174056.fb2 La traccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

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Kay Scarpetta entra nella sala riunioni e si siede in fondo al tavolo, dove non ha mai preso posto nei tanti anni in cui ha lavorato lì, nemmeno per scambiare due chiacchiere con un collega durante la pausa pranzo.

Pensa che forse c’è qualcosa di sbagliato nello scegliere quella posizione, visto che ci sono altri due posti liberi al centro. Marino prende una sedia vicino al muro e le si va a sedere accanto, in maniera da non essere né contro la parete né in fondo al tavolo, ma in una posizione più centrale. È immusonito e non si toglie il berretto della polizia.

Le dice in un orecchio: «Il personale lo vede come il fumo negli occhi».

Kay non risponde e decide che probabilmente Marino lo ha saputo da Julie. Vede che scrive qualcosa su un blocco e lo gira perché lei lo legga. L’appunto dice: “Coinvolta FBI”.

Marino deve aver fatto qualche telefonata, mentre lei era con Marcus in biblioteca. È stupefatta. Perché l’FBI è coinvolta nella vicenda di Gilly Paulsson? Non è nemmeno ancora stata accertata la causa della morte… Ripassa il blocco a Marino e si accorge che Marcus li sta osservando. Per un attimo le pare di essere tornata ai tempi della scuola, quando le suore la sgridavano se chiacchierava con la compagna di banco. Marino tira fuori dal pacchetto una sigaretta e, sfacciatamente, comincia a batterla sul blocco.

«In questo edificio è vietato fumare» dice Marcus in tono autoritario.

«Giustamente» replica Marino. «Il fumo uccide.» Continua a tamburellare con il filtro della Marlboro sul blocco su cui ha scritto il messaggio per Kay. «Vedo con piacere che l’uomo senza pelle è ancora qui» aggiunge poi, indicando il modello anatomico dietro al dottor Marcus, che è seduto a capotavola. «Mi ha sempre fatto impressione» continua riferendosi al modello, i cui organi in plastica estraibili sono tutti al loro posto. Kay si chiede se Marcus lo utilizzi per insegnare agli studenti o per dare spiegazioni a familiari e procuratori, e alla fine decide che probabilmente il modello è lì per bellezza. Se Marcus lo usasse, probabilmente avrebbe perso qualche pezzo.

Kay Scarpetta non conosce nessuno dei presenti, a parte il vicedirettore dell’istituto, Jack Fielding, il quale evita deliberatamente il suo sguardo. Nota che ha un disturbo della pelle che non aveva, quando lavorava con lei. Stenta a credere che nel giro di cinque anni il suo collega, un tempo superpalestrato, si sia ridotto così. Non era molto bravo sul fronte amministrativo, ricorda, né particolarmente preparato dal punto di vista professionale, ma era affidabile, rispettoso e attento. Nei dieci anni in cui ha lavorato per lei, non ha mai cercato di farle le scarpe o di metterla in cattiva luce ma, quando i suoi detrattori hanno cominciato a farle la guerra, non ha mosso un dito per difenderla. Poi osserva che ha perso molti capelli e si è imbruttito. Ha la faccia gonfia e arrossata, gli occhi lucidi, e tira continuamente su con il naso. Kay non crede che si droghi — anzi, ne è sicura — ma è pronta a scommettere che si sia messo a bere.

«Ti è venuta qualche allergia, Jack?» gli domanda. «Un tempo non ne soffrivi, mi pare. O sei raffreddato?» In realtà dubita che Fielding abbia il raffreddore, l’influenza o qualche altra malattia contagiosa.

