51978.fb2 Favole al telefono - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 16

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Così ogni domenica il signor Cesare regalava una stilla di sangue a suo figlio, e Francesco era sempre più convinto di avere un padre distratto.

A dormire, a svegliarsi

C'era una volta una bambina che ogni sera, al momento di andare a letto, diventava piccola piccola:

- Mamma, - diceva, - sono una formica.

E la mamma capiva che era ora di metterla a dormire.

Allo spuntare del sole la bambina si svegliava, ma era ancora piccolissima, ci stava tutta sul cuscino e ne avanzava un pezzo.

- Alzati, - diceva la mamma.

- Non posso, - rispondeva la bambina, - non posso, sono ancora troppo piccola. Adesso sono come una farfalla. Aspetta che ricresca.

E dopo un po' esclamava: - Ecco, ora sono ricresciuta.

Con uno strillo balzava dal letto e cominciava la nuova giornata.

Giacomo di cristallo

Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l'aria e l'acqua. Era di carne e d'ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.

Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca. Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la verità e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse più bugie.

Un'altra volta un amico gli confidò un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu più tale.

Il bambino crebbe, diventò un giovanotto, poi un uomo, e ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e indovinare le sue risposte, quando gli faceva una domanda, prima che aprisse bocca.

Egli si chiamava Giacomo, ma la gente lo chiamava «Giacomo di cristallo», e gli voleva bene per la sua lealtà, e vicino a lui tutti diventavano gentili.

Purtroppo, in quel paese, salì al governo un feroce dittatore, e cominciò un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo. Chi osava protestare spariva senza lasciar traccia. Chi si ribellava era fucilato. I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.

La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.

Ma Giacomo non poteva tacere. Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui: egli era trasparente e tutti leggevano dietro la sua fronte pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno. Di nascosto, poi, la gente si ripeteva i pensieri di Giacomo e prendeva speranza.

Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordinò di gettarlo nella più buia prigione.

Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri. Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire. Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano.

Le scimmie in viaggio

Un giorno le scimmie dello zoo decisero di fare un viaggio di istruzione. Cammina, cammina, si fermarono e una domandò:

- Cosa si vede?

- La gabbia del leone, la vasca delle foche e la casa della giraffa.

- Come è grande il mondo, e come è istruttivo viaggiare.

Ripresero il cammino e si fermarono soltanto a mezzogiorno.

- Cosa si vede adesso?

- La casa della giraffa, la vasca delle foche e la gabbia del leone.

- Come è strano il mondo e come è istruttivo viaggiare.

Si rimisero in marcia e si fermarono solo al tramonto del sole.

- Che c'è da vedere?

- La gabbia del leone, la casa della giraffa e la vasca delle foche.

- Come è noioso il mondo: si vedono sempre le stesse cose. E viaggiare non serve proprio a niente.

Per forza: viaggiavano, viaggiavano, ma non erano uscite dalla gabbia e non facevano che girare in tondo come i cavalli di una giostra.

Il signor Fallaninna

Il signor Fallaninna era molto delicato, ma tanto delicato che se un millepiedi camminava sul muro lui non poteva dormire per il rumore, e se una formica lasciava cadere un granellino di zucchero balzava in piedi spaventato e gridava: - Aiuto, il terremoto.

Naturalmente non poteva soffrire i bambini, i temporali e le motociclette, ma più di tutto gli dava fastidio la polvere sotto i piedi, perciò non camminava mai neanche in casa, ma si faceva portare in braccio da un servitore molto robusto. Questo servitore si chiamava Guglielmo e dalla mattina alla sera il signor Fallaninna lo copriva di strilli:

- Piano, Guglielmo, fa ben pianino, se no mi rompo.

A non camminare mai diventava sempre più grasso, e più diventava grasso più diventava delicato. Perfino i calli sulle mani di Guglielmo gli davano noia.

- Ma Guglielmo, quante volte ti devo dire che per portarmi devi metterti i guantini.

Guglielmo sbuffava e si infilava a fatica certi guantoni che sarebbero andati larghi a un ippopotamo.

Ma il signor Fallaninna era ogni giorno più pesante e il povero Guglielmo sudava d'inverno come d'estate, e una volta gli venne in mente:

- Che cosa succederebbe se buttassi giù il signor Fallaninna dal balcone?

Successe che proprio quel giorno il signor Fallaninna si era messo un vestito di lino bianco e quando Guglielmo lo buttò giù dal balcone cadde su una cacchettina di mosca e si fece una macchiolina sui calzoni. Per vederla ci voleva la lente, ma Fallaninna era tanto delicato che morì dal dispiacere.

Uno e sette

Ho conosciuto un bambino che era sette bambini. Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere.

Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili.

Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello.

Però abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica.