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G.C.

ce mercredi, 5 mars 1766, à la pointe du jour.

Eccellenza,

Jeri sera dietro alla scena Ella mi offese senza motivo e senza dritto alcuno di procedere verso di me in simil guisa. Ciò essendo, giudico che V. E. mi odj e che, per conseguenza, brami di farmi uscire dal numero de' vivi. Posso e voglio contentarla.

V. E. si compiaccia di prendermi seco nella sua carrozza e di condurmi in luogo nel quale, uccidendomi, Ella non abbia a divenir reo violatore delle leggi della Polonia, e nel quale io possa goder dello stesso vantaggio, se con l'assistenza di Dio mi riuscisse di uccider Lei.

Se non sapessi quanto sia grande la sua generosità, non farei a V. E. questa proposizione.

Ho l'onor d'essere, oggi mercordì 5 Marzo allo spuntar del giorno, Di V. E.

L'umil. dev. oss. Servitore G. C.

Copiato e sigillato questo biglietto, egli scosse dal sonno un cosacco, che dormia sempre vestito sulla soglia della sua stanza, ed il mandò portatore del biglietto alla Corte, all'appartamento del Postòli, e gli ordinò di consegnarlo senza nominare chi lo mandava e di ritornar subito a casa. Così ei fece. Non passò mezz'ora che un paggio del Postòli venne a consegnare nelle proprie mani del veneziano la seguente risposta, scritta di sua mano, sigillata con le sue armi.

Monsieur,

l'accepte votre proposition, mais vous aurez la bonté, Monsieur, de vouloir bien m'avertir quand j'aurai l'honneur de vous voir. Je suis très parfaitement, Monsieur,

Votre très humble et très obéissant

Serviteur Branicki P.

5 mars 1766.

Signore,

Accetto la vostra proposizione, ma avrete la bontà, Signore, di voler bene avvertirmi quando avrò l'honore di vedervi. Sono perfettissimamente, Signore, Vostro Um. ed Obbed. Servitore.

Dal nobile laconismo di questo biglietto si conosce che il Postòli non esitò neppur un minuto ad accettare la sfida, e che fu anzi un piacere per lui quello di riceverla. Scorgendo in un attimo di aver offeso un uomo che nol teme, gli venne un pensiero che gli trafisse il core: ebbe timore che lo sfidatore potesse immaginarsi di aver a fare con un poltrone, e forse di atterrirlo. Rifletté che l'uomo che lo sfidò si crede forse più bravo di lui, e se ne rise. Gli venne poi in pensiero che ebbe forse la disgrazia d'insultare un uomo intrepido, e quindi riconobbe per suo religioso dovere quello di risarcirlo, anche uccidendolo se abbisognasse, ma onorandolo nel medesimo tempo e compiangendolo poi che abbia voluto farsi uccidere per non saper soffrire da lui una picciola ingiuria; non indifferente in questa riflessione al piacere di un nuovo trionfo. Quindi si affrettò ad accettar la sfida, acciò l'altro, supponendolo timoroso, non avesse tempo di accrescersi il coraggio. Gli venne anche un altro pensier maligno.

S'imaginò che lo sfidatore, sfidandolo, abbia sperato ch'egli non accetti la sfida. Accettò dunque, e si lusingò ch'ei fosse per inciampare in qualche poltroneria, la quale poi potesse giustificar lui, dimostrando al mondo che alfine non avea insultato che un vile. Desiderò però nel fondo del suo core che lo sfidatore fosse uomo valoroso, poiché non avviene mai che un bravo stimi un altro più bravo di lui, onde prevede la sua vittoria sempre più gloriosa, e della vittoria nel suo core è sicuro. Questi sono i pensieri che in simili occasioni albergano nell'animo dell'uomo veramente nobile. L'uomo nobile, che ha offeso, non va in traccia di sotterfugi per esimersi dal dare all'oltraggiato tutte le soddisfazioni. Quelli che non sono pronti a darle sono infingardi, se pure non dimostrino che le persone che offesero meritavano d'esserlo, o erano in debito d'essere anime vili insensibili ad ogni affronto; ovvero tenuti dall'umiltà della loro condizione o dalla doverosa subordinazione a dissimularlo.

Contento il veneziano di avere condotta a buon termine la faccenda, rispose sul fatto così:

Je me rendrai, Monseigneur, demain matin jeudi, à l'antichambre de V. E.; j'attendrai votre réveil, et j'aurai toute la journée libre. Vous ne sauriez penser, Monseigneur, combien je me crois honoré par la réponse que V. E. m'a faite. J'ai l'honneur, etc.

Domani mattina giovedì aspetterò nella sua anticamera che V. E. si svegli, ed avrò libero tutto il giorno. V. E. non può figurarsi quanto io mi senta onorato dalla sua risposta. Ho l'onore d'essere, etc.

Egli consegnò la risposta al medesimo paggio, il quale ritornò un quarto d'ora dopo con questo biglietto dell'impaziente Postòli: Je ne consens pas à transporter à demain une affaire qu'on doit terminer aujourd'hui. Je vous attends chez moi d'abord. Marquez-moi, en attendant, les armes et le lieu, etc.

Non acconsento a trasportare a dimani un affare, che si deve terminar oggi. Vi aspetto qui subito. Nominatemi intanto le armi e il luogo, etc.