Probabilmente ha bevuto troppo ieri sera. O forse è allergico a qualcosa. Ha uno sfogo rossastro sul collo, fino alla scollatura a V del camice. Gli guarda le mani e nota che la pelle è ruvida e irritata. La sua massa muscolare è diminuita visibilmente: adesso Fielding è inagrissimo e chiaramente sofferente. Kay Scarpetta è convinta che le dipendenze rendano più vulnerabili ad allergie e dermatiti. Fielding non sta bene. E forse è meglio così, perché se fosse al massimo della forma, sarebbe costretta a concludere che la Virginia e l’umanità intera stiano molto meglio senza di lei. Da un certo punto di vista è sollevata nel vedere che Fielding è in condizioni peggiori di una volta. Si vergogna di questo pensiero e lo scaccia dalla mente, preoccupata e angosciata. Cerca di incrociare il suo sguardo, ma lui continua a evitarla.

«Prima che riparta, spero che troviamo un momento per parlare» gli dice dal fondo del tavolo, come se nella stanza ci fossero solo loro due. Un tempo era così, quando lei dirigeva l’Istituto di medicina legale della Virginia ed era talmente rispettata e autorevole che a volte gli studenti più ingenui e i poliziotti più giovani, incontrandola nei corridoi, le chiedevano addirittura un autografo.

Si sente addosso lo sguardo di Marcus. Non la sorprende che non si sia messo il camice: è evidente che fa parte di quella categoria di anatomopatologi che non amano il proprio lavoro e appena possono lasciano ad altri le autopsie.

«Vogliamo cominciare?» dice Marcus. «Purtroppo stamattina abbiamo molti casi da esaminare. Come vedete, abbiamo ospiti. La dottoressa Scarpetta e il capitano Marino… O è tenente? O ispettore… Lavora a Los Angeles, adesso?»

«Anche» risponde Marino sempre con il berretto calcato sulla fronte e la sigaretta spenta in mano.

«E in quale veste si trova qui?» Marcus gli sta facendo notare che non ha dato spiegazioni. «Mi scusi, ma non ricordavo che la dottoressa Scarpetta mi avesse annunciato la sua presenza.» Insiste, e per di più davanti a terzi.

Kay capisce che vuole metterla in cattiva luce, vuole fargliela pagare per le provocazioni in biblioteca. Ripensando alle telefonate che Marino ha fatto, le viene il sospetto che Marcus sia venuto a saperlo.

«Peccato» risponde Marino. «Ma le avrà detto che lavoriamo insieme, immagino.»

«Certo che gliel’ho detto» interviene Kay Scarpetta dal lato opposto del tavolo.

«Comunque sia, adesso passeremo in rassegna i casi di oggi» dice Marcus, rivolto a lei. «Se voi due volete andare a prendervi un caffè o a fumarvi una sigaretta — purché fuori dall’edificio — fate pure. Non sentitevi in obbligo di restare. Voglio dire, se volete rimanere, naturalmente siete i benvenuti, ma se preferite andare…»

Lo dice a beneficio del suo staff, che non è al corrente del colloquio avvenuto in biblioteca, e con un tono che a Kay sembra vagamente minaccioso. Vuole farle fare la figura dell’invadente. È un politico, e nemmeno tanto in gamba. Forse è finito a dirigere l’Istituto di medicina legale perché qualcuno lo riteneva malleabile e innocuo, il contrario di quel che lei è sempre stata. Ma Marcus non è né malleabile né innocuo.

Il nuovo direttore si volta verso la donna alla sua destra, grande e grossa, con la faccia da cavallo e i capelli grigi e cortissimi. Dev’essere l’amministratrice dell’istituto. Marcus le fa segno di cominciare.

«Va bene» dice la donna. Tutti guardano le fotocopie giallastre del programma della giornata. «Dottoressa Ramie, era di turno lei ieri sera?» domanda la donna.

«Sì. La mia solita fortuna.»

Nessuno ride. L’atmosfera è funerea, e non per via dei pazienti in attesa dell’esame più invasivo che abbiano mai subito.

«Abbiamo Sissy Shirley, nera, novantadue anni, della contea di Hanover. Cardiopatica, trovata morta nel letto della casa di riposo in cui era ricoverata. Già vista» comincia la dottoressa Ramie consultando i propri appunti. «Poi c’è Benjamin Franklin. Poveretto, si chiamava proprio così. Ottantanove anni, nero, anche lui trovato morto nel letto, cardiopatico, nevropatia pregressa…»

«Come, scusi?» la interrompe Marcus. «Ha detto “nevropatia”?»

