51978.fb2 Favole al telefono - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 13

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Il bambino di mare, che vedeva tutto e sentiva tutto, una sera gli disse:

- Bada che quel che è stato fatto si può disfare.

Ma il pescatore rise e non gli diede retta. Anzi, prese il bambino di mare, lo rinchiuse in una grossa conchiglia e lo gettò in acqua.

E chissà quanto tempo dovrà passare prima che il bambino di mare possa liberarsi. Voi cosa fareste al suo posto?

Il re Mida

Il re Mida era un grande spendaccione, tutte le sere dava feste e balli, fin che si trovò senza un centesimo. Andò dal mago Apollo, gli raccontò i suoi guai e Apollo gli fece questo incantesimo: - Tutto quello che le tue mani toccano deve diventare oro.

Il re Mida fece un salto per la contentezza e tornò di corsa alla sua automobile, ma non fece in tempo a toccare la maniglia della portiera che subito la macchina diventò tutta d'oro: ruote d'oro, vetri d'oro, motore d'oro. Era diventata d'oro anche la benzina, così la macchina non camminava più e bisognò far venire un carro coi buoi per trasportarla.

Appena a casa il re Mida andava in giro per le stanze a toccare più cose che poteva, tavoli, armadi, sedie, e tutto diventava d'oro. A un certo punto ebbe sete, si fece portare un bicchiere d'acqua, ma il bicchiere diventò d'oro, l'acqua pure, e se volle bere dovette lasciarsi imboccare dal suo servo col cucchiaio.

Venne l'ora di andare a tavola. Toccava la forchetta e diventava d'oro e tutti gli invitati battevano le mani e dicevano: - Maestà, toccatemi i bottoni della giacca, toccatemi questo ombrello.

Il re Mida li faceva contenti, ma quando prese il pane per mangiare anche quello diventò d'oro e se volle cavarsi l'appetito dovette farsi imboccare dalla regina. Gli invitati si nascondevano sotto il tavolo a ridere e il re Mida si arrabbiò, ne acchiappò uno e gli fece diventare d'oro il naso, così non poteva più soffiarselo.

Venne l'ora di andare a dormire, ma il re Mida, senza volerlo, toccò il cuscino, toccò le lenzuola e il materasso, diventarono d'oro massiccio ed erano troppo duri per dormirci. Gli toccò di passare la notte seduto su una poltrona, con le braccia alzate per non toccare niente, e la mattina dopo era stanco morto. Corse subito dal mago Apollo per farsi disfare l'incantesimo, e Apollo lo accontentò.

- Va bene, - gli disse, - ma sta' bene attento, perché per far passare l'incantesimo ci vogliono sette ore e sette minuti giusti, e in questo tempo tutto quello che toccherai diventerà cacca di mucca.

Il re Mida se ne andò tutto consolato, e stava bene attento all'orologio, per non toccare niente prima che fossero passati sette ore e sette minuti.

Purtroppo il suo orologio correva un po' più del necessario, e andava avanti un minuto ogni ora. Quando ebbe contato sette ore e sette minuti il re Mida aprì la macchina e ci montò, e subito si trovò seduto in mezzo a un gran mucchio di cacca di mucca, perché mancavano ancora sette minuti alla fine dell'incantesimo.

Il semaforo blu

Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi.

- Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?

Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l'insolito segnale blu, di un blu che così blu il cielo di Milano non era stato mai.

In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano: - Lei non sa chi sono io!

Gli spiritosi lanciavano frizzi: - Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.

- Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.

- Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l'olio d'oliva.

Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all'incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.

Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare:

«Poveretti! Io avevo dato il segnale di "via libera" per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio».

Il topo che mangiava i gatti

Un vecchio topo di biblioteca andò a trovare i suoi cugini, che abitavano in solaio e conoscevano poco il mondo.

- Voi conoscete poco il mondo, - egli diceva ai suoi timidi parenti, - e probabilmente non sapete nemmeno leggere.

- Eh, tu la sai lunga, - sospiravano quelli.

- Per esempio, avete mai mangiato un gatto?

- Eh, tu la sai lunga. Ma da noi sono i gatti che mangiano i topi.

- Perché siete ignoranti. Io ne ho mangiato più d'uno e vi assicuro che non hanno detto neanche: Ahi!

- E di che sapevano?

- Di carta e d'inchiostro, a mio parere. Ma questo è niente. Avete mai mangiato un cane?

- Per carità.

- Io ne ho mangiato uno proprio ieri. Un cane lupo. Aveva certe zanne... Bene, si è lasciato mangiare quieto quieto e non ha detto neanche: Ahi!

- E di che sapeva?

- Di carta, di carta. E un rinoceronte l'avete mai mangiato?

- Eh, tu la sai lunga. Ma noi un rinoceronte non l'abbiamo visto mai. Somiglia al parmigiano o al gorgonzola?

- Somiglia a un rinoceronte, naturalmente. E avete mai mangiato un elefante, un frate, una principessa, un albero di Natale?

In quel momento il gatto, che era stato ad ascoltare dietro un baule, balzò fuori con un miagolio minaccioso. Era un gatto vero, di carne e d'ossa, con baffi e artigli. I topolini volarono a rintanarsi, tranne il topo di biblioteca, che per la sorpresa era rimasto immobile sulle sue zampe come un monumentino. Il gatto lo agguantò e cominciò a giocare con lui.

- Tu saresti il topo che mangia i gatti?

- Io, Eccellenza... Lei deve comprendere... Stando sempre in libreria...

- Capisco, capisco. Li mangi in figura, stampati nei libri.

- Qualche volta, ma solo per ragioni di studio.

- Certo. Anch'io apprezzo la letteratura. Ma non ti pare che avresti dovuto studiare un pochino anche dal vero? Avresti imparato che non tutti i gatti sono fatti di carta, e non tutti i rinoceronti si lasciano rosicchiare dai topi.

Per fortuna del povero prigioniero il gatto ebbe un attimo di distrazione, perché aveva visto passare un ragno sul pavimento. Il topo di biblioteca, con due salti, tornò tra i suoi libri, e il gatto dovette accontentarsi di mangiare il ragno.

Abbasso il nove

Uno scolaro faceva le divisioni:

- Il tre nel tredici sta quattro volte con l'avanzo di uno. Scrivo quattro al quoto. Tre per quattro dodici, al tredici uno. Abbasso il nove...