51978.fb2 Favole al telefono - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 12

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Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva più la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

Il sole e la nuvola

Il sole viaggiava in cielo, allegro e glorioso sul suo carro di fuoco, gettando i suoi raggi in tutte le direzioni, con grande rabbia di una nuvola di umore temporalesco, che borbottava:

- Sciupone, mano bucata, butta via, butta via i tuoi raggi, vedrai quanti te ne rimangono.

Nelle vigne ogni acino d'uva che maturava sui tralci rubava un raggio al minuto, o anche due; e non c'era filo d'erba, o ragno, o fiore, o goccia d'acqua, che non si prendesse la sua parte.

- Lascia, lascia che tutti ti derubino: vedrai come ti ringrazieranno, quando non avrai più niente da farti rubare.

Il sole continuava allegramente il suo viaggio, regalando raggi a milioni, a miliardi, senza contarli.

Solo al tramonto contò i raggi che gli rimanevano: e guarda un po', non gliene mancava nemmeno uno. La nuvola, per la sorpresa, si sciolse in grandine. Il sole si tuffò allegramente nel mare.

Il re che doveva morire

Una volta un re doveva morire. Era un re assai potente, ma era malato a morte e si disperava: - Possibile che un re tanto potente debba morire? Che fanno i miei maghi? Perché non mi salvano?

Ma i maghi erano scappati per paura di perdere la testa. Ne era rimasto uno solo, un vecchio mago a cui nessuno dava retta, perché era piuttosto bislacco e forse anche un po' matto. Da molti anni il re non lo consultava, ma stavolta lo mandò a chiamare.

- Puoi salvarti, - disse il mago, - ma ad un patto: che tu ceda per un giorno il tuo trono all'uomo che ti somiglia più di tutti gli altri. Lui, poi, morirà al tuo posto.

Subito venne fatto un bando in tutto il reame: - Coloro che somigliano al re si presentino a Corte entro ventiquattr'ore, pena la vita.

Se ne presentarono molti: alcuni avevano la barba uguale a quella del re, ma avevano il naso un tantino più lungo o più corto, e il mago li scartava; altri somigliavano al re come un'arancia somiglia a un'altra nella cassetta del fruttivendolo, ma il mago li scartava perché gli mancava un dente, o perché avevano un neo sulla schiena.

- Ma tu li scarti tutti, - protestava il re col suo mago. - Lasciami provare con uno di loro, per cominciare.

- Non ti servirà a niente, - ribatteva il mago.

Una sera il re e il suo mago passeggiavano sui bastioni della città, e a un tratto il mago gridò: - Ecco, ecco l'uomo che ti somiglia più di tutti gli altri!

E così dicendo indicava un mendicante storpio, gobbo, mezzo cieco, sporco e pieno di croste.

- Ma com'è possibile, - protestò il re, - tra noi due c'è un abisso.

- Un re che deve morire, - insisteva il mago, - somiglia soltanto al più povero, al più disgraziato della città. Presto, cambia i tuoi vestiti con i suoi per un giorno, mettilo sul trono e sarai salvo.

Ma il re non volle assolutamente ammettere di assomigliare al mendicante. Tornò al palazzo tutto imbronciato e quella sera stessa morì, con la corona in testa e lo scettro in pugno.

Il mago delle comete

Una volta un mago inventò una macchina per fare le comete. Somigliava un tantino alla macchina per tagliare il brodo, ma non era la stessa, e serviva per fabbricare comete a volontà, grandi o piccole, con la coda semplice o doppia, con la luce gialla o rossa, eccetera.

Il mago girava per paesi e città, non mancava mai a un mercato, si presentava anche alla Fiera di Milano e alla Fiera dei cavalli, a Verona, e dappertutto mostrava la sua macchina e spiegava com'era facile farla funzionare. Le comete uscivano piccole, con un filo per tenerle, poi man mano che salivano in alto diventavano della grandezza voluta, ed anche le più grandi non erano più difficili da governare di un aquilone. La gente si affollava intorno al mago, come si affolla sempre intorno a quelli che mostrano una macchina al mercato, per fare gli spaghetti più fini o per pelare le patate, ma non comprava mai neanche una cometina piccola così.

- Se era un palloncino, magari, - diceva una buona donna, - ma se gli compro una cometa il mio bambino chissà che guai combina.

E il mago: - Ma fatevi coraggio! I vostri bambini andranno sulle stelle, cominciate ad abituarli da piccoli. - No, no, grazie. Sulle stelle ci andrà qualcun altro, mio figlio no di sicuro.

- Comete! Comete vere! Chi ne vuole?

Ma non le voleva nessuno.

Il povero mago, a furia di saltar pasti, perché non rimediava una lira, era ridotto pelle e ossa. Una sera che aveva più fame del solito trasformò la sua macchina per fare le comete in una caciottella toscana e se la mangiò.

Il pescatore di Cefalú

Una volta un pescatore di Cefalù, nel tirare in barca la rete, la sentì pesante pesante, e chissà cosa credeva di trovarci. Invece ci trovò un pesciolino lungo un mignolo, lo afferrò con rabbia e stava per ributtarlo in mare quando udì una vocina sottile che diceva:

- Ahi, non mi stringere così forte.

Il pescatore si guardò intorno e non vide nessuno, né vicino né lontano, e alzò il braccio per buttare il pesce, ma ecco di nuovo la vocina:

- Non mi buttare, non mi buttare!

Allora capì che la voce veniva dal pesce, lo aprì e ci trovò dentro un bambino piccolo piccolo, ma ben fatto, coi piedi, le mani, la faccina, tutto proprio a posto, solo che dietro la schiena aveva due pinne, come i pesci.

- Chi sei?

- Sono il bambino di mare.

- E che vuoi da me?

- Se mi terrai con te ti porterò fortuna. Il pescatore sospirò:

- Ho già tanti figli da mantenere, proprio a me doveva toccare questa fortuna di averne da sfamare un altro.

- Vedrai, - disse il bambino di mare.

Il pescatore lo portò a casa, gli fece fare una camicia per nascondere le pinne e lo mise a dormire nella culla del suo ultimo nato, e non occupava nemmeno mezzo cuscino con tutta la persona.

Quello che mangiava, però, era uno spavento: mangiava più lui di tutti gli altri figli del pescatore, che erano sette, uno più affamato dell'altro.

- Una bella fortuna davvero, - sospirava il pescatore. - Andiamo a pescare? - disse la mattina dopo il bambino di mare con la sua vocetta sottile sottile. Andarono, e il bambino di mare disse: - Rema diritto fin che te lo dico io. Ecco, siamo arrivati. Butta la rete qua sotto.

Il pescatore ubbidì, e quando ritirò la rete la vide piena come non l'aveva mai vista, ed era tutto pesce di prima qualità.

Il bambino di mare batté le mani: - Te l'avevo detto, io so dove stanno i pesci.

In breve tempo il pescatore arricchì, comprò una seconda barca, poi una terza, poi tante, e tutte andavano in mare a buttare le reti per lui, e le reti si riempivano di pesce fino, e il pescatore guadagnava tanti soldi che dovette far studiare da ragioniere uno dei suoi figli per contarli.

Diventando ricco, però, il pescatore dimenticò quel che aveva sofferto quando era povero. Trattava male i suoi marinai, li pagava poco, e se protestavano li licenziava.

- Come faremo a sfamare i nostri bambini? - essi si lamentavano.

- Dategli dei sassi, - egli rispondeva, - vedrete che li digeriranno.