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13

Il telefono squillò a mezzanotte meno un quarto. Mi ci lanciai. Heather ha regole molto precise per le telefonate che arrivano dopo che lei è andata a dormire.

«Pronto?»

«Scusami se ti chiamo così tardi, ma è tutta la sera che ti cerco.» Era Cassie.

Avevo messo il cellulare in modalità silenziosa, ma le avevo viste tutte le sue chiamate e non avevo risposto. «Adesso non posso proprio parlare» dissi.

«Rob, cazzo, questa è una cosa molto importante…»

«Scusami, devo andare» dissi. «Sarò in centrale domani, a una certa ora, oppure lasciami un messaggio.» La sentii prendere fiato, dolorosamente, ma misi giù la cornetta ugualmente.

«Chi era?» chiese Heather, apparendo sulla soglia della sua stanza con una camicia da notte con colletto e l'aria assonnata e… incazzata.

«Era per me» dissi.

«Cassie?»

Andai in cucina, trovai del ghiaccio e ne misi alcuni cubetti in un bicchiere. «Oh, sì!» disse Heather con l'aria di chi la sapeva lunga. «Allora finalmente ci sei andato a letto, vero?»

Buttai il vassoio del ghiaccio di nuovo nel freezer. Heather alla fine mi lascia in pace se glielo chiedo, ma non ne vale mai la pena: il broncio, la stizza e gli accenni alla sua sensibilità si trascinano molto più a lungo della semplice irritazione che mi provoca.

«Non se lo merita» disse. Questo mi spiazzò. Heather e Cassie si detestavano. Una volta, proprio all'inizio, avevo invitato Cassie a casa mia a cena e Heather era stata scorbutica tutta la sera, al limite della maleducazione, e aveva passato ore, dopo che Cassie se n'era andata, a sprimacciare i cuscini del divano e ad aggiustare i tappeti, sospirando rumorosamente, mentre Cassie non aveva più nominato Heather. Non so se quell'improvviso attacco di solidarietà femminile avesse solo a che vedere con il «non più di quanto me lo meriti io» che mi lanciò dopo, tornandosene a dormire e sbattendo la porta. Mi portai il ghiaccio in camera e mi preparai una vodka tonic bella forte.

Non riuscii a dormire, e onestamente non vedo come avrei potuto. Quando la luce cominciò a filtrare dalle tende, ci rinunciai. Decisi che sarei andato a lavorare presto per trovare qualcuno che mi dicesse cosa era successo tra Cassie e Rosalind e per mettermi a preparare il fascicolo su Damien da mandare al procuratore. Ma pioveva ancora forte e il traffico era già congestionato. I veri yuppie dublinesi escono di casa prima delle sei, così riescono a trovare parcheggio, per poi dormire ancora un po' in auto davanti all'ufficio. Ovviamente, la Land Rover pensò bene di forare a metà di Merrion Road, così che, io che con la meccanica non vado molto d'accordo, dovetti scendere e trafficare per cambiare la ruota… con la pioggia che mi colava giù per il collo, il cric che mi massacrava le dita e gli automobilisti dietro di me che si scatenavano stupidamente con i clacson, come se senza la mia presenza lì a intralciarli fossero potuti arrivare chissà dove. Non ne potei più e li misi a tacere piazzando il lampeggiante sul tetto.

Erano quasi le otto quando arrivai in ufficio e, immancabilmente, il telefono squillò mentre ancora mi stavo togliendo il cappotto. «Sala operativa, detective Ryan, chi parla?» risposi infastidito. Avevo freddo, ero bagnato, stufo e me ne sarei tornato volentieri a casa a farmi un lungo bagno e a bere un whisky caldo. Chiunque fosse, non avevo alcuna voglia di parlarci.

«Muovi le chiappe e vieni qui» disse O'Kelly. «Adesso.» E riattaccò.

Fu il mio corpo a capire prima che il mio cervello: diventai gelido, sentii una stretta allo sterno e mi irrigidii al punto che quasi non riuscivo più a respirare. Non so per quale motivo, ma dovevo essere nei casini. Se O'Kelly ha voglia di due chiacchiere e basta, fa capolino dalla porta e abbaia: "Ryan, Maddox… nel mio ufficio" e sparisce per andare ad aspettarti al suo posto, dietro la scrivania, prima che tu riesca a raggiungerlo. Le convocazioni telefoniche, invece, sono foriere di una lavata di testa. Poteva essere qualsiasi cosa, ovviamente, una soffiata importante che avevo trascurato, Jonathan Devlin che si lamentava del mio modo di trattare la gente, Sam che aveva pestato i piedi al politico sbagliato, qualsiasi cosa. Anche se una vocina dentro la mia testa mi diceva che non sarebbe stato nulla di tutto ciò.

O'Kelly mi aspettava in piedi, con la schiena rivolta alla finestra e le mani in tasca. «Adam Ryan del cazzo» mi accolse. «Non ti è passato per la zucca che magari era il caso che io ne fossi informato?»

Venni travolto da un'ondata di cocente e terribile vergogna. Mi bruciava la faccia. Non mi capitava dai tempi della scuola un'umiliazione schiacciante, totale, quella che ti svuota lo stomaco quando ti rendi conto, senza possibilità di scampo, che ti hanno beccato, incastrato, che non c'è assolutamente nulla che tu possa dire o fare per negarlo, cavartela o migliorare la situazione. Gettai uno sguardo alla scrivania di O'Kelly, come per cercare qualcosa nella grana del finto legno, come uno studente condannato che aspetta di vedere la bacchetta con la quale verrà punito. Pensavo che il silenzio fosse un gesto di orgoglio, di solitaria indipendenza, una cosa da personaggio di Clint Eastwood provato dalla vita. Per la prima volta, lo vedevo per quello che era: un comportamento miope, infantile, sleale e stupido, stupido, stupido…

«Hai idea di quanto potresti aver incasinato l'inchiesta?» continuò gelidamente O'Kelly. Diventa sempre più abile con la parola quando è arrabbiato, altra ragione per cui penso sia più intelligente di quanto non finga di essere. «Cerca di farti venire in mente velocemente la linea di difesa alla quale potrebbe attenersi un buon avvocato nell'ipotesi che questa faccenda vada a finire in tribunale. Uno dei detective del caso che è stato l'unico testimone oculare e l'unica vittima di un fatto analogo rimasto insoluto… Cristo santo. Mentre tutti noi di notte sogniamo la figa, gli avvocati della difesa sognano di incontrare un detective come te. Potrebbero accusarti di qualsiasi cosa, dall'incapacità all'aver condotto l'indagine in maniera parziale, fino alla possibilità che possa essere tu stesso un sospetto in entrambi i casi. I mass media, i dietrologi e tutta quella gente che non sopporta i poliziotti andranno in brodo di giuggiole. Tra una settimana nessuno in questo paese si ricorderà chi fosse originariamente l'imputato.»

Lo guardai fisso. Quel pugno allo stomaco, arrivato come dal nulla mentre ancora cercavo di riprendermi dal fatto di essere stato scoperto, mi lasciò sgomento e ammutolito. Sembrerà incredibile, ma giuro che non mi era mai venuto in mente, nemmeno una volta in vent'anni, che potessi essere sospettato della sparizione di Peter e Jamie. Non c'era mai stato niente di tutto ciò nel fascicolo di quel caso, niente. L'Irlanda del 1984 assomigliava più a Rousseau che a Orwell. I bambini erano innocenti, appena usciti dalle mani di Dio: sarebbe stato un oltraggio alla natura pensare che potessero essere degli assassini. Oggi sappiamo tutti che non c'è un'età in cui si è troppo giovani per uccidere. Ero robusto per i miei dodici anni, avevo del sangue che non era il mio sulle scarpe e la pubertà è un periodo scivoloso e squilibrato. Avevo bisogno di sedermi.

«Chiunque tu abbia mai messo dentro chiederà un riesame sostenendo che potresti aver inquinato le prove, visto che lo hai fatto una volta. Congratulazioni, Ryan: hai appena mandato a puttane qualsiasi caso di cui tu ti sia mai occupato.»

«Allora sono fuori da questo caso» dissi, stupidamente.

Avevo le labbra viscose, intorpidite. Improvvisamente vedevo, come in un'allucinazione, decine di giornalisti che urlavano e raspavano alla porta del mio appartamento chiamandomi Adam e chiedendomi dettagli cruenti. A Heather sarebbe piaciuto un sacco: melodramma e martirio in abbondanza. L'avrebbero resa felice per mesi. Cristo.

«No, non sei fuori da questo dannato caso» scattò O'Kelly. «Non sei fuori da questo dannato caso perché non voglio che qualche cronista troppo sveglio si chieda perché ti abbia dato un calcio nel culo. D'ora in poi, la parola d'ordine sarà: limitiamo i danni. Non interrogherai più nessun testimone, non toccherai più nemmeno una prova, te ne starai seduto alla tua scrivania e cercherai di non fare più casino di quello che hai già fatto. Faremo tutto il possibile per evitare che la cosa trapeli. E quando il processo a Donnelly sarà finito, se mai ci sarà un processo, ti riterrai sospeso da tutte le indagini ancora in corso di questa squadra.»

L'unica cosa alla quale riuscivo a pensare era che "limitare i danni" erano solo parole. «Mi dispiace moltissimo, signore» dissi, sembrandomi il commento migliore da fare. Non avevo idea di cosa implicasse la sospensione. Mi venne in mente l'immagine di un poliziotto di un serial televisivo che sbatteva il distintivo e la pistola sulla scrivania del suo capo e, dopo un primo piano che si dissolveva nei titoli di coda, vedeva la sua carriera andare in fumo.

«Mi ci pulisco il culo con le tue scuse» disse O'Kelly, acido. «Vai a spulciarti le intercettazioni telefoniche e archiviale. Se ce ne sono che riguardano il caso, non finire neppure di leggerle, passale direttamente a Maddox o a O'Neill.» Si sedette alla scrivania, prese la cornetta del telefono e iniziò a comporre un numero. Me ne stetti lì a guardarlo per qualche secondo, prima di capire che dovevo andare.

Tornai lentamente alla sala operativa. Non so perché, ma non avevo nessuna intenzione di mettermi alle intercettazioni. Credo che sia stato una specie di pilota automatico. Cassie era seduta davanti al videoregistratore, con i gomiti appoggiati alle ginocchia, e stava guardando il nastro di me che interrogavo Damien. Le sue spalle erano cascanti, con un che di esausto, e il telecomando le pendeva mollemente da una mano.

Qualcosa dentro di me ebbe un guizzo orribile e malsano. Non so come, ma non mi aveva neanche sfiorato l'idea di chiedermi come avesse fatto O'Kelly a scoprirlo. Me ne resi conto in quel momento, mentre ero fermo sulla soglia della sala operativa e la guardavo: fatto intollerabile e crudele, poteva averlo saputo in un solo modo.

Ero stato piuttosto stronzo con Cassie negli ultimi tempi, anche se avrei potuto dire che la situazione era complicata e che avevo le mie ragioni. Ma niente di ciò che le avevo fatto, niente al mondo di quello che avrei potuto farle avrebbe giustificato una cosa come questa. Non avrei mai immaginato un simile tradimento ma, come canta il poeta, inferno non conosce furia. Credetti che le ginocchia non mi avrebbero sostenuto.