Il veneziano gli rispose:

Je n'aurai point d'autre arme que mon épée, et quant au lieu ce sera celui où V.

E. me conduirà, hors de la starostie de Varsovie; mais pas avant demain, puisqu'auiourd'hui j'ai un paquet à remettre au roi, j'ai pris médecine, et j'ai un testament à faire. Je suis, etc.

Non avrò altre armi che la mia spada e, quanto al luogo, mi piacerà quello dove V. E. mi condurrà fuori della starostia di Varsavia; ma replico che ciò avverrà dimani, poiché oggi ho un pacchetto da rimettere al re, ho preso medicina, ed ho a fare testamento. Sono, etc.

Mezz'ora dopo che questa lettera fu spedita, il veneziano, il quale era a letto, rimase un poco sorpreso di veder il Postòli comparire solo nella sua stanza e di udirlo a dirgli che avea a parlargli di affare segreto. Onde udite queste parole, alquanti subalterni, che si trovavano per caso nella stanza, non aspettarono di esser pregati di partire; i due principali attori rimasero soli ed il Postòli si assise sul letto. Perdoni il lettore se chi scrive ha qui bisogno di divenir drammatico per essere fedelissimo nella storia ed abbastanza chiaro.

Postòli (seduto sul letto del veneziano). - Sono venuto per domandarvi se pensate prendervi giuoco della mia persona.

Venez. - Come mai! Io ho per la vostra persona, o signore, il maggior rispetto che aver si possa.

Post. - Mi mandate una sfida e, dopo ch'io l'ho prontamente accettata, cercate di guadagnar tempo. Questo non si fa. Se sentiste l'affronto che pretendete ch'io vi abbia fatto, dovreste aver più fretta di me di scaricarvene.

Venez. - Dell'ingratissimo peso mi sento già di molto alleggerito dal momento che vi siete impegnato di battervi meco. Una dilazione di ventiquattr'ore non è considerabile; la nostra rissa, dopo un accordo, è divenuta tale che può accoppiarsi con la cortesia. Chi ci affretta ad andarci a battere oggi più tosto che domani?

Post. - La persuasione in cui sono che, se non ci battiamo subito, non ci batteremo più.

Venez. - Chi potrà impedircelo?

Post. - Un comune arresto d'ordine regio.

Venez. - E come? chi potrà far nota a S. M. la nostra intenzione?

Post. - Io no per sicuro.

Venez. - E men'io.

Post. - Non so; conosco i strattagemmi della vostra nazione.

Venez. - V'intendo, ma v'ingannate a partito. La mia nazione ha insegnato la bravura e la civile politezza alla vostra, e, per quanto dipende da me, vi sforzerò a rispettarla. Sappiate poi che son tanto lontano dallo scruttinar strattagemmi per ischivare di cimentarmi con voi che, per aver un tal onore, farei cento leghe a piedi, tanto è grande la stima che ho del vostro personaggio; e sappiate ancora ch'io ho sopra di voi un vantaggio, ed è ch'io non credo voi capace di una viltà.

Post. - Mi rallegro che mi conosciate perfettamente. Io non sono tenuto ad aver di voi la buona opinione che voi avete di me, poiché voi dovete sapere che non vi conosco. Vi dirò bensì che la vostra sfida mi fa ben augurare di voi, ma col differire il cimento mi date di voi un saggio che vi è assai svantaggioso. Non facciamo tante parole; battiamoci oggi e datemi così una convincente prova che non chiudete in mente i disegni che sono indotto a sospettar che coviate.

Venez. - Ho una medicina in ventre, ho lettere a scrivere di somma importanza, e debbo fare un picciolo testamento.

Post. - Da qui a sei ore la medicina avrà oprato; le lettere potrete scriverle dopo che ci saremo battuti, e, se soccombete con la vita, credetemi, che non vi verrà ciò, da chi resterà al mondo dopo di voi, annotato a gran mancamento; quanto poi al testamento, in verità mi fate ridere; voi prendete un duello per cosa troppo seria; non si muore, no, tanto facilmente; sappiatelo. Non abbiate paura. Voglio che in questo voi pensiate come me; sono picciole bagatelle. Vi dirò in somma in due parole che, dopo che mi sfidaste e ch'io accettai, ho dritto di dirvi che o voglio battermi oggi o mai più. Voi mi avete inteso.

Venez. - V'intesi tanto bene che mi avete persuaso, anzi convinto. Sarò pronto ad andar in vostra compagnia a battermi con voi oggi tre ore dopo mezzogiorno.

Past. - Così mi piacete: bravo; ma ho ancora una cosa a dirvi.

Venez. - Ditela, di grazia.

Post. - Voi mi avete scritto che le vostre armi saranno la vostra spada; e questo è un sogno.

Venez. - Perché?

Post. - Perché io posso dispensarmi dal battermi con la spada con qualunque uomo ch'io non conosco, essendoché voi potete di quel giuoco essere troppo abile maestro ed in tal guisa aver sopra di me un troppo grande vantaggio, poiché non ne so di più di quello che convenga sapere ad ogni cavaliere, la professione del quale è la guerra.

Venez. - Potreste rifiutare un maestro di scherma, ve l'accordo, ma non me, che naturalmente credo di saperne meno di voi, essendoché il vostro mestiere non fu mai il mio.