatte Kay Scarpetta guardando la porta di ingresso di legno rinforzato e le finestre buie. La casa è piccola e vecchia, e ha l’aria trascurata. Nel giardino ci sono alberi di magnolia spogli, arbusti che sembrano non essere stati potati da anni, alcuni grossi pini e aghi e pigne dappertutto.

«Io non ti sto dicendo niente» replica Marino guardando la strada deserta. «Ti informo solo che l’agente immobiliare mi ha spiegato dove posso trovare la chiave e mi ha avvertito che non c’è antifurto. Secondo te, perché lo ha fatto?»

«Non importa quello che ti ha detto o non ti ha detto» ribatte Kay Scarpetta, pur sapendo che non è vero. Intuisce già come andrà a finire.

L’agente immobiliare non aveva voglia di muoversi, oppure non vuole immischiarsi, e quindi ha dato loro l’opportunità di andare a vedere la casa in sua assenza. Kay si infila le mani nelle tasche del cappotto. Porta a tracolla la borsa di nylon nera con tutto l’occorrente per raccogliere prove e indizi. È molto più leggera, senza i campioni di terra che ha lasciato a Eise.

«Almeno un’occhiata dalla finestra la posso dare?» dice Marino, avviandosi lentamente, con le gambe larghe, attento a dove mette i piedi. «Tu resti in macchina o mi segui?» domanda, senza neppure voltarsi.

Ha fatto una ricerca sull’elenco telefonico, e ha trovato l’agenzia immobiliare a cui è stata affidata la casa. L’uomo con il quale ha parlato gli ha detto che da un anno nessuno chiede di visitarla e non sembrava per niente interessato a venderla. La proprietaria è una certa Bernice Towle, che abita nel South Carolina e si rifiuta sia di mettere a posto l’immobile sia di scendere di prezzo, per cui la vendita risulta impossibile. Secondo l’agente immobiliare, non ci abita nessuno, anche se di tanto in tanto la signora Towle vi ospita alcuni conoscenti. Purtroppo non gli ha saputo dire né quando, né per quanto tempo. La polizia di Richmond se ne è disinteressata perché a tutti gli effetti la casa risulta disabitata e quindi irrilevante ai fini delle indagini sulla morte di Gilly Paulsson. Per gli stessi motivi, anche l’FBI ha ritenuto di non svolgere controlli. Pete Marino e Kay Scarpetta, invece, vogliono indagare, perché in un caso di omicidio non va trascurato nessun dettaglio.

Kay Scarpetta si incammina sul vialetto, che dopo la pioggia è sdrucciolevole, e pensa che se fosse suo lo laverebbe con la candeggina. Raggiunge Marino, che sta sbirciando dalla finestra.

«Se vogliamo fare i guardoni, tanto vale che entriamo» gli dice Kay. «Dov’è la chiave?»

«Sotto quel vaso, credo.» Indica una pianta di bosso, talmente grande che il vaso è nascosto dalle foglie.

Kay Scarpetta si avvicina, infila le mani fra i rami e vede che nel vaso ci sono due o tre dita di acqua verdognola puzzolente. Sposta il bosso e trova un quadrato di carta stagnola, sporco e pieno di ragnatele, dentro cui c’è una chiave di ottone brunito, che deve giacere lì inutilizzata da mesi. La porge a Marino: non vuole essere lei ad aprire.

In casa c’è odore di chiuso e fa freddo. Kay Scarpetta sente anche odore di sigaro. Marino cerca l’interruttore, lo trova e prova invano ad accendere la luce.

«Tieni» dice Kay porgendogli un paio di guanti di cotone. «Combinazione, ne ho un paio anche della tua misura.»

«Però.» Se li infila. Anche lei ne indossa un paio.

Vicino al muro c’è un tavolo con una lampada sopra. Kay Scarpetta prova ad accenderla e ci riesce. «Be’, la corrente non è staccata» dice. «Chissà se funziona anche il telefono.»

Solleva la cornetta di un vecchio apparecchio nero e la avvicina all’orecchio. Silenzio assoluto. «No, il telefono è staccato» dichiara. «Tu non senti odore di sigaro?»

«Se stacchi la corrente, gela l’acqua nei tubi» dice Marino. Annusa l’aria e si guarda intorno. Il salotto sembra più piccolo, con lui dentro. «No, io non sento nessun odore di sigaro. Solo di polvere e muffa. Ma tu hai l’olfatto migliore del mio.»

Kay Scarpetta resta vicino alla lampada e osserva la stanzetta piccola e buia, con un divano rivestito di stoffa a motivi floreali sotto la finestra e una poltroncina in un angolo. Vede un tavolino di legno scuro, basso, con diverse pile di riviste sopra e si avvicina a dare un’occhiata. «Questo proprio non me l’aspettavo» dichiara, sfogliando un numero di “Variety”.

