39597.fb2 Sessanta racconti - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 50

Sessanta racconti - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 50

48. ERA PROIBITO

Da quando è proibita la poesia, certamente la vita è assai più semplice da noi. Non più quella rilassatezza d'animo né quelle morbose eccitazioni, né l'indulgenza ai ricordi così insidiosi per l'interesse collettivo. La produttività, ecco la sola cosa che veramente conti, e davvero non si riesce a concepire come per millenni l'umanità abbia ignorato questa verità fondamentale.

Entro i limiti consentiti restano, come si sa, alcuni inni incitanti per l'appunto alle grandi opere di profitto nazionale, inni passati al vaglio della nostra benemerita censura. Ma si possono dire poesia? No, per fortuna. Essi fortificano l'animo del lavoratore senza aprire il varco alle peccaminose intemperanze della fantasia. Possono esservi da noi, per fare un tipico esempio, dei cuori afflitti dalle cosiddette pene d'amore? Si può ammettere che nel nostro mondo, consacrato alle opere concrete, lo spirito si perda in esaltazioni prive, come ognuno deve riconoscere, di qualsiasi utilità pratica?

Certo, senza un governo forte non si sarebbe potuta statuire una bonifica di così vasta portata. E tale è appunto il governo presieduto dall'onorevole Nizzardi. Forte, e democratico, si intende. La democrazia non impedisce di usare, qualora sia necessario, pugno di ferro, ci mancherebbe altro. In particolare, il più acceso propugnatore della legge che ha tolto di mezzo la poesia, è stato l'onorevole Walter Montichiari, ministro del Progresso. Egli in realtà si è limitato a farsi interprete della stessa volontà del Paese, ha agito appunto su una linea squisitamente, se è consentita l'espressione, democratica. L'insofferenza della popolazione nei riguardi di quel pernicioso atteggiamento della psiche era da anni fin troppo manifesta. Non restava che codificarla con precise norme restrittive, il tutto a beneficio della collettività.

Poche leggi del resto portarono così insensibile disturbo alla vita del cittadino singolo. Chi leggeva più poesie? Chi ne scriveva più? L'obliterazione nelle biblioteche, pubbliche e private, dei volumi incriminabili, si è compiuta senza difficoltà di sorta, anzi: l'operazione è stata realizzata in un'aria di soddisfatta eccitazione, quasi ci si fosse liberati di una sgradevole zavorra, finalmente. Produrre, costruire, spingere sempre più in su le curve dei diagrammi, potenziare industrie, commerci, sviluppare le indagini scientifiche rivolte all'incremento della efficienza nazionale, convogliare (che bella parola) sempre maggiori energie nella progressiva espansione dei traffici, questa se mai, o concittadini, può essere poesia. Tecnica, calcolo, concretezza merceologica, tonnellate, metri, mercuriali, valori del mercato, sano realismo delle cosiddette manifestazioni artistiche (qualora siano ritenute indispensabili), evviva.

L'onorevole Walter Montichiari ha 46 anni, è abbastanza alto, bell'uomo nel complesso, lo sentite nella stanza accanto come ride? (Gli stanno raccontando come i paesani hanno dato la baia al vecchio poeta Osvaldo Cahn. " Ma io non ne scrivo più " gridava lo sciagurato; " giuro che da quindici anni non ne scrivo più. Io commercio in granaglie e basta. " " Però le hai scritte ai tuoi bei tempi, porco " gli hanno risposto scaraventandolo, vestito di tutto punto, con cappello e bastone, nella vasca di un letamaio.) Lo sentite come ride l'onorevole? Ah, un uomo sicuro di sé, coi piedi piantati sulla terra, di questo potete essere sicuri. Fa più un tipo come lui che cento cascherini vecchio stampo, che appoggiati mollemente alle balaustre, fissando il cielo del tramonto, declamano versi alla bella. Tutto, del resto, è concreto e positivo intorno all'onorevole. E mica che sia un bruto. Alle pareti del suo studio pendono quadri di celebrati artisti: composizioni astratte per lo più, che ritemprano l'occhio dell'uomo senza coinvolgere l'animo. Scelta è anche la sua discoteca che testimonia un gusto incorruttibile, teso ai puri valori, certo non vi aspetterete di trovarci smancerie tipo Chopin, ma Hindemith c'è tutto. In quanto alla biblioteca, fatta astrazione dai testi scientifici e documentari, non mancano diversivi per le ore di rilassamento: ma sono naturalmente autori dediti alla riproduzione narrativa della vita qual è senza aggiunte o infingimenti; leggendo i quali non c'è pericolo, grazie a Dio, di sentirsi toccare nella intimità dell'animo, cosa questa invereconda che un tempo era ammessa, e desiderata perfino, benché si stenti a crederlo.

Ha una bella risata l'onorevole, fa piacere ascoltarla. Essa implica completa padronanza della situazione, ottimismo fiducia nei piani costruttivi. Ma è tranquillo come mostra di esserlo? È sicuro veramente che il deprecato fenomeno sia estinto? Una sera dopo pranzo egli a casa sta studiando un memoriale, quando entra la moglie.

" Walter, sai dove sia Giorgina? "

" No, perché? "

" Mi aveva detto che andava a fare i compiti. Ma in camera sua non c'è. La chiamo, non risponde. La cerco dappertutto e non la trovo. " " Sarà in giardino. " " In giardino non c'è. " " Sarà uscita con qualche sua compagna. " " A quest'ora? E poi no. Il suo cappotto è appeso in anticamera. " Inquieti, i genitori perlustrano la casa. Ma lei non c'è. Montichiari, per un ultimo scrupolo, sale alla soffitta.

Qui, sotto agli sghembi travi, un riflesso quieto e misterioso posa sull'abbandonata confusione delle vecchie cose disusate e rotte. Esso proviene da un finestrino a mezzaluna che dà sul tetto. Il finestrino è aperto. Nonostante il freddo, con le mani aggrappate al davanzale, immobile la fanciulla sta, come rapita.

Che sta facendo lassù, sola? Un vago odioso sospetto, che egli inutilmente tenta di respingere, si prospetta all'onorevole. Non visto, sta ad osservare la figliola, ma lei non si muove di un millimetro: assorta, guarda fuori, gli occhi dilatati, come se assistesse ad un miracolo.

" Giorgina! " La bambina ha un sussulto, si gira di scatto, il suo viso è bianco. " Cosa fai qui? " Lei tace. " Cosa fai qui? Parla! " " Niente, ascoltavo. " " Ascoltavi? Che cosa ascoltavi? " Giorgina non risponde, fugge, i suoi singhiozzi si perdono giù per la scala.

L'onorevole chiude il finestrino ma, prima d'andarsene, dà un'occhiata fuori, risorgendo quel sospetto. Cosa stava contemplando la Giorgina? Cosa stava mai ascoltando?

Ebbene. Nulla si vede tranne il banale panorama dei tetti deserti, degli alberi spogli, dei capannoni industriali di là del viale, tranne l'insignificante spettacolo della luna al secondo quarto avanzato, che illumina la città producendo i noti effetti luminosi, le cupe ombre, gli effetti di trasparenza nelle nuvole, eccetera. E nulla si ode, tranne gli scricchiolii dei vecchi legni nella soffitta e l'appena avvertibile suono, come un respiro, lievitante dalla città che si assopisce a poco a poco, conforme al rallentamento dell'attività produttiva dovuta appunto all'ora. Fenomeni usualissimi, privi di qualsiasi immaginabile interesse. Oppure? (Fa freddo, nel solaio, soffi d'aria gelida si insinuano fra le commessure delle tegole.) Oppure proprio lassù, sui tetti trasfigurati in certo modo dalla luna (neppure lui potrebbe negarlo onestamente) sta in agguato ancora la poesia, questa depravazione antica? E, benché innocenti, anche i bambini ne restano tentati, senza che alcuno gliene abbia mai fatto cenno? E dovunque nella città è lo stesso, come per una congiura che fermenti? Non bastano le leggi, dunque, né i castighi, né l'irrisione universale, a sopprimere la maledetta? Allora tutto quello che si è ottenuto è semplicemente una menzogna, una ipocrita ostentazione di rudezza, un simulato conformismo? E lui, Montichiari? Perfino dentro di lui quel sentimento occulto sta forse covando? Poco dopo, in salotto, la signora Montichiari dice: " Walter, non ti senti bene stasera? Sei pallido, sei ". " Tutt'altro. Sto benissimo. Adesso, anzi, devo passare un momento al Ministero. " " Così presto? Col boccone in gola? " Non è tranquillo. Esce solo, ma prima di salire in macchina, per un istante considera la intensità rara della luna, valutandone tutte le ripercussioni eventuali. Sono le dieci e un quarto, la città ormai si è quietata, dopo tanto lavoro. Eppure gli sembra che ci sia stasera nell'aria qualcosa di anormale, una specie di minuta palpitazione di occulte presenze annidate negli angoli d'ombra, così neri; un occhieggiare di sentinelle nascoste dietro i camini delle case, i tronchi d'albero, le spente colonnette di benzina; una improvvisa liberazione, col favor della notte, di desideri sediziosi.