Forse feci rumore o un movimento involontario, non lo so, ma Cassie si voltò di scatto, dalla sedia, e mi fissò. Un attimo dopo premette il tasto STOP e lo schermo diventò azzurro. «Cosa ti ha detto O'Kelly?» disse, deponendo il telecomando.

Lo sapeva, lo sapeva già. L'ultima ombra di dubbio precipitò pesante come un macigno sul mio plesso solare. «Sono sospeso a partire dalla chiusura del caso» dissi secco. La mia voce sembrava appartenere a qualcun altro.

Cassie spalancò gli occhi, sbigottita. «Oh, merda» disse. «Oh, merda, Rob… ma non sei fuori, vero? Non ti ha… cacciato o qualcosa del genere?»

«No, non mi ha cacciato» dissi. «Anche se non è certo per merito tuo.» Lo shock iniziale cominciava a stemperarsi e lasciava il posto a una rabbia fredda e cattiva, come una scarica elettrica. Mi faceva tremare in tutto il corpo.

«Sei ingiusto» disse Cassie, e la sua voce vacillò leggermente. «Ho cercato di avvertirti in tutti i modi, non so più quante volte ti ho chiamato ieri sera…»

«Un po' tardi per preoccuparsi di me, a quel punto, non ti pare? Avresti dovuto pensarci prima.»

Cassie era impallidita mortalmente. Avrei voluto levarle dalla faccia quello sguardo attonito e sconcertato. «Prima di… COSA?» chiese.

«Prima di andare a spiattellare la mia vita privata a O'Kelly. Ti senti meglio adesso, Maddox? Mandare a puttane la mia carriera ti ha ripagata di non essere stata trattata come una principessina questa settimana? O hai ancora qualcosa in serbo?»

Dopo un momento disse, con un tono molto calmo: «Pensi che sia stata io a dirglielo?»

Quasi mi misi a ridere. «Sì, lo penso, sì. Ci sono solo cinque persone al mondo che lo sanno e onestamente dubito che i miei genitori o un amico che non vedo da quindici anni possano aver scelto proprio questo momento per chiamare il mio capo e dirgli: "Oh, a proposito, lo sapevi che il nome di battesimo di Ryan è Adam?" Ma mi credi completamente stupido? Lo so benissimo che sei stata tu, Cassie.»

Non aveva abbassato lo sguardo: lo teneva fisso nel mio, ma in qualche modo era cambiato e mi resi conto che era furiosa almeno quanto me. Con uno scatto, afferrò una videocassetta dal tavolo e me la lanciò contro con forza, facendo un ampio movimento con il braccio. Mi scansai istintivamente. Andò a sbattere contro il muro, esattamente dov'era prima la mia testa, cadde e finì in un angolo.

«Guarda quel nastro» disse.

«Non m'interessa.»

«Guarda quel nastro, subito, o giuro su Dio che farò in modo che domani mattina la tua faccia sia su tutti i giornali del Paese.»

Non fu tanto la minaccia in sé a convincermi quanto piuttosto il fatto che venisse da lei, che avesse giocato la sua carta migliore. Accese qualcosa in me, una violenta curiosità mista a una sorta di orribile premonizione… O forse è solo il senno di poi, non lo so. Raccolsi la cassetta, la infilai nel videoregistratore e premetti il tasto PLAY. Cassie, rigida e con le braccia conserte, mi guardava immobile. Presi in malo modo una sedia e mi sedetti davanti allo schermo, dandole le spalle.

Era la cassetta sfocata e in bianco e nero dell'interrogatorio di Cassie a Rosalind, la sera prima. L'orario in sovrimpressione diceva 20.27. Nella stanza accanto, a quell'ora stavo per rinunciare a proseguire quello di Damien. Rosalind era sola nella stanza degli interrogatori principale e si stava ritoccando il rossetto aiutandosi con uno specchio. C'erano dei rumori di sottofondo e mi ci volle un attimo per riconoscerli: erano singhiozzi disperati e c'era la mia voce che ripeteva, senza troppa convinzione: «Damien, ho bisogno che tu mi spieghi perché l'hai fatto». Cassie aveva acceso l'interfono sul mio interrogatorio a Damien. Rosalind sollevò la testa e guardò nel vetro a specchio, il viso totalmente inespressivo.

Si aprì la porta e Cassie entrò, Rosalind chiuse il rossetto e lo mise nella borsetta. Damien singhiozzava ancora. «Merda» disse Cassie, lanciando un'occhiata all'interfono. «Mi scusi, mi dispiace che fosse acceso.» Lo spense. Rosalind le rivolse un sorrisetto teso e contrariato.

«Il detective Maddox interroga Rosalind Frances Devlin» disse Cassie rivolta alla telecamera. «Si sieda.»

Rosalind non si mosse. «Temo di doverle dire che preferirei non parlare con lei» disse con una voce gelida e sprezzante che non le avevo mai sentito usare prima. «Vorrei parlare con il detective Ryan.»

«Mi dispiace ma non è possibile» disse Cassie con tono allegro, prendendo una sedia per sé. «Sta conducendo un interrogatorio, come avrà certamente potuto sentire» aggiunse, con un debole sorriso.

«Allora tornerò quando avrà finito.» Rosalind si mise la borsa sotto il braccio e si diresse verso la porta.

«Un momento, signorina Devlin» disse Cassie e nella sua voce questa volta c'era qualcosa di duro. Rosalind sospirò e si girò, con le sopracciglia inarcate in uno sguardo di sufficienza. «C'è qualche ragione particolare per la quale lei è improvvisamente così riluttante a rispondere a qualche domanda sull'assassinio di sua sorella?»

Vidi gli occhi di Rosalind sollevarsi per un attimo verso la telecamera, ma il suo sorrisino freddo non cambiò. «Credo che lei sappia, detective, se è onesta con se stessa» disse, «che sono più che disponibile a contribuire in ogni modo alle indagini. È semplicemente che non voglio parlare con lei, e sono certa che sappia bene perché.»

«Facciamo finta che io non lo sappia.»

«Oh, detective, è stato evidente fin dall'inizio che a lei di mia sorella non importa proprio nulla. A lei interessa solo fare la sciocca con il detective Ryan. Ma non è contro le regole andare a letto con un collega?»

Mi colse un nuovo accesso di rabbia, così violento da togliermi il respiro. «Gesù Cristo! È di questo che stiamo parlando? Solo perché pensavi che io le avessi detto…» Rosalind aveva tirato a indovinare, non le avevo mai detto una parola, né a lei né a nessun altro. E Cassie aveva pensato che lo avessi fatto e si era vendicata in quel modo senza nemmeno chiedermi…

«Sta zitto» disse gelida, dietro di me. Congiunsi le mani con forza e fissai lo schermo. La rabbia quasi mi accecava.

Sullo schermo, Cassie non si era neppure mossa. Dondolava la sedia sulle due gambe posteriori e scuoteva il capo, divertita. «Mi spiace, signorina Devlin, ma non mi faccio disorientare così facilmente. Io e il detective Ryan la pensiamo esattamente allo stesso modo sulla morte di sua sorella: vogliamo trovare l'assassino. Allora, come mai, glielo chiedo di nuovo, all'improvviso lei non vuole parlarne?»

Rosalind rise. «Esattamente allo stesso modo? Oh, non credo proprio, detective. Lui è molto coinvolto in questo caso, non è vero?»

Nonostante le immagini fossero sfocate, riuscii a vedere che Cassie sbatteva le palpebre e che Rosalind aveva un lampo di selvaggio trionfo sul viso, si rendeva conto di averla spiazzata. «Oh» proseguì, in tono dolce, «non lo sapeva?»

Fece una brevissima pausa, tanto per ottenere il massimo effetto, ma a me sembrò eterna perché sapevo, con un orribile e vertiginoso senso di ineluttabilità, cosa stava per dire. Credo sia questa la sensazione che provano gli stuntman quando una caduta va male o i fantini quando vengono disarcionati da un cavallo al galoppo: quel silenzioso e calmo brandello di tempo prima che il corpo si schianti al suolo. La mente si svuota di tutto tranne che di una semplice certezza: è arrivato il momento.

«È lui il ragazzo che era con gli altri due spariti a Knocknaree, secoli fa» disse Rosalind, con voce alta, musicale, quasi noncurante. Se non fosse stato per una minuscola traccia di piacere, sarebbe stato un tono completamente neutro. «Adam Ryan. Sembra proprio che non le dica le cose fino in fondo, dopotutto, non è vero?»

Qualche minuto prima avevo pensato che non avrei potuto sentirmi peggio e sopravvivere.

Sullo schermo, Cassie ricadde in avanti con la sedia e si grattò un orecchio. Si mordeva il labbro per non sorridere, ma non avevo proprio idea di cosa avrebbe fatto. «È stato lui a dirglielo?»

«Sì. Siamo molto intimi, ormai.»

«Le ha anche detto che aveva un fratello che è morto quando aveva sedici anni? Che è cresciuto in un orfanotrofio? Che suo padre era alcolizzato?»

Rosalind la fissava. Non sorrideva più e gli occhi erano diventati due fessure, elettrici. «Perché?» chiese.

«Tanto per controllare, a volte dice anche questo. Dipende, Rosalind» disse, tra il divertito e l'imbarazzato. «Non so come dirglielo, ma a volte, quando cercano di costruire una relazione con un testimone, i detective dicono cose che non sono del tutto vere. Cose che pensano possano aiutare il testimone a sentirsi a proprio agio, a parlare. Capito cosa intendo?»

Rosalind continuava a fissarla, immobile.

«Mi ascolti» proseguì Cassie, «sono certa che il detective Ryan non ha mai avuto un fratello, che suo padre è una persona molto perbene senza nessuna tendenza all'alcol e che è cresciuto nel Wiltshire, cosa che spiega quell'accento. E che non è delle parti di Knocknaree. E non è nemmeno cresciuto in un orfanotrofio. Ma, qualsiasi cosa le abbia detto, so che voleva soltanto aiutarla a contribuire a trovare l'assassino di Katy. La prego di non ritorcere questa cosa contro di lui. D'accordo?»

Nella registrazione, la porta si aprì di scatto e Cassie fece un salto. Rosalind non si mosse, non tolse neppure gli occhi dal viso di Cassie. O'Kelly, rimpicciolito dall'angolazione della telecamera ma comunque riconoscibile dalla pettinatura, fece capolino nella stanza. «Maddox» disse brusco. «Due parole.»

La sera prima, mentre facevo uscire Damien, avevo visto O'Kelly nella stanza d'osservazione che si dondolava sui tacchi e guardava con impazienza attraverso il vetro. Non ne potei più. Afferrai il telecomando, premetti il tasto STOP e rimasi a fissare lo schermo azzurro senza in realtà vederlo.

«Cassie» dissi, dopo molto tempo.

«Mi ha chiesto se era vero» disse lei come se stesse leggendo una relazione. «Gli ho detto di no e che se anche lo fosse stato di sicuro non lo avresti detto a Rosalind.»

