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- Tu ce l'hai con me: perché hai gridato «abbasso il nove»? Che cosa ti ho fatto di male? Sono forse un nemico pubblico?
- Ma io...
- Ah, lo immagino bene, avrai la scusa pronta. Ma a me non mi va giù lo stesso. Grida «abbasso il brodo di dadi», «abbasso lo sceriffo», e magari anche «abbasso l'aria fritta», ma perché proprio «abbasso il nove»?
- Scusi, ma veramente...
- Non interrompere, è cattiva educazione. Sono una semplice cifra, e qualsiasi numero di due cifre mi può mangiare il risotto in testa, ma anch'io ho la mia dignità e voglio essere rispettato. Prima di tutto dai bambini che hanno ancora il moccio al naso. Insomma, abbassa il tuo naso, abbassa gli avvolgibili, ma lasciami stare.
Confuso e intimidito, lo scolaro non abbassò il nove, sbagliò la divisione e si prese un brutto voto. Eh, qualche volta non è proprio il caso di essere troppo delicati.
Tonfino l'invisibile
Una volta un ragazzo di nome Tonino andò a scuola che non sapeva la lezione ed era molto preoccupato al pensiero che il maestro lo interrogasse.
«Ah, - diceva tra sé, - se potessi diventare invisibile...»
Il maestro fece l'appello, e quando arrivò al nome di Tonino, il ragazzo rispose: - Presente! - ma nessuno lo sentì, e il maestro disse: - Peccato che Tonino non sia venuto, avevo giusto pensato di interrogarlo. Se è ammalato, speriamo che non sia niente di grave.
Così Tonino comprese di essere diventato invisibile, come aveva desiderato. Per la gioia spiccò un salto dal suo banco e andò a finire nel cestino della carta straccia. Si rialzò e si aggirò qua e là per la classe, tirando i capelli a questo e a quello e rovesciando i calamai. Nascevano rumorose proteste, litigi a non finire. Gli scolari si accusavano l'un l'altro di quei dispetti, e non potevano sospettare che la colpa era invece di Tonino l'invisibile.
Quando si fu stancato di quel gioco Tonino uscì dalla scuola e salì su un filobus, naturalmente senza pagare il biglietto, perché il fattorino non poteva vederlo. Trovò un posto libero e si accomodò. Alla fermata successiva salì una signora con la borsa della spesa e fece per sedersi proprio in quel sedile, che ai suoi occhi era libero.
Invece sedette sulle ginocchia di Tonino, che si sentì soffocare. La signora gridò: - Che tranello è questo? Non ci si può più nemmeno sedere? Guardate, faccio per posare la borsa e rimane sospesa per aria.
La borsa in realtà era posata sulle ginocchia di Tonino. Nacque una gran discussione, e quasi tutti i passeggeri pronunciarono parole di fuoco contro l'azienda tranviaria.
Tonino scese in centro, si infilò in una pasticceria e cominciò a servirsi a volontà, pescando a due mani tra maritozzi, bignè al cioccolato e paste d'ogni genere. La commessa, che vedeva sparire le paste dal banco, diede la colpa a un dignitoso signore che stava comprando delle caramelle col buco per una vecchia zia. Il signore protestò: - Io un ladro? Lei non sa con chi parla. Lei non sa chi era mio padre. Lei non sa chi era mio nonno!
- Non voglio nemmeno saperlo, - rispose la commessa.
- Come, si permette di insultare mio nonno!
Fu una lite spaventosa. Corsero le guardie. Tonino
l'invisibile scivolò tra le gambe del tenente e si avviò verso la scuola, per assistere all'uscita dei suoi compagni. Difatti li vide uscire, anzi, rotolare giù a valanga dai gradini della scuola, ma essi non lo videro affatto. Tonino si affannava invano a rincorrere questo e quello, a tirare i capelli al suo amico Roberto, a offrire un leccalecca al suo amico Guiscardo. Non lo vedevano, non gli davano retta per nulla, i loro sguardi lo trapassavano come se fosse stato di vetro.
Stanco e un po' scoraggiato Tonino rincasò. Sua madre era al balcone ad aspettarlo. - Sono qui, mamma! - gridò Tonino. Ma essa non lo vide e non lo udì, e continuava a scrutare ansiosamente la strada alle sue spalle.
- Eccomi, papà, - esclamò Tonino, quando fu in casa, sedendosi a tavola al suo solito posto. Ma il babbo mormorava, inquieto: - Chissà perché Tonino tarda tanto. Non gli sarà mica successa qualche disgrazia?
- Ma sono qui, sono qui! Mamma, papà! - gridava Tonino. Ma essi non udivano la sua voce.
Tonino ormai piangeva, ma a che servono le lacrime, se nessuno può vederle?
- Non voglio più essere invisibile, - si lamentava Tonino, col cuore in pezzi. - Voglio che mio padre mi veda, che mia madre mi sgridi, che il maestro mi interroghi! Voglio giocare con i miei amici! È brutto essere invisibili, è brutto star soli.
Uscì sulle scale e scese lentamente in cortile.
- Perché piangi? - gli domandò un vecchietto, seduto a prendere il sole su una panchina.
- Ma lei mi vede? - domandò Tonino, pieno d'ansia. - Ti vedo Sì. Ti vedo tutti i giorni andare e tornare da scuola.
- Ma io non l'ho mai visto, lei.
- Eh, lo so. Di me non si accorge nessuno. Un vecchio pensionato, tutto solo, perché mai i ragazzi dovrebbero guardarlo? Io per voi sono proprio come l'uomo invisibile.
- Tonino! - gridò in quel momento la mamma dal balcone.
- Mamma, mi vedi?
- Ah, non dovrei vederti, magari. Vieni, vieni su e sentirai il babbo.
- Vengo subito, mamma, - gridò Tonino pieno di gioia.
- Non ti fanno paura gli sculaccioni? - rise il vecchietto.
Tonino gli volò al collo e gli diede un bacio. - Lei mi ha salvato, - disse.
- Eh, che esagerazione, - disse il vecchietto.
Tante domande
C'era una volta un bambino che faceva tante domande, e questo non è certamente un male, anzi è un bene. Ma alle domande di quel bambino era difficile dare risposta.
Per esempio, egli domandava: - Perché i cassetti hanno i tavoli?
La gente lo guardava, e magari rispondeva: - I cassetti servono per metterci le posate.
- Lo so a che cosa servono i cassetti, ma non so perché i cassetti hanno i tavoli.
La gente crollava il capo e tirava via. Un'altra volta lui domandava:
- Perché le code hanno i pesci? Oppure:
- Perché i baffi hanno i gatti?
La gente crollava il capo e se ne andava per i fatti suoi.
Il bambino, crescendo non cessava mai di fare domande. Anche quando diventò un uomo andava intorno a chiedere questo e quello. Siccome nessuno gli rispondeva, si ritirò in una casetta in cima a una montagna e tutto il tempo pensava delle domande e le scriveva in un quaderno, poi ci rifletteva per trovare la risposta, ma non la trovava. Per esempio scriveva:
«Perché l'ombra ha un pino?»
«Perché le nuvole non scrivono lettere?» «Perché i francobolli non bevono birra?»
A scrivere tante domande gli veniva il mal di testa, ma lui non ci badava. Gli venne anche la barba, ma lui non se la tagliò. Anzi si domandava: «Perché la barba ha la faccia?»