Alcuni ridono e la dottoressa arrossisce. È bruttina e sovrappeso, giovane. Diventa paonazza.

«E cosa sarebbe, di grazia?» Gigione, Marcus si accanisce contro di lei per conquistarsi il favore del suo pubblico. «Non mi dica che ha ricoverato nel nostro istituto un poveretto perché a suo dire soffriva di “nevropatia” pregressa, per favore.»

Non è spiritoso, è maligno: all’Istituto di medicina legale arrivano i morti e non vengono “ricoverati” dei “poveretti”. È terribilmente poco rispettoso nei confronti di persone chiuse dentro sacchi di plastica o distese su tavoli di acciaio poco lontano da lì, in attesa del bisturi e della sega Stryker.

«Scusate, ho letto male» dice confusa la dottoressa Ramie. «Volevo dire nefropatia. Non capisco più nemmeno la mia scrittura…»

«Dunque il buon Benjamin Franklin non soffriva di nervi. Non è che l’ha colpito un fulmine, per caso?» interviene Marino, giocherellando con la sigaretta spenta. «Avete qualche morto per avvelenamento da piombo, o ferita d’arma da fuoco che dir si voglia?»

Marcus lo fulmina con lo sguardo.

La dottoressa Ramie prosegue. «Ho già visto anche lui. Poi abbiamo… Finky… No, aspettate. Finder… Cioè…»

«Finky Finder?» interviene Marino, facendo lo spiritoso. «O Finder Finky?»

«È il nome o il cognome?» chiede Marcus, alzando la voce per zittire Marino.

La dottoressa Ramie è talmente paonazza che Kay Scarpetta per un attimo teme che si alzi ed esca dalla sala in lacrime. «Sembrano nome e cognome. Finky Finder» risponde, secca. «Ventidue anni, nera, trovata morta in un bagno con l’ago ancora piantato nella vena del braccio. Probabile overdose di eroina. Sarebbe la seconda in quattro giorni. Questa è ancora da vedere.» Gira un foglio. «Appena prima che cominciasse la riunione è arrivato un quarantaduenne bianco, Theodore Whitby. Si è infortunato sul lavoro.»

Marcus sbatte le ciglia, mentre tutti abbassano gli occhi. Kay Scarpetta implora in cuor suo Marino di stare zitto. Invece lui puntualizza: «Si è infortunato? Vuol dire che è ancora vivo?».

«Per la verità non ho ricevuto io la chiamata» balbetta la dottoressa Ramie. «Dottor Fielding…»

«Nemmeno io» risponde lui brusco.

«Ah, credevo che… Allora è stato il dottor Martin. Dev’essere la sua scrittura» continua la Ramie, sempre più paonazza e confusa. «La dinamica dell’incidente è ancora da chiarire, ma pare che fosse davanti al suo trattore e un minuto dopo sia stato visto lungo disteso per terra, in fin di vita. È successo alle otto e mezzo di questa mattina, nemmeno un’ora fa. Probabilmente è stato investito in seguito a una caduta o perché ha perso il controllo del mezzo. Quando sono arrivati i soccorsi, era già morto.»

«Dunque si è ammazzato. È stato un suicidio» interviene Marino, giocherellando con la sigaretta.

«Sfortuna vuole che sia successo davanti alla vecchia sede dell’istituto, nel cantiere di North Fourteenth Street» dice la Ramie.

Questa aggiunta colpisce Marino, che smette subito di scherzare e guarda Kay Scarpetta, la quale ripensa all’uomo in pantaloni verdi e giacca nera che ha visto davanti alla ruota del trattore. Era vivo, e adesso è morto. Quando lo ha visto davanti alla ruota a trafficare con il motore, ha pensato che era un’imprudenza. E adesso quel poveretto è morto.

«Su di lui va effettuata l’autopsia» dice la Ramie, dandosi un contegno.

Kay Scarpetta ricorda di aver guardato l’uomo dietro il trattore finché non è scomparso alla sua vista. Evidentemente, appena lei ha svoltato, il trattore si è messo in moto e lui ci è finito sotto.

«Propongo che di quest’uomo si occupi lei, dottor Fielding» dice Marcus. «Si accerti che non abbia avuto un infarto o altri disturbi prima di essere investito. L’elenco delle lesioni riportate sarà lunghissimo, ma non c’è bisogno che io le ricordi che in questi casi gli esami devono essere estremamente accurati. Anche se, per certi versi, inutili.» Guarda Kay Scarpetta. «Lei ha lavorato a lungo al 9 di North Fourteenth Street, vero?»

«Sì» risponde lei, senza riuscire a togliersi dalla testa l’immagine dell’uomo in pantaloni verdi e giacca nera. «Molti anni. Poi ci siamo trasferiti qui.» Ci tiene a farglielo presente, come se fosse importante.

La dottoressa Ramie riprende a parlare dell’ordine del giorno. Vi sono un detenuto sulla cui morte non ci sono sospetti, ma che va esaminato perché per legge tutti coloro che muoiono in carcere devono essere sottoposti all’esame di un medico legale, poi un uomo rinvenuto cadavere in un parcheggio, forse assiderato, una donna diabetica morta improvvisamente mentre scendeva dalla propria auto, un neonato morto nella culla, un diciannovenne ritrovato in mezzo a una strada e presumibilmente ucciso da un colpo di arma da fuoco.

«Io devo andare a Chesterfield, in tribunale» conclude la dottoressa Ramie. «E avrei bisogno di un passaggio perché la mia macchina è di nuovo dal meccanico.»

«La accompagno io» si offre Marino, facendole l’occhiolino. La dottoressa Ramie assume un’espressione terrorizzata.

Fanno tutti per alzarsi, ma il dottor Marcus li ferma. «Prima di chiudere, vorrei farvi qualche domanda» dice. «Come sapete, il nostro istituto organizza corsi di aggiornamento durante i quali io tengo alcune lezioni sul ruolo del medico legale. Ho pensato di sottoporvi alcuni dei quesiti che intendo porre ai partecipanti e, se non vi dispiace, vorrei farlo stamattina, approfittando del fatto che abbiamo una grande esperta fra noi.»

“Ma che bastardo” pensa Kay Scarpetta. “Vuole farmela pagare. Ce l’ha con me.”

Marcus guarda tutte le persone sedute intorno al tavolo. «Donna, vent’anni, bianca, alla settima settimana di gravidanza» comincia. «Il suo compagno la prende a calci, lei chiama la polizia e finisce in ospedale. Alcune ore dopo abortisce. La polizia chiama il medico legale. Che cosa deve fare costui?»

Nessuno risponde. È ovvio che non sono abituati a questo tipo di interrogazione. Lo guardano senza fiatare.

«Su, coraggio» dice lui con un sorrisetto. «Dottoressa Ramie.»

«Sì, dottore?» risponde lei, arrossendo.

«Mi dica, che cosa farebbe, se venisse interpellata dalla polizia su un caso del genere?»

«Un esame necroscopico sul feto abortito?» tira a indovinare la donna.

«Nessun altro vuole buttarsi? Dottoressa Scarpetta?» Marcus pronuncia il cognome lentamente, come per sottolineare il fatto che non la sta chiamando per nome. «Si è mai trovata in questa situazione?»

«Purtroppo sì» risponde lei.

«Ci spieghi, allora. Come si è comportata?» le domanda rispettoso.

«Ovviamente picchiare una donna incinta è reato» spiega Kay. «La morte del feto può essere considerata un omicidio.»

«Interessante.» Marcus si guarda intorno, prima di ripartire all’attacco. «Dunque lei tratterebbe un aborto alla settima settimana di gravidanza come un omicidio. Non le sembra un po’ azzardato?»