«Non gliel'ho detto, infatti.» Mi pareva importante che lo sapesse. «Non gliel'ho detto. Le ho detto solo che due miei amici erano scomparsi quando ero bambino, perché capisse che mi rendevo conto di quello che stava passando. Non avrei mai pensato che sapesse di Peter e Jamie e facesse due più due. Non mi è mai venuto in mente.»

Cassie aspettò che finissi di parlare, poi: «Mi ha accusata di averti coperto» disse. «Ha detto anche che avrebbe dovuto separarci già da parecchio. Ha detto che avrebbe fatto confrontare le tue impronte con quelle del vecchio caso, fosse stato costretto a tirare giù dal letto un esperto della Scientifica, ci fosse voluta anche tutta la notte. E se fosse venuto fuori che corrispondevano, ha detto, avremmo potuto ritenerci fortunati a conservare il posto. Mi ha detto di mandare a casa Rosalind. L'ho affidata a Sweeney e ho tentato di telefonarti.»

Da qualche parte, in fondo al mio cervello, sentii un clic, minuscolo e definitivo. La memoria lo ingrandisce e lo rende simile a uno schianto violento: ghiaccio che si apre in larghe crepe a zigzag, sfregamento di metallo in un macchinario fuori controllo. La verità è che fu la sua stessa minuscola dimensione a renderlo così terribile. Restammo seduti a lungo senza parlare. Il vento sbatteva folate di pioggia contro la finestra. A un certo punto, Cassie fece un profondo respiro e pensai che stesse per piangere, ma quando sollevai lo sguardo non vidi lacrime sul suo viso. Era pallido, quieto e molto, molto triste.

Eravamo ancora seduti in quella posizione quando entrò Sam. «Che succede?» disse, scrollandosi la pioggia dai capelli e accendendo le luci.

Cassie si scosse, sollevò la testa. «O'Kelly vuole che tu e io facciamo un altro tentativo per scoprire il movente di Damien. Gli agenti lo stanno portando qui.»

«Ottimo» disse Sam. «Vediamo se una faccia nuova lo smuove un po'». Gli era bastata un'occhiata per intuire qualcosa. Mi chiesi quanto e, per la prima volta, se avesse sempre saputo e semplicemente ignorato.

Prese una sedia e si sedette accanto a Cassie. Si misero a discutere su come interrogare Damien. Non avevano mai fatto un interrogatorio insieme. Le loro voci erano esitanti, sincere. Si rivolgevano l'un l'altro con frasi che finivano con piccoli punti interrogativi: dici che dovremmo…? E se provassimo a…? Cassie accese di nuovo il video e gli fece vedere alcune parti dell'interrogatorio della sera prima. Il fax produsse una serie di rumori forsennati e sputò fuori i tabulati del cellulare di Damien. Si chinarono sulle pagine, la penna in mano, confabulando.

Quando uscirono dalla stanza – Sam mi fece un rapido cenno di saluto, da sopra la spalla – aspettai nella sala operativa vuota fino a quando non fui sicuro che avessero iniziato l'interrogatorio e andai a osservarli. Erano nella stanza principale. Mi infilai furtivamente nella sala d'osservazione. Sentivo le orecchie che mi bruciavano, come uno che entra in un pornoshop. Non volevo vedere, era l'ultima cosa al mondo alla quale avrei voluto assistere, ma non riuscivo a starmene lontano.

La stanza era stata allestita in modo da risultare il più confortevole possibile: cappotti, borse e sciarpe sulle sedie; sul tavolo caffè, bustine di zucchero, telefoni cellulari, una caraffa d'acqua e un piatto di brioche alla mela, appiccicaticce, prese dal bar fuori dal Castello. Damien, infagottato nello stesso maglione troppo grande e negli stessi pantaloni multitasche, con i quali probabilmente aveva anche dormito, teneva le braccia strette intorno al corpo, come ad abbracciarsi, e si guardava intorno con gli occhi sgranati. Dopo il caos estraneo della cella, quello doveva sembrargli il paradiso, sicuro, caldo e quasi casalingo. Da certe angolature, si intravedeva una ridicola crescita di barba biondastra sul suo mento. Cassie e Sam si misero a chiacchierare del più e del meno, appoggiati al tavolo. Offrirono a Damien del latte. Sentii dei passi nel corridoio e mi irrigidii. Se era O'Kelly, mi avrebbe buttato fuori, rimandato alle intercettazioni telefoniche. Il caso, ormai, non mi riguardava più. Passarono oltre senza rallentare. Poggiai la fronte al vetro a specchio e chiusi gli occhi.

Prima gli chiesero piccoli particolari senza importanza. Le voci di Cassie e di Sam si incrociavano con destrezza, consolatorie come una ninnananna. "Come hai fatto a uscire di casa senza svegliare tua madre?" "Ah sì? Lo facevo anch'io da ragazzino…" "L'avevi già fatto?" "Dio, com'è cattivo questo caffè!" "Vuoi per caso una Coca o qualcos'altro?" Erano proprio bravi, Cassie e Sam. Molto bravi. Damien si stava rilassando. A un certo punto rise persino, un piccolo patetico singhiozzo.

«Tu fai parte di "Spostiamo l'autostrada", no?» domandò Cassie, con lo stesso tono di prima. Soltanto io potevo riconoscere l'impercettibile variazione d'impostazione della sua voce che indicava che stava tornando su un argomento cruciale. Aprii gli occhi e mi raddrizzai. «Quando hai iniziato a frequentarli?»

«Questa primavera» disse subito Damien, «verso marzo, credo. C'era un avviso nella bacheca dell'università. Su una protesta. Sapevo che d'estate avrei lavorato a Knocknaree, quindi mi sono sentito come… coinvolto, no? E così ci sono andato.»

«Era la protesta del 20 marzo?» chiese Sam, sfogliando delle carte e massaggiandosi la nuca. Stava facendo il poliziotto di provincia, tutto d'un pezzo, gentile e non troppo sveglio.

«Sì, credo di sì. Era fuori dal Dàil, se può aiutarvi.» Damien sembrava quasi stranamente a suo agio a quel punto, si sporgeva sul tavolo e giocherellava con la tazzina del caffè, loquace e impaziente come a un colloquio di lavoro. Era un comportamento che mi era già capitato di osservare, soprattutto in chi commetteva un reato per la prima volta: non erano abituati a pensare a noi come al nemico, e appena lo shock di essere stati presi svaniva, la testa si svuotava e diventavano collaborativi semplicemente a causa dell'allentarsi della tensione.

«Ed è stato allora che sei entrato nel comitato?»

«Sì. Knocknaree è un sito molto importante, i primi insediamenti risalgono a…»

«Mark ce l'ha detto» intervenne Cassie, sorridendo. «Come puoi immaginare. È stato in quell'occasione che hai conosciuto Rosalind Devlin, oppure la conoscevi già?»

Un breve momento di confusione. «Cosa?»

«Quel giorno era al tavolo delle firme della petizione. È stata quella la prima volta che l'hai vista?»

Un'altra pausa. «Non so cosa intendete dire» si limitò a dire Damien.

«Avanti, Damien» fece Cassie, sporgendosi in avanti per cercare di intercettare il suo sguardo. Ma lui fissava la sua tazza del caffè. «Sei stato bravissimo finora, non deludermi proprio adesso, okay?»

«I tuoi tabulati telefonici sono pieni di chiamate e SMS diretti a Rosalind» disse Sam, tirando fuori dei fogli pieni di righe fatte con l'evidenziatore e mettendoli davanti a Damien. Lui li guardò senza espressione.

«Perché non vuoi che sappiamo che eravate amici?» chiese Cassie. «Non c'è niente di male in questo.»

«Non voglio che venga coinvolta in questa faccenda» disse Damien. Le sue spalle cominciavano a irrigidirsi.

«Non stiamo cercando di coinvolgere nessuno. Vogliamo solo capire cosa è successo.»

«Ve l'ho già detto.»

«Lo so, lo so. Porta pazienza, però, okay? Dobbiamo soltanto definire tutti i dettagli. È stato allora che hai conosciuto Rosalind, alla manifestazione?»

Damien allungò una mano e sfiorò i tabulati telefonici con un dito. «Sì» rispose. «Quando ho firmato la petizione. Ci siamo messi a parlare.»

«Vi siete stati simpatici e quindi avete mantenuto i contatti?»

«Sì, più o meno.»

A quel punto Sam e Cassie fecero un passo indietro. "Quando hai iniziato a lavorare a Knocknaree?" "Come mai avevi scelto quello scavo?" "Sì, anche a me sembra una cosa affascinante…" Gradatamente, Damien si rilassò di nuovo. Pioveva ancora, l'acqua scendeva lungo i vetri come una pesante cortina. Cassie andò a prendere dell'altro caffè, con l'espressione di qualcuno che avesse commesso una marachella, posò sul tavolo un pacchetto di biscotti alla crema sottratto alla mensa. Non c'era più alcuna fretta, adesso che Damien aveva confessato. L'unica cosa che poteva fare era chiedere un avvocato, e un avvocato gli avrebbe consigliato di dire ciò che stavano cercando di fargli dire loro, che c'era un complice, il che avrebbe significato dimezzare la colpa, creare confusione, cose che gli avvocati della difesa adorano. Cassie e Sam avevano tutto il giorno, tutta la settimana, tutto il tempo che ci voleva.

«Dopo quanto tempo avete iniziato a stare insieme, tu e Rosalind?» chiese Cassie dopo un po'.

Damien, che si era messo a piegare l'angolo di uno dei fogli dei tabulati, a quella domanda sollevò lo sguardo, sorpreso e circospetto. «Cosa? Ma noi non eravamo… insomma… siamo solo amici.»

«Damien» disse Sam in tono di rimprovero, battendo con un dito sulle pagine. «Guarda qui. La chiamavi tre, quattro volte al giorno, le mandavi almeno dieci messaggi, parlavate per ore in piena notte…»

«Oddio, sono cose che ho fatto anch'io…» disse Cassie, nostalgica. «Quelle sono le tipiche spese telefoniche di quando si è innamorati…»

«… non chiami gli altri tuoi amici nemmeno un quarto di così. Il novantacinque per cento della tua bolletta è fatto di telefonate a lei, ragazzo mio. E non c'è niente di male. È una ragazza deliziosa e tu sei un giovanotto molto carino. Perché non dovreste stare insieme?»

«Aspetta un attimo» disse Cassie, all'improvviso. «Non è che Rosalind c'entri per caso qualcosa? È per questo che non vuoi parlare di lei?»

«No!» urlò quasi Damien. «Lasciatela stare!»

Cassie e Sam rimasero a fissarlo, con le sopracciglia inarcate.

«Scusate» biascicò subito lui, cadendo a sedere come un sacco. Era tutto rosso. «Io… io volevo solo dire che non voglio che venga coinvolta… potete lasciarla fuori da tutto questo?»

«E allora perché tutti questi segreti, Damien» chiese Sam, «se lei non c'entra niente?»

Damien si strinse nelle spalle. «Perché… non abbiamo detto a nessuno che uscivamo insieme.»

«E perché?»

«Il padre di Rosalind si sarebbe arrabbiato.»

«Non gli sei simpatico?» chiese Cassie, con un tono di sufficiente sorpresa da sembrare un complimento.