«Che cosa?» domanda Marino avvicinandosi.

«È un settimanale specializzato per operatori dello spettacolo» spiega lei. «Questo è del novembre scorso. Strano» dice, leggendo la data. «A meno che la signora Towle non faccia l’attrice.»

«Forse ama semplicemente tenersi aggiornata sui VIP, come la maggioranza della popolazione» dice Marino, poco interessato.

«La maggioranza della popolazione legge “People”, “Entertainment Weekly” e roba del genere, non “Variety”. Questa è una pubblicazione per specialisti» ribadisce. Guarda le altre riviste. «“Hollywood Reporter”, “Variety”, “Variety”, “Hollywood Reporter”… Le più vecchie sono di due anni fa e la più recente di sei mesi fa. Forse l’abbonamento è scaduto. Venivano spedite a una tal signora Edith Arnette, a questo indirizzo. Ti dice niente?»

«No.»

«L’agente immobiliare ti ha detto chi è stato l’ultimo ad abitare in questa casa? La signora Towle stessa o qualcun altro?»

«Non me l’ha detto. E io ho dato per scontato che fosse lei.»

«Mai dare niente per scontato. Lo vuoi chiamare?» Apre la borsa di nylon nera, prende un grosso sacco per la spazzatura, lo apre e ci infila le riviste.

«Te le vuoi portare via?» chiede Marino dalla porta, dandole la schiena. «Perché?»

«Magari rileviamo qualche impronta.»

«E così i reati sono due: effrazione e furto» dichiara lui, leggendo un numero di telefono su un foglietto.

«Pazienza.»

«Anche se trovassi qualche impronta, non sarebbe ammessa come prova in quanto prelevata senza regolare mandato» continua a provocarla lui.

«Vuoi che le lasci qui, allora?» chiede Kay.

Marino fa spallucce. «Se si rivelano importanti, so dov’è la chiave: le riporto dentro, mi faccio emettere un mandato e le vengo a riprendere. Non sarebbe la prima volta che lo faccio.»

«Non me ne vanterei, se fossi in te» ribatte Kay Scarpetta, posando il sacco sul parquet polveroso per andare a controllare il tavolino sulla sinistra del divano. Continua a sentire odore di sigaro.

«Infatti non me ne vanto» ribatte Marino, digitando un numero sul tastierino del cellulare.

«Comunque, come fai a farti emettere un mandato? Non è la tua giurisdizione, questa.»

«Non ti preoccupare. Sono amico dell’ispettore Browning.» Dalla sua faccia spazientita, Kay intuisce che ha trovato la segreteria telefonica. Lo sente dire: «Salve, Jim, sono Marino. Volevo sapere se l’ultima persona che ha vissuto nella casa era la signora Edith Arnette. Può richiamarmi appena possibile? Grazie». Lascia il numero. «Vedi» dice poi a Kay Scarpetta. «Il caro Jim non aveva nessuna intenzione di venire a mostrarci la casa. Lo posso anche capire: è una tale catapecchia…»

«Sì, fa schifo.» Kay Scarpetta apre il cassetto del tavolino a sinistra del divano. È pieno di monetine. «Non credo che sia per questo che non è venuto, però. Senti, se tu e Browning siete tanto amici, com’è che l’altro giorno avevi paura che ti arrestasse?»

«Il passato è passato» sentenzia Marino, uscendo nel corridoio. «È un bravo cristo, non ti preoccupare. Se ci servirà un mandato, ce lo farà avere: pigliati pure tutte le riviste che vuoi. Dov’è la luce, qui?»

«In questo cassetto ci saranno cinquanta dollari in monetine da venticinque centesimi.» Kay Scarpetta ci passa le dita dentro. «Tutte da venticinque, senza eccezione. Cos’è che costa venticinque centesimi, Marino? Il quotidiano?»

«Il “Times Dispatch” ne costa cinquanta» risponde lui. «L’ho preso ieri a un distributore e ci ho dovuto mettere due monete da venticinque. Il doppio del “Washington Post”.»

«È strano trovare soldi in una casa disabitata» medita Kay Scarpetta chiudendo il cassetto.

Segue Marino nel corridoio buio ed entra in cucina. Rimane scioccata nel vedere il lavandino pieno di piatti sporchi e di acqua unta e verdastra. Apre il frigo e si convince sempre di più che in quella casa ha abitato qualcuno fino a poco tempo fa: sui ripiani ci sono succo di arancia e latte di soia che scadono alla fine del mese e nel freezer ci sono alcuni vassoi di carne confezionati tre settimane prima. Scopre altro cibo negli armadietti e nella dispensa, sempre più in ansia. Va in fondo al corridoio a controllare la camera da letto e, nel sentire odore di sigaro, si convince definitivamente che fino a poco tempo fa lì abitava qualcuno.