“Sei un vero bastardo” pensa Kay, che risponde: «Se la polizia mi interpella, è perché vuole conoscere la causa del decesso. Come lei certamente saprà, la legge è stata modificata alla fine degli anni Novanta, dopo il caso di un uomo che sparò a una gravida, la quale sopravvisse ma perse il bambino. Nel caso che lei ha esposto, io effettuerei l’autopsia sul feto. Per il certificato di morte userei il modulo giallo, perché il feto è nato morto, ma scriverei che la morte è sopravvenuta a livello intrauterino a causa delle violenze subite dalla madre. Archivierei inoltre copia del modulo con la pratica, perché il Bureau of Vital Records, una volta completate le sue statistiche, distrugge la documentazione».

«E cosa farebbe del feto?» domanda Marcus, molto meno rispettoso di prima.

«Chiederei ai familiari.»

«È un esserino di nemmeno dieci centimetri di lunghezza: non resterebbe niente da seppellire!» ribatte lui in tono sprezzante.

«Be’, allora lo metterei in formalina. Ma lo darei ai familiari, perché ne facciano quello che vogliono.»

«E lo definirebbe un omicidio» ribadisce freddo.

«La legge stabilisce che qualsiasi atto di violenza volto a uccidere un familiare è un reato punibile con la pena capitale. Anche se non si riuscisse a dimostrare l’intento omicida, permane il reato di atti di violenza sulla madre, anch’esso punibile con la morte. Qualora venisse dimostrato che non vi era intenzione di uccidere, si tratterebbe comunque di omicidio colposo o preterintenzionale. Il fatto che il bambino non fosse ancora nato è irrilevante.»

«Obiezioni?» chiede Marcus al suo staff. «Commenti?»

Nessuno risponde, nemmeno Fielding.

«Bene, passiamo a un altro caso» insiste Marcus con un sorriso maligno.

“Come vuoi” pensa Kay. “Te la faccio vedere io.”

«Un giovane ricoverato in un centro riservato ai malati terminali che sta morendo di AIDS chiede al medico di staccare la spina» inizia Marcus. «Se il medico lo accontenta, sul paziente dev’essere effettuata autopsia? Esiste l’ipotesi di omicidio? Dottoressa, ci dia il suo parere.»

«A mio avviso, è morte naturale, a meno che il medico non pianti una pallottola nella testa del paziente» risponde lei.

«Dunque lei è favorevole all’eutanasia…»

Kay Scarpetta non gli risponde nemmeno. «Il consenso informato pone diversi problemi. Spesso a darlo è un paziente depresso, che in quanto tale non è in grado di prendere decisioni meditate. È una questione che andrebbe affrontata a livello sociale…»

«Mi scusi, forse non ho capito bene» la interrompe Marcus.

«Che cosa non ha capito?»

«Abbiamo un malato terminale che un bel giorno si sveglia e decide di morire. Secondo lei il suo medico deve lasciarlo fare?»

«I malati terminali hanno questo diritto» risponde Kay Scarpetta. «Possono decidere di morire comunque: avendo accesso alla morfina per combattere il dolore, possono chiederne un po’ di più e morire nel sonno. Hanno diritto di indossare il bracciale con la scritta DO NOT RESUSCITATE e rifiutare la rianimazione. E, in questi casi, nessuno deve rispondere di nulla.»

«Il nostro caso, però, è un po’ diverso» insiste Marcus, stizzito.

«I malati terminali hanno diritto a un’adeguata terapia del dolore e a morire in pace» risponde Kay Scarpetta. «La legge prevede la possibilità di indossare un braccialetto per non essere rianimati e di rifiutare l’accanimento terapeutico. Un malato terminale che muore di overdose di morfina o perché rifiuta il respiratore o la rianimazione non deve essere portato in un Istituto di medicina legale. E, se ci arriva, il direttore deve rimandarlo indietro.»

«Commenti?» chiede Marcus radunando i propri fogli e preparandosi a uscire.

«Sì» interviene Marino. «Ha mai pensato di tenere una rubrica su Jeopardy, dottor Marcus?»