«No, non è questo. I suoi genitori non vogliono che abbia un ragazzo.» Damien rivolse uno sguardo ansioso a tutti e due. «Potreste… insomma, potreste evitare di dirglielo? Per favore?»

«Fino a che punto si sarebbe arrabbiato, esattamente?» chiese Cassie a voce molto bassa.

Damien si mise a spezzettare la plastica della sua tazza del caffè. «Non volevo che finisse nei guai.» Ma il rossore non era sparito e lui respirava in fretta. C'era sotto qualcosa.

«Un testimone ci ha detto» disse Sam, «che Jonathan Devlin potrebbe aver picchiato sua figlia Rosalind di recente, almeno una volta. Sai se è vero?»

Damien sbatté rapidamente le palpebre e si strinse nelle spalle. «Come faccio a saperlo?»

Dopo essersi scambiati una breve occhiata, Sam e Cassie si allontanarono nuovamente dall'argomento. «Come avete fatto a tenerlo nascosto a suo padre?» chiese Cassie, con un tono di complicità.

«All'inizio ci incontravamo solo in città, nei weekend, e andavamo a prendere il caffè e cose così. In casa, Rosalind diceva che si vedeva con la sua amica Karen, una compagna di scuola, così non le facevano storie. Poi… mah, poi ci siamo incontrati anche di sera. Allo scavo. Dopo che i suoi genitori si erano addormentati, Rosalind sgattaiolava fuori di casa e mi raggiungeva. Ce ne stavamo seduti sull'altare di pietra oppure, se pioveva, nella baracca dei reperti, a parlare.»

Facile da immaginare, facile e affascinante. E dolce: coperta attorno alle spalle e un cielo di campagna pieno di stelle, con la luna che trasformava lo scarno panorama dello scavo in un luogo incantato. Aveva il potere irresistibile e primordiale delle leggende: il padre crudele, la bella fanciulla imprigionata nella torre, circondata da rovi spinosi, che chiama aiuto. Avevano creato un loro mondo notturno e proibito e Damien lo aveva sicuramente trovato molto bello.

«Qualche volta veniva allo scavo con Jessica e io facevo fare loro il giro. Non parlavamo molto per paura che qualcuno se ne accorgesse ma… era così, solo per vederci… E quella volta, in primavera…» Sorrise lievemente, guardandosi le mani. Un sorriso timido, intimo. «Mi ero trovato un lavoretto part-time, confezionavo panini in un negozio di alimentari. Ero riuscito a risparmiare abbastanza per potercene andare via per un weekend. Prendemmo il treno fino al Donegal e ci fermammo in un piccolo B &B. Ci registrammo come se… come se fossimo sposati. Rosalind aveva detto ai suoi che avrebbe passato il weekend con Karen, a studiare per gli esami.»

«E cosa andò storto?» chiese Cassie. Percepii che la sua voce varcava di nuovo la soglia dell'attenzione. «Katy scoprì di voi due?»

Damien sollevò lo sguardo, allarmato. «Cosa? No… Mio Dio, no. Fummo attentissimi.»

«E allora cosa è successo? Dava fastidio a Rosalind? Le sorelle minori a volte riescono a essere molto irritanti.»

«No…»

«Rosalind era gelosa dell'attenzione dedicata a Katy in quel periodo? Cosa?»

«No! Rosalind non è così… era felice per Katy! E poi non arriverei a uccidere qualcuno solo per… non sono… non sono… non sono un pazzo!»

«E non sei neppure un violento» disse Sam, mettendogli davanti altri fogli. «Questi sono tutti interrogatori che ti riguardano. I tuoi professori e i tuoi compagni di scuola ricordano che ti tenevi alla larga dalle risse. È così?»

«Be', sì…»

«E allora l'hai fatto solo per il brivido, alla fin fine?» intervenne Cassie. «Per vedere che effetto fa uccidere una persona?»

«No! Ma che state…»

Sam girò intorno al tavolo e si chinò su Damien. «I ragazzi dello scavo dicono che George McMahon ti dava il tormento, proprio come faceva con tutti gli altri, ma tu sei l'unico che non ha mai perso la pazienza con lui. Cos'è stato allora a farti perdere la testa al punto di uccidere una ragazzina che non ti aveva mai fatto niente di male?»

Damien si raggomitolò sconsolato nel maglione, il mento affondato nel collo, e scosse la testa. Avevano sferrato l'attacco troppo presto e con troppa forza. Lo stavano perdendo.

«Ehi, guardami.» Sam fece schioccare le dita in faccia a Damien. «Ho l'aria di essere tua madre?»

«Cosa? No…» Ma la domanda così inaspettata lo aveva spiazzato. Sollevò gli occhi sconvolti e disperati.

«Ecco bravo. Perché non sono tua madre, e questa non è una cosa da niente per cui puoi cavartela facendo il broncio. Questa è una faccenda molto, molto seria. Hai attirato una ragazzina innocente fuori da casa sua, nel pieno della notte, l'hai colpita alla testa, l'hai soffocata e guardata morire e poi le hai infilato dentro il manico di una cazzuola.» Damien sussultò violentemente. «E adesso ci vieni a dire che l'hai fatto senza alcun motivo. È questo che pensi di andare a dire al giudice? Che tipo di sentenza pensi che emetterà?»

«Non capite, non capite!» gridò Damien, con la voce rotta di un tredicenne.

«Lo so, lo so che non riusciamo a capire, ma è quello che stiamo cercando di fare. Aiutaci, Damien.» Cassie si era chinata su di lui, teneva entrambe le mani del ragazzo tra le sue, lo costringeva a guardarla.

«Non capite! Una ragazzina innocente? Tutti lo pensavano. Katy per loro era una specie di santa, tutti pensavano che fosse perfetta… ma non era così! Solo perché era una bambina non vuol dire che fosse… non mi credereste se vi raccontassi alcune delle cose che ha fatto. Non mi credereste!»

«Io ti crederei» disse Cassie a voce bassa, pressante. «Qualsiasi cosa mi dirai, Damien, ne ho viste di peggio in questo lavoro. Ti crederò, fidati.»

Damien era rosso in viso, gli tremavano le mani che Cassie aveva tra le sue. «Faceva arrabbiare suo padre con Rosalind e Jessica. Loro avevano sempre paura. Si inventava le cose e poi gliele andava a dire… che Rosalind era stata cattiva con lei o che Jessica aveva toccato le sue cose o roba così… non era mai vero, si inventava tutto e lui le credeva sempre. Rosalind ci aveva provato una volta a dirgli che non era vero, per proteggere Jessica, ma lui… lui…»

«Cosa faceva?»

«Le picchiava!» gemette Damien. Alzò la testa di scatto e gli occhi, rossi e ardenti, si fissarono in quelli di Cassie. «Le riempiva di botte! Ha rotto la testa a Rosalind con un attizzatoio, capite? Una volta ha sbattuto Jessica contro il muro e le ha rotto un braccio. E poi lo faceva, lo faceva con loro, e Katy guardava e rideva!» Strappò via le mani dalla stretta di Cassie e si asciugò furiosamente le lacrime con il dorso della mano. Non riusciva quasi a respirare.

«Intendi dire che Jonathan Devlin aveva rapporti sessuali con le figlie?» chiese Cassie, la voce calma ma le pupille dilatate.

«Sì. Sì. Lo faceva con tutte e tre. A Katy…» Il viso di Damien si contorse. «A Katy piaceva. Riuscite a… a immaginare qualcosa di più perverso? Come si fa a… ecco perché era la sua preferita. Odiava Rosalind perché lei… perché lei non voleva…» Si morse il dorso della mano e pianse.

Mi accorsi che avevo trattenuto il respiro troppo a lungo perché mi sentivo svenire. Ero anche sul punto di vomitare. Mi appoggiai al vetro freddo e mi concentrai cercando di respirare lentamente e con un certo ritmo. Sam trovò un fazzoletto di carta e lo tese a Damien.

A meno che non fossi ancora più stupido di quanto già avessi dato ampia dimostrazione di essere, Damien credeva a ogni parola di ciò che stava dicendo. E perché no? Se ne leggono di peggio sui giornali, ogni giorno. Bambini di pochi mesi violentati, ragazzini tenuti a morire di fame in una cantina, neonati ai quali vengono strappati gli organi. Perché non questo? Con una tale mitologia che si allargava e riempiva sempre più la sua mente, perché non credere alla sorella cattiva che tiene Cenerentola nella polvere?

Anche se non è facile da ammettere, volevo crederci anch'io. E, per un attimo, quasi lo feci. Era perfetto, spiegava e scusava quasi tutto. Ma, a differenza di Damien, io avevo visto le cartelle cliniche e il rapporto del medico legale. Jessica si era fratturata il braccio cadendo dal quadro svedese, a scuola, sotto gli occhi di almeno cinquanta testimoni, e Rosalind non si era mai rotta la testa. E Katy era morta vergine. E avevo visto quella cassetta. Una specie di sudore freddo mi scese lungo la schiena, leggero e invadente.

Damien si soffiò il naso. «Non dev'essere stato facile per Rosalind raccontarti queste cose» disse dolcemente Cassie. «È stata molto coraggiosa. Sai se ha cercato di parlarne anche con altri?»

Damien fece segno di no con la testa. «Lui le diceva che se avesse parlato con qualcuno di quella cosa l'avrebbe uccisa. Io sono stato il primo di cui si sia fidata abbastanza per dirglielo.» C'era una specie di meraviglia nella sua voce, meraviglia e orgoglio e, sotto le lacrime, il moccio e il rossore, il viso gli si era illuminato di una specie di debole e ispirato fulgore, quello del giovane cavaliere che stava partendo alla ricerca del Santo Graal.

«E quando te l'ha detto?» chiese Sam.

«Un po' a pezzi. Come diceva lei, è stato difficile per Rosalind. Non ho saputo niente fino a maggio, credo…» Damien arrossì ancora di più. «Ci stavamo… baciando e io cercavo di accarezzarle il… seno. Rosalind si infuriò e mi spinse via dicendo che non era quel tipo di ragazza. Rimasi un po' sorpreso… non mi pareva di aver fatto poi chissà che, no? Uscivamo da quasi un mese… insomma, non che questo mi desse il diritto di… però… comunque, ero solo stupito, ma Rosalind era preoccupata che potessi arrabbiarmi con lei. Allora… allora mi disse cosa le aveva fatto suo padre. Per spiegare come mai avesse reagito così.»

«E tu?» chiese Cassie.

«Le dissi che doveva andarsene! Ci saremmo presi un appartamento, i soldi li avremmo trovati… Io avevo lo scavo e Rosalind poteva trovarsi dei lavoretti come modella. Un tizio di una grossa agenzia di modelle l'aveva vista e le aveva detto più volte che sarebbe potuta diventare una top model, solo che suo padre non voleva… Non volevo che mettesse più piede, in quella casa, ma Rosalind disse di no, che non avrebbe lasciato Jessica. Riuscite a immaginarvi che tipo di persona è? Sopportare tutto solo per proteggere sua sorella. Non ho mai conosciuto nessuno così coraggioso.»

