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- Be', colonnello è più che capitano.
- Da voi, perché avete i gradi alla rovescia. Da noi il grado più alto è cittadino semplice. Ma lasciamo perdere. La mia missione è fallita.
- Potremmo dirle che ci dispiace, ma non sappiamo di che missione si trattava.
- Ah, non lo so nemmeno io. Io dovevo soltanto aspettare in quella vetrina fin che il nostro agente segreto si fosse fatto vivo.
- Interessante, - disse il professore, - avete anche degli agenti segreti sulla Terra. E se andassimo a raccontarlo alla polizia?
- Ma sì, andate in giro a parlare di un pulcino cosmico, e vi farete ridere dietro.
- Giusto anche questo. Allora, giacché siamo tra noi, ci dica qualcosa di più su quegli agenti segreti.
- Essi sono incaricati di individuare i terrestri che sbarcheranno su Marte Ottavo tra venticinque anni.
- È piuttosto buffo. Noi, per adesso, non sappiamo nemmeno dove si trovi Marte Ottavo.
- Lei dimentica, caro professore, che lassù siamo avanti col tempo di venticinque anni. Per esempio sappiamo già che il capitano dell'astronave terrestre che giungerà su Marte Ottavo si chiamerà Gino.
- Toh, - disse il figlio maggiore del professor Tibolla, - proprio come me.
- Pura coincidenza, - sentenziò il cosmopulcino. - Si chiamerà Gino e avrà trentatre anni. Dunque, in questo momento, sulla Terra, ha esattamente otto anni.
- Guarda guarda, - disse Gino, - proprio la mia età. - Non mi interrompere continuamente, - esclamò con severità il comandante dell'uovo spaziale. - Come stavo spiegandovi, noi dobbiamo trovare questo Gino e gli altri membri dell'equipaggio futuro, per sorvegliarli, senza che se ne accorgano, e per educarli come si deve.
- Cosa, cosa? - fece il professore. - Forse noi non li educhiamo bene i nostri bambini?
- Mica tanto. Primo, non li abituate all'idea che dovranno viaggiare tra le stelle; secondo, non insegnate loro che sono cittadini dell'universo; terzo, non insegnate loro che la parola nemico, fuori della Terra, non esiste; quarto...
- Scusi comandante, - lo interruppe la signora Luisa, - come si chiama di cognome quel vostro Gino?
- Prego, vostro, non nostro. Si chiama Tibolla. Gino Tibolla.
- Ma sono io! - saltò su il figlio del professore. - Urrà!
- Urrà che cosa? - esclamò la signora Luisa. - Non crederai che tuo padre e io ti permetteremo...
Ma il pulcino cosmico era già volato in braccio a Gino.
- Urrà! Missione compiuta! Tra venticinque anni potrò tornare a casa anch'io.
- E l'uovo? - domandò con un sospiro la sorellina di Gino.
- Ma lo mangiamo subito, naturalmente. E così fu fatto.
Processo al nipote
GIUDICE Imputato, alzatevi! Come vi chiamate? IMPUTATO Rossi Alberto, nipote di Rossi Pio. GIUDICE Conosco il signor Rossi Pio: ottima persona
sotto tutti i punti di vista. Di che cosa siete accusato? PUBBLICO MINISTERO Per l'appunto, signor
Giudice, l'imputato è accusato di avere gravemente offeso
suo zio. Si figuri che in un tema in classe ha scritto: «Lo
zio è il padre dei vizi»!
LO ZIO Capisce? E non sono nemmeno sposato!
PUBBLICO MINISTERO I testimoni sono tutti
concordi: il signor zio è un modello di virtù. Non beve,
non fuma, non esce la sera, non gioca al totocalcio, non
consuma i tacchi delle scarpe, non si asciuga i piedi
nell'asciugamano delle mani, non prende il sale con le
dita, non si mette le dita nel naso, non ficca il naso negli
affari altrui.
GIUDICE È vero tutto questo? Imputato, rispondete. IMPUTATO È verissimo, signor Giudice.
GIUDICE E voi avete osato calunniare vostro zio?
Avete osato scrivere nel vostro tema che questo cittadino
esemplare è, nientemeno, il padre dell'invidia,
dell'avarizia, della gola, dell'ira, e chissà di quali altri
terribili e viziosissimi teddy-boy?
IMPUTATO Ma signor Giudice, è stata tutta colpa di
un apostrofo.
GIUDICE Quale apostrofo? Io qui non vedo apostrofi. IMPUTATO Appunto. Si tratta di un apostrofo
mancante.
GIUDICE Capisco, si è dato alla macchia. Diventerà
un bandito da strada.