Egli stesso, Montichiari, non si nasconde di provare una ingrata sensazione. Pure su di lui piovono silenziosamente dalla volta siderale cateratte di quella luce, così contraria alle direttive del governo. E gli viene fatto di spazzolarsi il cappotto con le mani per ripulirlo, tirar via la impalpabile ragnatela di argento che sembra depositarsi a strati.

Si riscosse, salì in macchina, raggiunse con sollievo il centro dove le intense luci elettriche cancellavano – per lo meno sembrava – lo splendore della luna. Entrò nel Ministero, salì lo scalone, attraversando lunghi corridoi pieni di silenzio si avviò verso il proprio studio. Tutto era spento, però dalle finestre i nefasti raggi entravano. Solo da una porta filtrava luce elettrica. Il ministro si fermò. Era la stanza del probo ed esatto professor Carones, l'uomo-cifra, capo dell'ufficio studi. Strano. L'onorevole aprì il battente adagio adagio.

Volgendogli le spalle, Carones sedeva allo scrittoio, su cui una piccola lampada concentrava i raggi, e scriveva con lunghe pensose interruzioni. Portava allora meditativamente alle labbra l'estremità della penna stilografica e intanto si voltava, quasi a ispirarsi, verso la vetrata che dava su una grande terrazza la quale, come inevitabile, era battuta dalla luna.

Per la seconda volta, quella sera, Montichiari si trovava a sorprendere qualcuno intento a fare cose insolite, e forse illecite. Infatti mai Carones si fermava così tardi a lavorare.

Sullo stesso tappeto, senza rumore, l'onorevole si avvicinò a Carones, gli fu a ridosso, sbirciò, sporgendosi sopra le sue spalle, quale rapporto o promemoria tecnico stesse mai scrivendo. Lesse: O muto lume, tu dolcezza, dal sipario buio dei capannoni metalmeccanici ti levi, lanterna delle fate, di pietra immoto specchio. Per ritrovarti, che lungo viaggio: la vita! E qui ora stanco guardo le miserie nostre per te risplendere, arcana e pura pace di plenilunio, come reggia di spiriti sovrani… Strumento della nemesi, la mano del ministro calò su una spalle di Carones: " Lei queste cose, professore? ". L'altro, paralizzato dal terribile spavento, emise un mugolio. " Lei queste cose, professore? " Ma in quel mentre il telefono cominciò a suonare nell'ufficio accanto, poi un altro più lontano in fondo al corridoio, un terzo, un quarto. Quindi nel palazzo addormentato ci fu un risveglio misterioso di vita, come se centinaia di persone fossero rimaste nascoste negli armadi o dietro i tendaggi polverosi aspettando il segnale, un furtivo strisciar di passi, un diffuso brusio che si propagava intorno. Poi voci distinte richiami, ordini secchi, sbattere di porte, risucchi, passi in corsa precipitosa, tonfi lontani.

Montichiari, aperta la vetrata, si affacciò sulla terrazza. Nel giardino che circondava il Ministero le lampade elettriche, chissà come, erano spente. Tanto più fissa e conturbante risultava perciò la luce della luna. Sui viali bianchi due tre uomini passarono di corsa tenendo in mano torce accese. Poi un giovane a cavallo con un gran mantello rosso. Ora sul balcone centrale del palazzo due militari in alta uniforme si disponevano uno per parte, impugnando delle lucenti spade. Alzarono le spade al cielo. Non erano spade, erano trombe. Ne uscì un lungo squillo d'argento, meraviglioso, che disegnò un arco altissimo sopra le masse umane. Montichiari non ebbe bisogno che gli comunicassero esplicitamente la notizia, per capire: la rivoluzione, era caduto il ministero.