39597.fb2 Sessanta racconti - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 27

Sessanta racconti - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 27

25. I REZIARII

Monsignore era solo nella campagna. si avvicinò a una siepe e con uno stecchetto tolse dalla tela un grosso ragno: era giovane, sodo, magnifico; squisiti disegni di colore delicatissimo istoriavano la cupola dell'addome. La bestiola fu tratta via per il suo stesso filo e così dondolava, appesa, senza sapere che cosa le accadesse.

Ma un altro ragno ancora più formidabile stava, in un vicino varco della siepe, al centro della sua tela, Assomigliava a Moloc, oppure anche al dragone, il serpente antico, che porta il nome di Satana. Nel grande splendore della vita esso regnava, sazio ed immobile, in quel pezzetto di mondo. Dentro alla sua rete, a scopo di esperimento, monsignore lanciò con mossa precisa il primo ragno; il quale vi restò attaccato, invischiandosi.

L'uomo non fece in tempo a vedere. Il grande ragno sembrava dormisse: invece cadde fulmineo sul forestiero. E già le sue zampe lo avvoltolavano nelle argentee garze di bava. Non ci fu lotta. In pochi istanti il ragno fu accartocciato in un pacchetto, non poteva più muoversi.

Era sera, quieta la campagna, il sole scendeva regolarmente verso le montagne, facendo rilucere la ragnatela nei minuti disegni. Tutto era tornato nella pace. Nel mezzo, come prima, il gigantesco ragno immobile, come in letargo. Più sotto quel cartoccetto sospeso, con dentro il nemico. Era morto? Ogni tanto le due zampe anteriori avevano tremiti quasi impercettibili.

Senonché all'improvviso il prigioniero si sciolse. Non fece visibili sforzi, non diede scosse. Meditando nel chiuso della trappola, ne aveva decifrato il segreto? Si sfilò fuori, apparve intatto, si incamminò senza fretta lungo uno dei fili radiali che sorreggevano la rete. Fa presto, muoviti pensò monsignore; vuoi farti riprendere? Ma il ragno non aveva premura.

Moloc, irrigidito nel trono, non batté ciglio. C'era stato un patto tra i due? Il più grande per esempio poteva aver detto all'altro: se riesci a liberarti da solo ti farò grazia, o qualcosa di simile. Restò infatti fermo come una statua, finse di non sapere, rinunciando. E già il minore si inoltrava tra le foglie.

Monsignore però fu più lesto e riuscì nuovamente a staccare dalla pianta il ragno fuggiasco, senza danneggiarlo. Lo fece oscillare due tre volte a pendolo, poi con delicatezza lo gettò per la seconda volta nella rete.

E per la seconda volta il gigante scattò. In un baleno fu sopra l'altro e aprendo le zampe cercava di avvilupparlo. Ci fu una breve lotta. Il minore era rimasto appiccicato malamente alla rete né poteva voltarsi per lottare faccia a faccia. In qualche modo tuttavia si difendeva, torcendosi all'indietro. In questa posizione sbilenca poco dopo restò inchiodato.

I legamenti erano tuttavia molto meno perfetti di prima. Nello scontro iniziale il ragno maggiore aveva speso senza risparmio la sua bava e non gliene restava quasi più. Dovette limitarsi a una fasciatura sommaria, larghi varchi restando aperti tra benda e benda. Allora, alle spalle di monsignore, una piccola cosa nera si mosse, forse un uccello una foglia, cadente, una biscia. Lui si voltò di soprassalto, ma la campagna era perfettamente deserta. Il ragno che aveva vinto non tornò subito al suo seggio. Stavolta lavorava con molto impegno intorno al corpo del prigioniero e gli mordeva lentamente la schiena, allo scopo di avvelenarlo. L'altro subiva, rassegnato, e pareva non soffrisse. Lo addentò a lungo, poi tornò al centro della rete, poi sembrò pentirsi e ricominciò a morsicare. Così tre volte. Alla terza, da un breve pertugio del sacchetto, il prigioniero spinse fuori le tenaglie e abbrancò al volo una zampa del boia.

Moloc fu preso dall'orgasmo, abbandonò la vittima, cercò di ritirarsi. Ma l'altro teneva con furore. La zampa era tesa allo spasimo, ancora un po' e si sarebbe spezzata. Finché al prigioniero vennero meno le forze e le sue tenaglie mollarono.

Col dubbio che uno lo stesse fissando alle spalle, monsignore si voltò di nuovo. Ma dietro a lui non c'era nulla: tranne la campagna, il tramonto e una nuvola gialla la quale protendeva una specie di braccio lunghissimo, simile a un avvertimento. Verso di lui forse?

Zoppicando, il ragno grande risalì al suo stallo, in una abbietta costernazione. Era la paura di essere stato avvelenato, Con amore tenerissimo cominciò ad accarezzarsi la zampa che l'avversario aveva stretto. La lisciava con le altre sette, se la portava alla bocca e pareva leccarla, poi la tendeva per collaudo, come facciamo noi dopo una storta alle articolazioni. Sembrava una mamma col bambino. Dopo alcuni minuti però il suo affanno andava placandosi: ora esperimentava la zampa, se facesse ancora buona presa, sui fili stessi della rete, quasi arpeggiando. Quindi, con disgustoso trasporto, ancora la accarezzava.

Del tutto infine consolato, tornò al feroce lavoro con accresciuto accanimento. La sua tenaglia affondava nell'addome del suppliziato schiantando lo spessore della corteccia alla guisa di un apriscatole. E dalle crepe cominciava a colare un liquido denso e bianchiccio.

A questo punto, morendo il sole, lo smisurato braccio della nube, sospeso sopra la valle, divenne vivo ed ardente, cosicché il suo riflesso si posava sul mondo. Anche la siepe, nel suo piccolo ne risplendeva. Eppure tutto era adesso tornato alla quiete anche più di prima, perché prima se non altro c'erano due ragni in agguato ed ora soltanto uno, immobile e assorto come se nulla fosse accaduto. L'altro aveva cessato di essere ragno, era un bozzolo inerte e floscio, anche lo scolo delle mucillagini viscerali si andava coagulando. La morte però non ancora: rattrappite come erano nel sacchetto, le due zampe anteriori si muovevano per decimi di millimetro.

Un calesse passò nella strada vicina, il cavallino trottava allegramente e dileguò verso nord. Poi monsignore udì, di là del fiume, una contadina cantare con abbandono conturbante. Egli era solo. Con la precisione di un chirurgo ruppe, per mezzo di uno stecco, i legamenti e liberò la bestiolina torturata. Poi la adagiò su una foglia.

Ivi la creatura restò, tutta storpia, così come era stata imprigionata, quasi uscisse da una ingessatura, a motivo della invadente paralisi. Tentò poi di camminare e si rovesciò su un fianco. Le otto zampine palpitavano a ritmo tutte insieme con dolceza, come invocando: il derelitto, l'innocente, l'agnello del signore.

In ginocchio sul prato, monsignore era chino sopra quel dolore irrimediabile. Dio, che cosa aveva fatto! Poco era bastato, un piccolo scherzo sperimentale, a rovinare una vita. Così egli stava pensando, quando notò che il ragno lo guardava: dai suoi occhietti inespressivi qualcosa di duro e cocente saliva fino a lui. Si accorse pure che il sole era disceso: alberi e siepi si facevano misteriosi fra lanugini di nebbia, aspettando. E adesso chi si muoveva alle sue spalle? Chi sussurrava piano piano il suo nome? No, pareva proprio che non ci fosse nessuno.