Se avesse avuto solo un paio d'anni di più, quella storia lo avrebbe mandato di corsa al telefono più vicino per chiamare la polizia, o il Telefono azzurro. Ma aveva solo diciannove anni. Gli adulti erano ancora solo degli estranei prepotenti che non capivano niente e ai quali non bisognava dire niente perché avrebbero usato le maniere forti e rovinato tutto. Probabilmente non gli era mai venuto in mente di poter chiedere aiuto.

«Disse perfino che…» Damien distolse lo sguardo. Stava per scoppiare di nuovo in lacrime. Pensai, vendicativo, che in galera sarebbe stato veramente nei guai se non la smetteva di farsi venire i lacrimoni ogni cinque minuti. «Mi disse che poteva anche darsi che non sarebbe mai riuscita a… a fare l'amore con me. Per via dei brutti ricordi. Non sapeva se si sarebbe mai più potuta fidare di qualcuno. Se mi fossi trovato una ragazza normale, mi disse… sì, usò proprio il termine "normale"… avrebbe capito. L'unica cosa che mi chiedeva, se mai fossi stato dell'idea di andarmene, era di farlo subito, prima che si fosse affezionata troppo a me…»

«Ma tu non volevi lasciarla» continuò Cassie piano.

«Certo che no» disse semplicemente Damien. «Io sono innamorato di lei.» C'era qualcosa nella sua espressione, una purezza così assoluta, temeraria e sconvolgente che, ci crediate o no, mi spinse a invidiarlo.

Sam gli porse un altro fazzoletto di carta. «C'è solo una cosa che non capisco» disse, pacato e consolatorio. «Volevi proteggere Rosalind… è ovvio, è naturale, qualsiasi uomo avrebbe fatto lo stesso. Ma perché eliminare Katy? Perché non Jonathan? Io sarei andato a prenderlo con le mie stesse mani.»

«Glielo dissi» fece Damien, poi si fermò, a bocca aperta, come se avesse detto qualcosa di pericoloso che potesse incriminarlo. Cassie e Sam ricambiarono il suo sguardo senza fare una piega.

«Be'…» proseguì, dopo un attimo. «Io… vedete, una notte Rosalind aveva male allo stomaco e alla fine riuscii a farglielo dire… Non voleva, ma lui… le aveva dato dei pugni. Quattro volte. Solo perché Katy gli aveva detto che Rosalind non le faceva cambiare canale per guardare un balletto in TV… Non era vero, naturalmente, Rosalind avrebbe cambiato canale se Katy glielo avesse chiesto… Io… non sono più riuscito a sopportarlo. Ci pensavo tutte le notti, quello che le toccava subire, non riuscivo a dormire… Non potevo sopportare che continuasse a succedere!»

Fece un respiro e riprese il controllo della voce. Cassie e Sam annuirono comprensivi.

«Dissi… sì, dissi così: "Io lo ammazzo". Rosalind… non riusciva a credere che l'avrei fatto davvero, che l'avrei fatto per lei. E io… be', era un po' come se… insomma, non è che proprio scherzassi ma non dicevo neanche sul serio. Non avevo mai pensato di poter fare una cosa simile in tutta la mia vita. Ma quando vidi quanto fosse importante per lei anche solo che l'avessi detto… nessuno si era mai offerto di proteggerla prima… quasi pianse, e non è una ragazza che piange spesso, è una persona molto forte.»

«Sono sicura che lo è» disse Cassie. «Allora, come mai non sei andato a cercare Jonathan Devlin una volta che ti era venuta in mente quell'idea?»

«Ma se lui moriva» disse Damien, sporgendosi in avanti e facendo ampi gesti con le mani, ansioso, «la madre non sarebbe stata in grado di badare a loro, per via dei soldi e anche perché… è un po' fuori dalla realtà, no? Le avrebbero mandate in qualche istituto e le avrebbero separate, e Rosalind non avrebbe più potuto prendersi cura di Jessica… e Jessica ha così bisogno di lei, è messa così male che non riesce a fare niente. Rosalind pensa ai compiti e a un sacco di altre cose. E Katy… Katy sarebbe andata a fare le stesse cose a qualcun altro. Se solo non ci fosse stata lei, sarebbe andato tutto a posto! Il loro papà faceva quelle cose solo quando era Katy a spingerlo. Rosalind me lo raccontava e si sentiva così colpevole… Gesù, si sentiva colpevole… lei! A volte diceva che avrebbe voluto che Katy non fosse mai nata…»

«Ed è così che ti è venuta l'idea» disse Cassie con voce neutra, ma capivo dalla smorfia impercettibile della bocca che era arrabbiata. «Hai pensato di uccidere Katy.»

«È stata una mia idea» disse subito Damien. «Rosalind non c'entra niente. Non voleva… all'inizio ha detto di no. Non voleva che rischiassi tanto per lei. Era sopravvissuta per tanti anni, diceva, poteva sopravvivere altri sei, fino a quando Jessica non avesse raggiunto un'età sufficiente per consentire a loro due di uscire di casa. Ma io non potevo permettere che restasse lì! Per un pelo non era morta, quella volta della frattura alla testa. È rimasta in ospedale per due mesi. Sarebbe potuta morire.»

Improvvisamente anch'io m'infuriai, non contro Rosalind ma contro Damien, per essere stato così assurdamente idiota, un perfetto imbecille, il classico personaggio dei cartoni animati che va a mettersi da solo proprio dove cade l'incudine. Mi rendo conto, è ovvio, sia dell'ironia della cosa sia delle noiose implicazioni psicologiche che si celavano dietro la mia reazione, ma in quel momento l'unica cosa che riuscivo a pensare era di entrare fragorosamente nella stanza dell'interrogatorio e sbattere la faccia di Damien sulle cartelle cliniche. "Le vedi queste, deficiente? Dove la vedi qui la frattura alla testa? Non ti è venuto in mente di farti vedere almeno la cicatrice prima di uccidere una bambina per questo?"

«Quindi hai insistito» disse Cassie, «e alla fine Rosalind ha in qualche modo accettato.»

Questa volta Damien si accorse del tranello. «È stato per Jessica! A Rosalind non importava quello che poteva succedere a lei, ma Jessica… Rosalind temeva che avesse un crollo nervoso o qualcosa del genere. Non pensava che potesse sopportare altri sei anni così!»

«Ma Katy non ci sarebbe più stata per la maggior parte del tempo» disse Sam. «Stava per andare alla scuola di ballo a Londra. Adesso sarebbe già via. Non lo sapevi?»

Damien quasi ululò. «No! L'ho detto, ho chiesto a… non capisce… non le importava niente di fare la ballerina. Le interessava solo essere al centro dell'attenzione. In quella scuola nessuno le avrebbe dato importanza, non sarebbe stata niente di speciale, e sarebbe tornata prima di Natale… sarebbe tornata a casa!»

Di tutto quello che le avevano fatto, tra tutti e due, quella era la cosa che mi sconvolgeva di più: la perfezione diabolica, la gelida precisione con la quale aveva mirato alla sola cosa alla quale Katy Devlin aveva tenuto davvero, colpendola e distruggendola. Pensai alla voce bassa e profonda di Simone, alla scuola di danza. Sérieuse. In tutta la mia carriera non avevo mai sentito così chiaramente la presenza del male, il suo odore forte e marcescente nell'aria, viticci invisibili che si avvinghiavano alle gambe del tavolo, che sfioravano con oscena delicatezza maniche e gole. Mi si drizzarono i capelli sulla nuca.

«Quindi è stata legittima difesa» disse Cassie, dopo un momento di irrequieto silenzio da parte di Damien. Sia lei che Sam evitavano di guardarlo.

Damien colse l'occasione al volo. «Ecco sì, proprio così. Insomma, non ci avremmo mai nemmeno pensato se ci fosse stato un altro modo.»

«Capisco. Sai, Damien, non sarebbe la prima volta che succede: mogli che uccidono un marito violento, cose così. E il giudice di solito è anche comprensivo.»

«Ah, sì?» Damien sollevò occhi grandi e pieni di speranza.

«Certo. Quando sentiranno quello che ha passato Rosalind… io non mi preoccuperei troppo di lei, sai?»

«Voglio solo evitare che si trovi nei guai.»

«Allora la cosa migliore è che ci racconti per bene tutti i particolari, okay?»

Damien emise un sospiro flebile e stanco, misto a una sorta di sollievo. «Okay.»

«Bravo» fece Cassie. «Allora continuiamo. Quando avete preso la decisione?»

«Era forse luglio. Metà luglio.»

«E quando avete deciso la data?»

«Solo qualche giorno prima che succedesse. Avevo detto a Rosalind che dovevamo costruirci un alibi sicuro perché sapevamo che voi della polizia sareste andati subito a cercare il colpevole in famiglia. Aveva letto lei stessa da qualche parte che le famiglie sono le prime sospettate. Allora una notte, credo che fosse venerdì, ci siamo incontrati e mi ha detto che il lunedì dopo aveva organizzato che lei e Jessica andassero a dormire a casa delle cugine. Sarebbero rimaste sveglie a chiacchierare fino alle due, così sarebbe stato perfetto. Io dovevo solo essere sicuro che tutto fosse fatto prima delle due e che… che la polizia poi avrebbe potuto ricostruire l'ora…»

Gli tremava la voce. «E tu cosa hai detto?» chiese Cassie.

«Io… io sono andato nel panico. Insomma, fino ad allora non era stata proprio una cosa vera, no? Credevo che… sotto sotto ero sicuro che non l'avremmo mai fatto. Era solo una cosa di cui si era parlato e basta. Era un po' come Sean Callaghan… Sean, dello scavo… Prima aveva un gruppo. Si sono sciolti ma lui è sempre lì che dice: "Oh, quando il gruppo si riunirà allora sì che faremo il colpo grosso…". Insomma, lui lo sa benissimo che non lo faranno mai, ma parlarne lo fa sentire meglio.»

«È una cosa che succede a tutti» commentò Cassie, sorridendo.

Damien annuì. «Era proprio così. Ma poi Rosalind disse "lunedì prossimo" e improvvisamente mi parve che… che fosse una pazzia, no? Dissi a Rosalind che forse dovevamo andare alla polizia o una cosa del genere, invece. Ma ci andò giù di testa. Continuava a dire: "Io mi fidavo di te, mi fidavo veramente di te…".»

«Si fidava di te» disse Cassie, «ma non abbastanza da fare l'amore con te?»

«No» disse piano Damien, dopo un attimo. «Cioè, sì. Dopo che decidemmo di Katy… cambiò tutto per Rosalind, sapendo che l'avrei fatto per lei. Noi… lei non sperava più di riuscirci ma… voleva provarci. Io lavoravo già allo scavo, quindi mi potevo permettere un bell'albergo… si meritava qualcosa di bello, no? La prima volta non… non ce l'ha fatta. Ma ci siamo tornati il weekend dopo e…» Si morse il labbro per non piangere.

«Dopo» disse Cassie «è stato molto difficile poter cambiare idea.»

«Proprio così. Quella notte, quando dissi che forse potevamo andare alla polizia, Rosalind… pensò che avessi detto che l'avrei fatto solo per… per portarmela a letto. È così fragile, ha sofferto così tanto. Non potevo permettere che pensasse che l'avevo semplicemente usata. Vi immaginate quanto l'avrei fatta soffrire?»

