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Di nuovo il mio ufficio era vuoto. Niente brune dalle gambe voluttuose, niente ragazzine dagli occhiali obliqui, niente uomini bruni dagli occhi da sicario.
Mi sedetti alla scrivania e guardai la luce morire. I rumori della folla che rincasava si erano spenti. Fuori le insegne al neon cominciavano a guardarsi con odio, ai due lati del boulevard. C'era qualcosa da fare, ma non sapevo che cosa. Fosse quel che fosse non sarebbe servito a niente. Feci ordine sulla scrivania, ascoltando lo stridio d'un secchio sulle piastrelle del corridoio. Riposi le mie carte in un cassetto, raddrizzai il portapenne, tirai fuori uno straccio e spolverai il piano di vetro e il telefono. Era nero e brillante, nella luce che svaniva. Non avrebbe suonato quella sera. Nessuno mi avrebbe chiamato. Non ora, non questa volta. Forse mai piu. Riposi lo straccio, piegato, con la polvere dentro, mi appoggiai all'indietro e rimasi seduto, senza fumare, senza nemmeno pensare. Ero un uomo vuoto, negativo. Non avevo viso, ne significato ne personalita. Quasi non avevo un nome. Non mi sentivo di mangiare. Non avevo nemmeno voglia di un bicchierino. Ero come il foglio di ieri del calendario, accartocciato in fondo al cestino della carta straccia.
Cosi mi tirai vicino il telefono e formai il numero di Mavis Weld. Suono e suono e suono. Nove volte. E un bel suonare, Marlowe. Credo che non ci sia nessuno in casa. Nessuno e in casa, per te. Deposi il ricevitore. Chi vorresti chiamare ora? Non hai un amico, da qualche parte, che potrebbe aver piacere di sentire la tua voce? No. Nessuno.
Fate che suoni il telefono, prego. Fate che qualcuno mi chiami, e mi trascini di nuovo nella razza umana. Anche un poliziotto. Anche Maglashan.
Nessuno e obbligato a volermi bene. Voglio solo andarmene da questa stella di ghiaccio.
Il telefono suono.
– Amigo – disse la voce di Dolores. – C'e un guaio. Un guaio grosso.
Lei vuol vedervi. Le piacete. Vi considera un uomo onesto.
– Dove? – chiesi. Non fu veramente una domanda. Fu solo un suono che mi venne dalla gola. Succhiai il cannello della pipa spenta e mi chinai, con la fronte su una mano, covando il telefono. Era una voce con cui parlare, se non altro.
– Verrete?
– Veglierei un pappagallo malato, questa notte. Dove devo andare?
– Verro io a prendervi. Saro davanti a casa vostra fra un quarto d'ora.
Non e facile arrivare dove dobbiamo andare.
– E come facciamo a tornare indietro? – chiesi. – O la cosa non ha importanza?
Ma lei aveva gia riappeso.
Al banco del drugstore ebbi il tempo di buttar giu due tazze di caffe e un tramezzino di formaggio fuso con due fette di surrogato di prosciutto affondate nel mezzo, come un pesce morto nella melma, in fondo a uno stagno prosciugato.
Ero pazzo. E mi piaceva.