39180.fb2 Mr Gwyn - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 37

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36.

Quando entrò nello studio, alle quattro precise del giorno dopo, la prima cosa che vide furono i foglietti di Jasper Gwyn, di nuovo al loro posto, neanche uno spiegazzato, rimessi a nuovo, con le puntine e tutto. Erano centinaia, ormai. Non sembrava che qualcuno ci avesse mai passeggiato sopra. Rebecca alzò lo sguardo e Jasper Gwyn era lì, seduto per terra, in quella che sembrava essere diventata la sua tana, la schiena appoggiata al muro. Ogni cosa era al suo posto, la luce, la musica, il letto. Le sedie allineate su un lato della stanza, in ordine, tranne quella che ogni tanto usava lui, messa in un angolo, il taccuino dei foglietti posato per terra. Quale sensazione di salvezza, pensò – che mai ho conosciuto prima.

Si tolse i vestiti, prese una sedia, la spostò in un punto che le piacque, non troppo vicino a Jasper Gwyn, non troppo lontano, e si sedette. Rimasero così per lungo tempo, Jasper Gwyn ogni tanto la guardava, ma più spesso fissava qualcosa della stanza, facendo dei piccoli gesti nell’aria, come se inseguisse qualche musica. Sembrava mancargli il suo taccuino, lo cercò un paio di volte con lo sguardo, ma poi in realtà non si alzava a prenderlo, gli andava di rimanere lì, appoggiato al muro. Questo fino a quando, d’improvviso, Rebecca si mise a parlare.

– Questa notte ho pensato una cosa, disse. Jasper Gwyn si voltò a guardarla, colto di sorpresa.

– Sì, lo so, non dovrei parlare, smetto subito. La voce era pacata, tranquilla.

– Ma c’è una cosa stupida che ho deciso di fare. Non ho nemmeno ben capito se la faccio per me o per lei, voglio dire soltanto che mi sembra giusta, come qui è giusta la luce, la musica, è giusto tutto, tranne una cosa. Così ho deciso di farla.

Si alzò, si avvicinò a Jasper Gwyn, e si inginocchiò davanti a lui.

– Lo so, è una cosa stupida, mi scusi. Ma me la lasci fare. E, come avrebbe fatto con un bambino, si sporse verso di lui e lentamente gli tolse la giacca. Jasper Gwyn non oppose resistenza. Parve rassicurato dal fatto di vedere Rebecca piegare la giacca nel modo giusto, e sistemarla per terra con attenzione.

Poi lei gli sbottonò la camicia, lasciando per ultimi i bottoni dei polsini. Gliela sfilò via, e di nuovo la piegò con ordine, appoggiandola sulla giacca. Parve soddisfatta, e per un po’ non si mosse.

Poi si spostò un po’ indietro, e si chinò a slacciare le scarpe di Jasper Gwyn. Gliele tolse. Jasper Gwyn ritirò indietro i piedi perché tutti gli umani maschi si vergognano delle calze. Ma lei sorrise, e gli sfilò anche quelle. Mise poi tutto in ordine, come avrebbe potuto fare lui, stando attenta che ogni cosa fosse allineata.

Guardò Jasper Gwyn e disse che così andava molto meglio.

– Così è molto più esatto, disse.

Si alzò e tornò a sedersi sulla sedia. Era stupido, ma il cuore le batteva come se avesse fatto una corsa – proprio così se l’era immaginata, di notte, quando le era venuta in mente.

Jasper Gwyn riprese ad andare in giro con lo sguardo, tornando a fare piccoli gesti nell’aria. Non sembrava essere cambiato nulla, per lui. Come d’improvviso è diventato un animale, pensò tuttavia Rebecca. Gli guardava il petto magro, le braccia secche, e tornò indietro a quando Jasper Gwyn per lei era uno scrittore lontano, una fotografia, qualche intervista – sere intere a leggerlo, rapita. Si ricordò di quando Tom, la prima volta, l’aveva mandata nella lavanderia, con quel cellulare. A lei era parsa una follia, e allora Tom si era fermato a spiegarle un po’ che tipo era, Jasper Gwyn. Le aveva raccontato che nel suo ultimo libro c’era una dedica. Forse se la ricordava: a P., addio. Le spiegò che p stava per Paul, era un bambino. Aveva quattro anni, e Jasper Gwyn era suo padre. I Però mai si erano visti, per la semplice ragione che Jasper Gwyn aveva deciso che non sarebbe stato padre mai, e per nessun motivo. Era in grado di sostenerlo con grande dolcezza e determinazione. E un’altra cosa le raccontò. C’erano almeno altri due libri, di Jasper Gwyn, che circolavano nel mondo: ma non col suo nome, e certo non sarebbe stato lì a dirle quali erano. Poi Tom le aveva puntato una biro blu alla testa e aveva fatto un rumore con la bocca, come un soffio.

– E un cancellatore di memoria, le aveva spiegato. Tu non sai niente.

Lei aveva preso il cellulare ed era andata in lavanderia. Se lo ricordava benissimo, quell’uomo, seduto in mezzo alle lavatrici, elegante, le mani dimenticate sulle ginocchia. Le era sembrato una sorta di divinità, perché era ancora piccola, ed era la prima volta. A un certo punto lui aveva provato a dirle qualcosa a proposito di Tom e di un frigorifero, ma lei faceva fatica a concentrarsi, perché lui parlava senza guardare negli occhi, e con una voce che a lei sembrava di conoscere da sempre.

Adesso quell’uomo era lì, il petto magro, le braccia secche, i piedi nudi messi uno sull’altro – un elegante relitto animale, principesco. Rebecca pensò quanta strada può accadere di fare, e come misteriose siano le rotte dell’esperienza se possono portarti seduta su una sedia, nuda, a farti guardare da un uomo che da lontano ha trascinato la sua follia fino a lì, riordinandola fino a farne un rifugio per lui e per te. Le venne in mente che ogni volta che aveva letto una pagina di quell’uomo, già era stata invitata in quel rifugio, e che in fondo non era successo nulla, da allora, assolutamente nulla – forse un tardivo allinearsi di corpi, sempre in ritardo.

Da quel giorno Jasper Gwyn si mise a lavorare vestito solo di un paio di vecchi pantaloni da meccanico. Gli dava una certa aria da pittore pazzo, e questo non guastava.