Un altro silenzio. Damien si passò il dorso della mano sugli occhi e riprese il controllo di sé.

«Quindi decidesti di farlo» disse Cassie, con voce pacata. Lui annuì, un cenno del capo doloroso, da adolescente. «Come siete riusciti ad attirare Katy allo scavo?»

«Rosalind le ha detto che aveva un amico allo scavo che aveva trovato… una cosa…» Damien fece un gesto vago. «Un medaglione. Un medaglione con l'immagine dipinta di una ballerina. Le ha detto che era una cosa molto antica e magica, che lei aveva messo da parte tutti i suoi risparmi e l'aveva comprata da questo suo amico, che ero poi io, come regalo portafortuna per Katy, per la scuola di balletto. Solo che Katy doveva andarlo a prendere perché questo amico pensava che fosse una grande ballerina e voleva il suo autografo per quando fosse diventata famosa. E che ci doveva andare di notte perché vendere i reperti era vietato, quindi bisognava fare tutto in segreto.»

Pensai alla Cassie bambina, esitante fuori dalla porta del capanno del bidello. "Vuoi le meraviglie?" I bambini pensano in modo diverso, aveva detto. E Katy era andata incontro al pericolo nello stesso modo, come era successo a Cassie, con la speranza di trovare una magia.

«Insomma, avete capito cosa voglio dire?» C'era una nota supplichevole nella voce di Damien. «Lei era così, ci credeva proprio che la gente facesse la coda per avere un suo autografo.»

«Veramente» disse Sam, «aveva motivo di pensarlo. Moltissime persone le avevano chiesto l'autografo dopo la raccolta fondi.» Damien sbatté le palpebre.

«E quindi cosa è successo quando è arrivata alla baracca dei reperti?» chiese Cassie.

Damien si strinse nelle spalle, a disagio. «Quello che sapete già. Le ho detto che il medaglione era in una scatola sulla mensola dietro di lei e quando si è girata per prenderlo io… ho preso la pietra e… è stata legittima difesa, come avete detto voi. Insomma, per difendere Rosalind, non so come si chiama…»

«E la cazzuola?» chiese Sam, diretto. «Anche quella è stata legittima difesa?»

Damien spalancò gli occhi come un coniglio investito dalla luce dei fari di un'auto. «La… la cazzuola, sì. Quella. Insomma, io non riuscivo a… avete capito, no?» Deglutì. «Non potevo farle quella cosa. Era… sembrava… ancora me lo sogno. Non ci riuscivo. Poi ho visto la cazzuola sul tavolo e allora ho pensato che…»

«L'accordo era che tu la violentassi? Okay, va tutto bene» si affrettò a rassicurarlo Cassie quando vide il lampo di panico sul viso di Damien. «Abbiamo capito come sono andate le cose, non stai mettendo Rosalind nei guai.»

Damien sembrava poco convinto, ma lei sostenne il suo sguardo. «Credo…» disse dopo un attimo. Il suo colorito era di nuovo pallido e verdastro. «Dovevo… Rosalind aveva detto… era molto turbata, ma diceva che non era giusto che Katy non sapesse mai quello che aveva passato Jessica, così alla fine le ho detto che l'avrei… mi dispiace, mi sento quasi…» Ebbe un colpo di tosse, o forse un conato di vomito.

«Respira» disse Cassie. «Stai bene, hai solo bisogno di un po' d'acqua.» Gli tolse la tazza di plastica tutta sbrindellata, ne prese una nuova e la riempì. Gli mise una mano sulla spalla mentre beveva, dandogli una leggera stretta. Lui teneva la tazza con tutte e due le mani e respirava profondamente.

«Ecco fatto» disse Cassie, quando vide un po' di colore tornargli sul viso. «Stai andando benissimo. Quindi l'accordo era che tu violentassi Katy, invece hai usato la cazzuola, quando era già morta?»

«Non ce l'ho fatta» disse Damien nella tazza, cupo e selvaggio. «Lei ne aveva combinate sicuramente di molto peggio, ma io non ci sono riuscito.»

«È questo il motivo per cui» Sam sfogliò i tabulati delle intercettazioni telefoniche con un dito «le chiamate tra te e Rosalind si sono praticamente interrotte dopo la morte di Katy? Due chiamate il martedì, il giorno dopo l'omicidio. Una mercoledì mattina presto, una il martedì successivo e poi più nulla. Rosalind era arrabbiata con te perché l'avevi delusa?»

«Non so nemmeno come abbia fatto a saperlo, io avevo paura di dirglielo. Ci eravamo detti che non ci saremmo parlati per un paio di settimane, così la polizia, insomma voi, non avreste potuto metterci in relazione, ma poi, tipo una settimana dopo, mi ha mandato un SMS dicendo che forse era meglio che non ci sentissimo più, perché era ovvio che non ero veramente innamorato di lei. Le ho telefonato per capire cosa era successo e… sì, ovviamente era molto arrabbiata!» Damien balbettava, la voce gli si era alzata di tono. «Insomma, sistemeremo tutto ma… Dio, aveva di sicuro tutte le ragioni per avercela con me. Il… Katy… l'hanno trovata solo mercoledì perché io sono andato nel panico, e stavo quasi per rovinare il suo alibi e non avevo… non avevo… lei si era fidata completamente di me, non aveva nessun altro, e io non ero riuscito nemmeno a farne una giusta, solo perché sono un coglione del cazzo.»

Cassie non disse nulla. Mi dava le spalle, le vedevo le fragili protuberanze delle ossa della colonna vertebrale. Sentivo dolore come fosse stato un peso, solido, che mi tirava per la gola, per i polsi. Non potevo più ascoltare. L'immagine della piccola Katy che danzava per un po' d'attenzione mi aveva svuotato di tutta la rabbia, di tutto. Avrei voluto solo dormire, di un sonno indotto, liberatorio, e che qualcuno mi avesse svegliato alla fine di quella giornata, dopo che la pioggia avesse lavato quello scempio.

«Sapete una cosa?» disse piano Damien, poco prima che io lasciassi la stanza. «Dovevamo sposarci. Appena Jessica si fosse… ripresa abbastanza e Rosalind se la fosse sentita di lasciarla. Adesso non sarà più possibile, vero?»

Rimasero con lui tutto il giorno. Sapevo, più o meno, quello che stavano facendo: avevano ricostruito il nucleo della storia e adesso ci ritornavano sopra, mettendo a posto date, particolari, controllando ogni lacuna o incoerenza. Ottenere una confessione è solo l'inizio, dopo bisogna blindarla, intuire gli appigli che potrebbero trovare la difesa e le giurie, essere certi che tutto sia messo nero su bianco quando il colpevole è ancora in vena di chiacchierare e prima che abbia la possibilità di offrire una spiegazione alternativa. Sam è un tipo instancabile, avrebbero fatto un ottimo lavoro.

Sweeney e O'Gorman entravano e uscivano dalla sala operativa: tabulati telefonici di Rosalind, profili di lei e di Damien ottenuti da altri interrogatori. Li mandavo nella stanza degli interrogatori. O'Kelly fece capolino e mi guardò male: finsi di essere intento a spulciare intercettazioni. A metà pomeriggio, Quigley entrò per discutere del caso. A parte il fatto che non avevo voglia di parlare con nessuno in generale, meno che mai di parlare con lui, era un cattivo segno: l'unico vero punto di forza di Quigley è un infallibile sesto senso per le sconfitte degli altri. A parte qualche sporadico tentativo di risultarci simpatico, fino a quel momento aveva lasciato in pace sia me sia Cassie, dedicandosi a dare il tormento ai novellini, ai colleghi alla soglia della pensione o comunque a quelli la cui carriera era andata improvvisamente a rotoli. Prese una sedia e me la mise troppo vicina, accennando cupamente al fatto che avremmo dovuto prenderlo settimane fa, il nostro uomo, che lui avrebbe saputo darmi delle dritte utili se solo gliele avessi chieste, e sottolineando tristemente il mio inspiegabile errore psicologico nel consentire a Sam di prendere il mio posto nell'interrogatorio. Chiese dei tabulati telefonici di Damien e poi suggerì astutamente che avremmo dovuto prendere in considerazione l'ipotesi che potesse esserci il coinvolgimento della sorella. Mi scoprii improvvisamente incapace di liberarmene e questo aumentò in me la sensazione che la sua presenza non fosse soltanto fastidiosa ma anche sinistramente infausta. Era come un grosso uccello del malaugurio che berciasse inutilmente sulla mia scrivania imbrattandomi tutti i documenti.

Finalmente, come i bulletti a scuola, sembrò rendersi conto che ero messo troppo male perché valesse la pena tormentarmi, così ritornò a fare quello che stava facendo prima, assumendo un'aria offesa che dilagò sui suoi lineamenti dilatati e piatti. Smisi di fingere di archiviare le intercettazioni e andai alla finestra, dove rimasi per qualche ora, a guardare la pioggia e ad ascoltare il debole rumore familiare della squadra, alle mie spalle: la risata di Bernadette, lo squillare dei telefoni, le voci maschili che si alzavano di tono, bellicose, e si smorzavano subito allo sbattere di una porta.

Erano le sette e venti quando sentii finalmente Cassie e Sam nel corridoio. Le loro voci erano troppo basse perché potessi capire le parole, ma riconoscevo il tono. È buffo come il cambiare di una prospettiva possa farti notare le cose: non mi ero mai reso conto di quanto fosse profonda la voce di Sam fino a quando non l'avevo sentito interrogare Damien.

«Voglio andare a casa» disse Cassie, entrando nella sala operativa. Si lasciò cadere su una sedia e appoggiò la testa sulle mani intrecciate sul tavolo.

«È quasi finita» disse Sam. Non era chiaro se si riferisse alla giornata o all'indagine. Fece il giro del tavolo e si sedette anche lui. Passando, con mia immensa sorpresa, appoggiò brevemente la mano sulla testa di Cassie.

«Com'è andata?» chiesi, con una nota innaturale nella voce.

Cassie non si mosse. «Molto bene» disse Sam. Si stropicciò gli occhi, facendo una smorfia. «Credo che ce l'abbiamo fatta a chiarire le cose, almeno per quello che riguarda Donnelly.»

Suonò il telefono. Era Bernadette che ci diceva di restare nella sala operativa perché O'Kelly voleva vederci. Sam annuì e si lasciò cadere pesantemente su una sedia, a ginocchia larghe, come un contadino che torna da una giornata di lavoro nei campi. Cassie sollevò la testa con grande sforzo e prese dalla tasca posteriore il suo taccuino sgualcito.

Com'era sua abitudine, O'Kelly ci fece aspettare per un po'. Nessuno di noi parlò. Cassie scarabocchiò sul taccuino un alberello appuntito e vagamente sinistro. Sam rimase appoggiato al tavolo con lo sguardo perso sulla lavagna piena di scritte. Io me ne stavo alla finestra, a guardare fuori, verso il giardino ordinato e immerso nel buio dove piccole folate di vento scuotevano di tanto in tanto le siepi. La nostra posizione nella stanza sembrava predisposta ad arte da un regista, con grande equilibrio di spazi, significativa in un modo oscuro e inquietante. Lo sfarfallio e il ronzio delle luci al neon mi avevano messo quasi in uno stato di trance. Cominciavo a sentirmi come in un'opera teatrale esistenzialista, con il ticchettio di un orologio che avrebbe segnato per sempre le 19.38 e noi che non avremmo mai più potuto muoverci da quelle pose predestinate. Quando alla fine O'Kelly aprì la porta, fragorosamente, fu quasi uno shock.