Il letto è matrimoniale, con un copriletto blu da quattro soldi. Kay lo abbassa e vede che le lenzuola sono sporche, stropicciate. Sul guanciale ci sono peli scuri e ricciuti e alcuni capelli rossastri. Il lenzuolo di sotto è pieno di macchie ormai secche. Kay crede di sapere di che cosa sono. Di fronte al letto c’è una finestra da cui si vedono la recinzione di legno che separa la casa dalla proprietà dei Paulsson e la finestra di Gilly. Sul comodino c’è un posacenere Cohiba di ceramica, nero e giallo, abbastanza pulito e meno polveroso di quanto non siano i mobili.

Kay Scarpetta perlustra ogni angolo senza accorgersi del tempo che passa, delle ombre che si allungano e della pioggia che batte sul tetto. Controlla l’armadio e i cassetti del comò e trova una rosa rossa appassita in un involucro di cellophane, giacche, cappotti e completi da uomo, tristi e fuori moda, ordinatamente appesi a grucce di metallo, camicie e pantaloni, anch’essi da uomo, meticolosamente piegati e tutti di colore scuro, mutande e calze da uomo, vecchie e da pochi soldi, e dozzine di fazzoletti da naso lavati e stirati.

Si siede per terra, estrae da sotto il letto alcune scatole di cartone, le apre e sfoglia vecchie pubblicazioni scientifiche per medici forensi e dépliant di imprese di pompe funebri, cataloghi di bare e accessori mortuari e opuscoli su articoli per imbalsamazione. Risalgono ad almeno otto anni prima e hanno l’aria vissuta. L’etichetta a cui sono stati spediti è stata rimossa; su alcune copertine resta qualche lettera o un pezzetto di codice postale, non abbastanza per capire da dove provengono.

Kay Scarpetta controlla le pubblicazioni in tutte le scatole, sperando di trovare un indirizzo completo e alla fine la sua fatica viene premiata. Legge l’indirizzo dell’abbonato e rimane sbigottita. Incredula, cerca invano una spiegazione logica. Chiama Marino e si alza in piedi, tenendo in mano una rivista che ha in copertina una bara a forma di automobile da corsa.

«Marino? Dove sei?» Va nel corridoio, guarda in giro e tende le orecchie. Ha il respiro corto e il batticuore. «Cristo santo, dove ti sei cacciato?» borbotta, percorrendo a grandi passi il corridoio. «Marino!»

È davanti al portone che parla al cellulare e, quando la vede, capisce che ha scoperto qualcosa. Kay Scarpetta gli mostra la rivista. «Sì, ci trovate qui» dice lui al telefono. «Forse ci tratterremo tutta la notte.»

Termina la chiamata e la guarda con la tipica espressione di chi ha fiutato la preda e vuole fermarla prima che gli sfugga di nuovo. Prende la rivista e la guarda in silenzio. «Browning sta venendo qui» le dice. «Con il mandato.» Volta la rivista e guarda l’indirizzo a cui è stata spedita. «Cristo santo» esclama. «L’Istituto di medicina legale della Virginia? La vecchia sede?»

«Non capisco» dice Kay Scarpetta. La pioggia batte sul tetto di ardesia. «Che sia qualcuno che lavorava per me?»

«O qualcuno che conosceva un tuo dipendente. Questa rivista è arrivata all’istituto.» Controlla di nuovo. «Sì, alla vecchia sede. Giugno 1996, quando tu eri il direttore. Eravate abbonati?» Entra nel salotto, si avvicina alla lampada sul tavolo e sfoglia la pubblicazione. «Non puoi non saperlo.»

«Non ho mai sottoscritto un abbonamento a questa rivista» dice Kay Scarpetta. «È una pubblicazione specializzata per le imprese di pompe funebri. Devono averlo richiesto senza la mia autorizzazione.»

«Chi potrebbe essere stato? Hai qualche idea?» Marino posa la rivista vicino alla lampada, sul tavolino polveroso.

A Kay Scarpetta viene in mente un uomo taciturno, che lavorava nella divisione di Anatomia, timido e riservato, con i capelli rossi, che a un certo punto aveva smesso di lavorare per problemi di salute. Non pensava a lui da un sacco di tempo e, se le è venuto in mente adesso, un motivo deve esserci.

«Sì» risponde. «Un certo Edgar Allan Pogue.»