51978.fb2 Favole al telefono - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 15

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Insomma era un fenomeno. Quando morì, uno studioso fece delle indagini e scoprì che quel tale fin da piccolo si era abituato a mettere le calze a rovescio e non era mai riuscito una volta a infilarsele dalla parte giusta, e così non aveva mai potuto imparare a fare le domande giuste. A tanta gente succede come a lui.

Il buon Gilberto

Il buon Gilberto era molto desideroso di imparare e perciò stava sempre attento a quello che dicevano i grandi.

Una volta sentì dire da una donna: - Guardate la Filomena come vuol bene alla sua mamma: le porterebbe l'acqua nelle orecchie.

Il buon Gilberto rifletté: «Magnifiche parole, le voglio proprio imparare a memoria».

Qualche tempo dopo la sua mamma gli disse: Gilberto, vammi a prendere un secchio d'acqua alla fontana.

- Subito, mamma, - disse Gilberto. Ma intanto pensava: «Voglio mostrare alla mamma quanto le voglio bene. Invece che nel secchio, l'acqua gliela porterò nelle orecchie».

Andò alla fontana, ci mise sotto la testa e si riempì d'acqua un orecchio. Ce ne stava quanto in un ditale e per portarla fino a casa il buon Gilberto doveva tenere la testa tutta storta.

- Arriva quest'acqua? - brontolò la mamma che ne aveva bisogno per fare il bucato.

- Subito, mamma, - rispose Gilberto, tutto affannato. Ma per rispondere drizzò la testa e l'acqua uscì dall'orecchio e gli andò giù per il collo. Corse alla fontana a riempire l'altro orecchio: ci stava esattamente tanta acqua come nel primo e il buon Gilberto doveva tenere la testa storta dall'altra parte e prima di arrivare a casa l'acqua si era tutta versata.

- Arriva quest'acqua? - domandò la mamma stizzita. «Forse ho le orecchie troppo piccole», pensò rattristato il buon Gilberto. Intanto però sua madre aveva perso la pazienza, credeva che Gilberto se ne fosse stato a giocherellare alla fontana e gli allungò due scapaccioni, uno per orecchio.

Povero buon Gilberto.

Si prese in santa pace i due scapaccioni e decise che un'altra volta avrebbe portato l'acqua col secchio.

La parola piangere

Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani. Ecco cosa dice.

Domani una brava, vecchia maestra condusse i suoi scolari, in fila per due, a visitare il Museo del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.

In una vetrinetta un po' polverosa c'era la parola Piangere.

Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano.

- Signora, che vuol dire?

- È un gioiello antico?

- Apparteneva forse agli Etruschi?

La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male. Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime: chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.

- Sembra acqua, - disse uno degli scolari.

- Ma scottava e bruciava, - disse la maestra.

- Forse la facevano bollire, prima di adoperarla? Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi. Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo, dove c'erano da vedere cose più facili, come: l'inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.

La febbre mangina

Quando la bambina è malata anche le sue bambole debbono ammalarsi per farle compagnia, il nonno le visita, prescrive le medicine del caso e fa loro moltissime iniezioni con una penna a sfera.

- Questo bambino è malato, dottore.

- Vediamo un po'. Eh Sì, eh già. Mi pare che abbia una buona brontolite.

- È grave?

- Gravissimo. Gli dia da bere questo sciroppo di matita blu e gli faccia dei massaggi con la carta di una caramella all'anice.

- E quest'altro bambino non le pare malaticcio anche lui?

- Malatissimo, si vede senza cannocchiale.

- E che cosa ha?

- Un po' di raffreddore, un po' di raffreddino e due etti di fragolite acuta.

- Mamma mia! Morirà?

- Non c'è pericolo. Gli dia queste pastiglie di stupidina sciolte in un bicchiere di acqua sporca, però prenda un bicchiere verde perché i bicchieri rossi gli farebbero venire il mal di denti.

Una mattina la bambina si sveglia guarita, il dottore le dice che può alzarsi ma il nonno vuole visitarla personalmente, mentre la mamma prepara i vestiti.

- Sentiamo un po'... dica trentatre... dica perepepè... provi a cantare... tutto a posto: una magnifica febbre mangina.

La domenica mattina

Il signor Cesare era molto abitudinario. Ogni domenica mattina si alzava tardi, girellava per casa in pigiama e alle undici si radeva la barba, lasciando aperta la porta del bagno.

Quello era il momento atteso da Francesco, che aveva solo sei anni, ma mostrava già molta inclinazione per la medicina e la chirurgia. Francesco prendeva il pacchetto del cotone idrofilo, la bottiglietta dell'alcool denaturato, la busta dei cerotti, entrava in bagno e si sedeva sullo sgabello ad aspettare.

- Che c'è? - domandava il signor Cesare, insaponandosi la faccia. Gli altri giorni della settimana si radeva col rasoio elettrico, ma la domenica usava ancora, come una volta, il sapone e le lamette.

- Che c'è?

Francesco si torceva sul seggiolino, serio serio, senza rispondere.

- Dunque?

- Be', - diceva Francesco, - può darsi che tu ti tagli. Allora io ti farò la medicazione.

- Già, - diceva il signor Cesare.

- Ma non tagliarti apposta come domenica scorsa, - diceva Francesco, severamente, - altrimenti non vale. - Sicuro, - diceva il signor Cesare.

Ma a tagliarsi senza farlo apposta non ci riusciva. Tentava di sbagliare senza volerlo, ma è difficile e quasi impossibile. Faceva di tutto per essere disattento, ma non poteva. Finalmente, qui o là, il taglietto arrivava e Francesco poteva entrare in azione. Asciugava la stilla di sangue, disinfettava, attaccava il cerotto.