«Prima di tutto» disse cupo, prendendo una sedia e dando una manata su una pila di fogli che erano sul tavolo. «O'Neill, che cosa hai intenzione di fare con tutto quel casino di Andrews?»

«Lo lascio perdere» disse Sam, tranquillo. Sembrava molto stanco. Non che avesse borse sotto gli occhi o cose del genere, chiunque non lo conoscesse avrebbe detto che era in forma, ma la sua sana rudezza campagnola era sparita e aveva un'aria terribilmente giovane e vulnerabile.

«Ottimo. Maddox, ti tolgo cinque giorni di ferie.»

Cassie sollevò lo sguardo per un attimo. «Sì, signore.» Cercai di scoprire, di nascosto, se Sam apparisse sorpreso o se sapesse già di cosa si trattava, ma il suo viso rimase impassibile.

«E, Ryan, sei assegnato al lavoro di scrivania fino a nuovo ordine. Non so come abbiate fatto voi tre capolavori a incastrare Damien Donnelly, ma potete ringraziare la vostra buona stella di esserci riusciti, altrimenti la vostra carriera sarebbe messa ancora peggio di com'è ora. Tutto chiaro?»

Nessuno di noi ebbe l'energia di rispondere. Mi staccai dalla finestra e mi misi a sedere, il più lontano possibile dagli altri.

O'Kelly ci lanciò un'occhiataccia e decise di prendere il nostro silenzio per un assenso. «Bene. A che punto siamo con Donnelly?»

«Direi che stiamo procedendo» disse Sam, quando si rese conto che né io né Cassie avremmo detto niente. «Confessione piena, compresi alcuni particolari che non avevamo ancora recuperato e prove di tipo medico-legale. Credo che l'unico modo di scagionarlo sarebbe chiedere l'infermità mentale… ed è quello che farà, se riesce a trovare un buon avvocato. Adesso si sente una merda e dice di essere colpevole, ma gli passerà di sicuro dopo qualche giorno in cella.»

«La dovrebbero piantare tutti quanti con questa gran cazzata dell'infermità mentale» disse O'Kelly, amaro. «Quei cazzoni che vanno al banco dei testimoni e dicono non è colpa loro. Vostro Onore, mammina li ha costretti a usare troppo presto il cesso invece del vasino e così non sono riusciti a trattenersi e hanno ammazzato la bambinetta… Tutte cagate. Quello non è più matto di me. Fatelo visitare da uno dei nostri e mettete nero su bianco.» Sam annuì e prese nota.

O'Kelly sfogliò le sue carte e ci sventolò sotto il naso un rapporto. «Ora, cos'è questa faccenda della sorella?»

L'aria nella stanza si fece pesante. «Rosalind Devlin» disse Cassie sollevando la testa. «Lei e Damien avevano una storia. Da quello che dice lui, l'idea dell'assassinio è venuta a lei, è stata lei a fargli pressione.»

«Sì, d'accordo. Ma perché?»

«Secondo Damien» disse Cassie con voce pacata, «Rosalind gli avrebbe detto che Jonathan Devlin abusava sessualmente delle sue tre figlie e picchiava Rosalind e Jessica. Katy, che era la sua preferita, lo incoraggiava e a volte causava gli abusi sulle altre due. Rosalind gli diceva che se si eliminava Katy gli abusi sarebbero cessati.»

«Prove a sostegno di questa versione?»

«No, tutto il contrario. Damien sostiene che Rosalind gli avrebbe raccontato che Devlin le aveva fracassato la testa e aveva rotto un braccio a Jessica. Di questo non c'è traccia sulle cartelle cliniche, niente che indichi abusi. Jessica si è rotta il braccio a scuola, davanti a decine di testimoni. E Katy, che secondo questo racconto avrebbe avuto per anni rapporti sessuali con suo padre, è morta vergine.»

«Allora perché perdete tempo con queste stronzate?» O'Kelly dette una manata sul rapporto. «Abbiamo il colpevole, Maddox. Adesso va' a casa e lascia agli avvocati il resto.»

«Perché le stronzate le ha dette Rosalind, non Damien» disse Cassie, e per la prima volta nella sua voce c'era una pallida traccia di energia. «Qualcuno ha fatto stare male Katy per anni. E non è stato Damien. La prima volta che doveva andare alla scuola di balletto, molto prima che Damien sapesse perfino della sua esistenza, qualcuno l'ha fatta stare così male che ha dovuto rifiutare il posto all'accademia. Qualcuno ha messo in testa a Damien di uccidere una ragazzina che non aveva praticamente mai visto… Lo ha detto anche lei, signore, il ragazzo non è pazzo, non sentiva vocine che gli dicevano di farlo. L'unica persona che corrisponde a questa versione dei fatti è Rosalind.»

«E quale sarebbe il suo movente?»

«Non riusciva a sopportare il fatto che Katy avesse su di sé tutta l'attenzione e l'ammirazione. Signore, sono pronta anche a scommetterci dei soldi, e molti. Anni fa, quando si è resa conto che Katy aveva davvero talento per la danza, Rosalind ha cominciato ad avvelenarla. È facilissimo, purtroppo: candeggina, emetici, sale da cucina… In tutte le case ci sono decine di sostanze che possono provocare misteriosi disturbi gastrici in una ragazzina se si riesce a convincerla che deve ingerirle. Magari facendole credere che è una medicina segreta, che la farà stare meglio, e se ha solo sette o otto anni e chi lo dice è la sorella maggiore… Ma quando Katy ha saputo di avere una seconda occasione alla scuola di balletto, non si è fatta più convincere così facilmente. Ormai aveva dodici anni, era abbastanza grande da mettere in discussione quello che le veniva detto. Si è rifiutata di prendere quella roba. Questo, più l'articolo sul giornale, la raccolta fondi e il fatto che Katy stava diventando una celebrità per Knocknaree… È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Aveva osato sfidare Rosalind apertamente, e Rosalind non poteva permetterlo. Quando ha conosciuto Damien ha capito che poteva usarlo. Quel poveretto è un idiota nato. Non è una cima, e farebbe qualsiasi cosa per accontentare una ragazza. Per qualche mese, è ricorsa al sesso, alle storie lacrimevoli, alle blandizie, ai sensi di colpa, a tutto quello che poteva per convincerlo a uccidere Katy. E finalmente, il mese scorso, è riuscita a rimbambirlo, a eccitarlo, a imbonirlo a tal punto che a lui è sembrato di non avere più scelta. In un certo senso, un po' matto lo era diventato sul serio.»

«Non andare a raccontare questa roba fuori da questa stanza» tagliò corto O'Kelly. Cassie fece qualcosa di simile a una stretta di spalle e si rimise a disegnare.

La sala operativa piombò nel silenzio. La storia era orribile in sé, vecchia quanto Caino e Abele ma con nuovi, acuti risvolti. È impossibile per me riuscire a descrivere il misto di emozioni che provai ascoltando il racconto di Cassie. Non guardavo lei, guardavo le fragili e indistinte ombre fuori dalla finestra, ma non c'era modo di evitare di ascoltarla. Ha una bellissima voce quando racconta, bassa, duttile, flautata. Ma le parole che usava sembravano strisciare sibilando lungo le pareti, lasciando una traccia appiccicosa di buio nella luce e andando ad annidarsi negli angoli più remoti, tra pavimento e soffitto, in un intrico di filamenti.

«Ci sono prove?» chiese finalmente O'Kelly. «O ti stai solo fidando della parola di Donnelly?»

«No, prove vere e proprie no» rispose Cassie. «Possiamo provare la relazione tra Damien e Rosalind, abbiamo i tabulati con le chiamate dei loro cellulari, ed entrambi ci hanno dato la stessa falsa pista sull'inesistente tizio in tuta, il che indica che dopo il fatto è stata sua complice, ma potrebbe benissimo non aver saputo nulla dell'omicidio prima che avvenisse.»

«Certo che non ci sono prove» ribadì secco O'Kelly. «E io che ve lo chiedo pure. Siete tutti e tre della stessa opinione? O è solo una crociata personale di Maddox?»

«Io sono d'accordo con il detective Maddox, signore» disse subito Sam, deciso. «È tutto il giorno che interrogo Donnelly e credo che dica la verità.»

O'Kelly sospirò, esasperato, e fece un cenno con il mento verso di me. Era ovvio che pensava che Cassie e Sam stessero solo complicando le cose, voleva finirla con le carte che riguardavano Damien e dichiarare chiuso il caso. Ma nonostante tutti i suoi sforzi, in fondo in fondo è uno che non riesce a essere un despota. Non sarebbe mai riuscito a ignorare l'opinione unanime della squadra. Mi dispiaceva per lui perché ero di sicuro l'ultima persona alla quale avrebbe voluto essere costretto a chiedere sostegno.

Alla fine, anche se per qualche motivo non riuscii a dirlo ad alta voce, annuii anch'io. «Fantastico» disse O'Kelly stancamente. «Davvero fantastico. Va bene. La storia di Donnelly basta a malapena ad accusarla, di certo non a incriminarla. Abbiamo bisogno di una confessione. Quanti anni ha?»

«Diciotto» risposi. Non parlavo da così tanto che la voce mi uscì come un gracidio spaventato. Mi schiarii la gola. «Diciotto.»

«Grazie a Dio per le sue piccole benevolenze, almeno. Se non altro non sarà necessario interrogarla in presenza dei genitori. Bene, O'Neill e Maddox, portatela qui, dateci dentro più che potete, spaventatela a morte fino a quando non crolla.»

«Non funzionerebbe» disse Cassie, aggiungendo un altro ramo all'albero che stava disegnando. «Gli psicopatici hanno un livello d'ansia molto basso. Bisognerebbe puntarle una pistola alla tempia per spaventarla davvero.»

«Psicopatici?» dissi, dopo un istante di sorpresa.

«Cristo, Maddox» disse O'Kelly, seccato, «un po' meno hollywoodiana, se puoi. Non se l'è mica mangiata, la sorella.»

Cassie sollevò lo sguardo dal taccuino, le sopracciglia sollevate che formavano due archi perfetti e delicati. «Non lo dicevo in senso cinematografico. Rosalind corrisponde al profilo clinico. Niente coscienza, nessuna empatia, bugiarda patologica, manipolatrice, affascinante, intuitiva, desiderosa di attenzione, facile alla noia, narcisista, diventa molto cattiva quando viene contrastata… di sicuro mi dimentico qualcosa ma più o meno corrisponde, no?»

«Direi che ce n'è più che abbastanza» disse secco Sam. «Però, aspetta un momento… Quindi se anche riuscissimo a farla processare potrebbe cavarsela con l'infermità mentale?» O'Kelly biascicò qualcosa disgustato, senza dubbio in relazione sia alla psicologia in generale sia a Cassie in particolare.

«È del tutto sana di mente» rispose Cassie, sbrigativa. «Lo dichiarerebbe qualsiasi psichiatra. La sua non è affatto una malattia mentale.»

«Da quanto lo sai?» chiesi.

Lo sguardo di Cassie si puntò su di me. «Ho iniziato a pensarci la prima volta che l'ho vista. Non sembrava avere nessun rapporto con il caso: l'omicida non era uno psicopatico, era evidente, e lei aveva un alibi ineccepibile. Avevo pensato di dirtelo, ma mi avresti creduta?»

"Avresti dovuto fidarti di me" pensai intensamente, e mi sembrò quasi di averlo detto ad alta voce. Io e Sam ci scambiammo varie occhiate, perplessi e a disagio.

«Comunque» disse Cassie, tornando al suo disegno, «è perfettamente inutile cercare di farla confessare con l'intimidazione. Gli psicopatici non reagiscono alla paura, forse solo all'aggressività, alla noia o al piacere.»

«Okay» disse Sam. «E l'altra sorella? Jessica, no? Potrebbe sapere qualcosa?»

«Probabilmente sì» dissi io. «Sono molto intime.» Un angolo della bocca di Cassie si sollevò leggermente alla parola che avevo scelto.

«Ah, Cristo» esclamò O'Kelly. «E lei ha dodici anni, no? Quindi significa avere i genitori.»

«In realtà» disse Cassie, senza sollevare lo sguardo, «dubito fortemente che parlare con Jessica possa servire a qualcosa. È totalmente succube di Rosalind. Qualsiasi cosa le abbia fatto, è talmente inebetita che riesce a stento a ragionare per conto suo. Se trovassimo un modo per accusare Rosalind sì, forse prima o poi potremmo ricavare qualcosa anche da Jessica, ma fino a quando Rosalind sarà in quella casa, avrà troppa paura di dire qualcosa di sbagliato.»

O'Kelly perse la pazienza. Detesta sentirsi sconcertato e la tensione palpabile nella stanza doveva avergli fatto venire la pelle d'oca da un pezzo, quasi più del caso stesso. «Fantastico, Maddox. Grazie mille. E allora che diavolo suggerisci di fare? Avanti, vedi di tirar fuori qualcosa di utile invece di startene lì a sparare a zero sulle idee degli altri.»

Cassie smise di disegnare e fece dondolare la penna su un dito. «Okay» disse. «Gli psicopatici si eccitano quando riescono a esercitare il loro potere sugli altri. Quando riescono a manipolarli, a infliggere dolore. Io credo che dovremmo giocare su questo. Darle tutto il potere che può reggere e vedere se si lascia andare.»

«Di cosa stai parlando?»

«Ieri sera» continuò lentamente Cassie, «Rosalind mi ha accusata di essere andata a letto con il detective Ryan.»

Sam girò la testa di scatto verso di me. Io lanciai un'occhiata a O'Kelly che volle subito precisare: «Oh, non me n'ero certo dimenticato, credetemi. E sarà meglio che non sia vero. Voi due siete già abbastanza nella merda».

«No» disse Cassie, con una punta di stanchezza nella voce, «non è vero. Cercava solo di distrarmi e sperava di toccare un nervo scoperto. Non c'è riuscita, ma non ne è sicura. Può anche aver pensato che fingessi bene.»

«E allora?» chiese O'Kelly.

«Allora potrei andare a parlare con lei, ammettere che io e il detective Ryan abbiamo una storia da tempo e supplicarla di non tradirci. Dirle magari che sospettiamo sia implicata nella morte di Katy e offrirmi di raccontarle tutto quello che so in cambio del suo silenzio, qualcosa del genere.»

O'Kelly sbuffò. «E allora? Pensi che a quel punto vuoterà il sacco?»

Cassie si strinse nelle spalle. «Non vedo perché non dovrebbe. Sì, molti detestano ammettere di aver fatto qualcosa di orribile, anche se non rischiano di finire nei guai. Ma è perché si sentono in colpa, e perché non vogliono che si pensi male di loro. Per quella ragazza, gli altri non sono reali, sono come i personaggi di un videogioco, e bene e male sono solo parole. Non si sente in colpa e non ha rimorsi per aver convinto Damien a uccidere Katy. E vi dirò anche che, secondo me, è molto soddisfatta di sé. È stato uno dei suoi più grandi successi e non ha potuto vantarsene con nessuno. Se sarà sicura di avere il coltello dalla parte del manico e di non essere registrata – e io potrei mai essermi messa un registratore addosso e confessare poi di essere andata a letto con il mio collega? – credo che approfitterà delle circostanze. Il pensiero di dire a un detective tutto quello che ha fatto, sapendo che non potrà mai essere accusata, sapendo che per me avrebbe conseguenze terribili, sarebbe uno dei piaceri più eccitanti della sua vita. E non riuscirà a resistere.»

«Potrà dire tutto quello che le pare» disse O'Kelly. «Senza che le vengano formalmente letti i suoi dritti, niente di quello che dirà sarà ammissibile come prova.»

«Vorrà dire che glieli leggerò.»

«E credi che continuerà a parlare? L'hai detto tu che non è pazza.»

«Non lo so» ammise Cassie. Per un attimo mi sembrò esausta e francamente seccata, e questo la faceva apparire molto giovane, una ragazzina che non riusciva a nascondere la propria frustrazione davanti alla stupidità del mondo degli adulti. «Credo solo che sia la nostra carta migliore. Se la sottoponiamo a un interrogatorio formale, si terrà in guardia, se ne starà lì seduta e negherà ogni cosa, e noi avremo esaurito le nostre possibilità. Se ne tornerà a casa sapendo che non possiamo incastrarla in nessun modo. Così, invece, c'è la probabilità che pensi di essere intoccabile e si conceda il lusso di parlare.»

O'Kelly grattava furiosamente con l'unghia del pollice il finto legno del tavolo. Ci stava pensando. «Se lo facciamo, avrai un registratore. Non posso rischiare di avere la sua parola contro la tua.»

«Non l'avrei fatto in nessun altro modo comunque» disse Cassie, impassibile.

«Cassie.» Sam si sporse con sollecitudine sul tavolo. «Sei certa di poterlo fare?» Sentii un'improvvisa vampata di rabbia, totalmente ingiustificabile ma non per questo meno dolorosa: avrei dovuto farle io quella domanda.

«Ce la posso fare» gli disse Cassie, con un piccolo, mezzo sorriso. «Ehi, mi sono fatta quattro mesi di lavoro sotto copertura e non mi hanno beccata nemmeno una volta. Un'interpretazione da Oscar, che credi?»

Non penso che fosse quello che le aveva chiesto Sam. Quando mi aveva raccontato di quel tipo all'università, Cassie lo aveva fatto con un atteggiamento catatonico, ora vedevo quello stesso sguardo dilatato nei suoi occhi, sentivo la stessa nota troppo distaccata nella sua voce. Mi venne in mente la prima sera, vicino alla Vespa in panne: quella voglia di nasconderla sotto il cappotto, di proteggerla perfino dalla pioggia.

«Potrei farlo io» intervenni, forse con un tono di voce troppo alto. «A Rosalind piaccio.»

«No» scattò O'Kelly. «Tu non puoi.»

Cassie si strofinò gli occhi con due dita, si massaggiò la base del naso come se le stesse venendo il mal di testa. «Senza offesa» disse, neutra, «ma a Rosalind Devlin tu non piaci più di quanto non le piaccia io. È incapace di quel genere di emozione. Semplicemente ti trova utile. Sa di avere un bell'ascendente su di te, o di averlo avuto, non so, ed è sicura che tu sia il poliziotto che, se tutto va male, sarà fermamente convinto che sia stata ingiustamente accusata e si schiererà dalla sua parte. Credimi, non c'è nessuna possibilità che confessi a te. Io invece non le servo. Non ha niente da perdere a parlare con me. Sa di non piacermi, ma questo significa solo che avermi in suo potere le darà un brivido in più.»

«D'accordo.» O'Kelly stava radunando le sue carte e spingendo indietro la sedia per andarsene. «Procediamo. Maddox, spero proprio che tu sappia quello che stai facendo. Domani mattina per prima cosa ti metteremo addosso un registratore, poi andrai a farti una bella chiacchierata tra donne con Rosalind Devlin. Vedrò di farti dare un qualche aggeggio ad attivazione vocale, così che tu non debba cercare tasti di alcun genere.»

«No» disse Cassie. «Niente registratore. Voglio una trasmittente collegata a un furgone di supporto parcheggiato a meno di cinquecento metri.»

«Per interrogare una ragazza di diciotto anni?» fece O'Kelly con un tono di compatimento. «Tira fuori le palle, Maddox. Non abbiamo a che fare con al-Qaeda.»

«Per trovarmi a tu per tu, da sola, con una psicopatica che ha ucciso la sua sorellina.»

«Non si è mai mostrata violenta in prima persona» dissi. Non volevo che suonasse come un commento malevolo, ma ugualmente lo sguardo di Cassie mi passò addosso, inespressivo, come se io nemmeno esistessi.

«Trasmettitore e furgone di supporto» ripeté.

Quella notte tornai a casa alle tre del mattino, quando potevo essere certo che Heather dormisse. Presi la macchina, me ne andai a Bray, sul mare, e me ne rimasi seduto in auto. Aveva finalmente smesso di piovere, ma l'aria era carica di foschia. La marea era alta, sentivo gli schiaffi e le rincorse dell'acqua, ma vedevo solo a tratti le onde, tra i varchi nel grigio che cancellava tutto. L'allegro, piccolo chiosco appariva e scompariva come una visione fatata. Da qualche parte, un faro acustico ripeteva all'infinito la sua unica nota malinconica, e coloro che tornavano a casa a piedi per il lungomare si materializzavano dal nulla, sagome galleggianti a mezz'aria come oscuri messaggeri.

Pensai a molte cose, quella notte. Pensai a Cassie a Lione, a una ragazza con il grembiule che serviva il caffè ai tavoli all'aperto, pieni di sole, e scherzava in francese con i clienti. Pensai ai miei genitori quando si preparavano per andare a ballare: le righe precise che il pettine di mio padre gli lasciava nei capelli pieni di brillantina, la fragranza intensa ed eccitante del profumo di mia madre e il suo vestito a fiori che frusciava uscendo dalla porta. Pensai a Jonathan, Cathal e Shane, dinoccolati, avventati, e con le loro risate echeggianti; a Sam seduto al tavolone da pranzo insieme ai suoi sette rumorosi fratelli e sorelle; a Damien che, in una qualche silenziosa biblioteca universitaria, riempiva un modulo per un lavoro a Knocknaree. Pensai agli occhi da matto di Mark ("Le uniche cose in cui credo sono là fuori, allo scavo") e ai rivoluzionari che agitavano bandiere stracciate e intrepide, ai profughi che nuotavano di notte sfruttando le correnti. Pensai a tutti coloro che attribuivano così poco valore alla vita, o tanto ai loro ideali, da andare sicuri, a occhi aperti, incontro a ciò che avrebbe potuto togliergliela o trasformarla per sempre, e i cui alti principi sfuggivano alla nostra comprensione. Pensai anche a dei fiori di campo da portare a mia madre.