51978.fb2
- Quanto c'è da qui a Milano?
- Mille chilometri nuovi, un chilometro usato e sette cioccolatini.
- Quanto pesa una lacrima?
- Secondo: la lacrima di un bambino capriccioso pesa
meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.
- Quanto è lunga questa favola?
- Troppo.
- Allora inventiamo in fretta altri numeri per finire. Li dico io, alla maniera di Modena: unci dunci trinci, quara quarinci, miri miminci, un fan dès.
- E io li dico alla maniera di Roma: unzi donzi trenzi, quale qualinzi, mele melinzi, riffe raffe e dieci.
Brif, bruf, braf
Due bambini, nella pace del cortile, giocavano a inventare una lingua speciale per poter parlare tra loro senza far capire nulla agli altri.
- Brif, braf, - disse il primo.
- Braf, brof, - rispose il secondo. E scoppiarono a ridere.
Su un balcone del primo piano c'era un vecchio buon signore a leggere il giornale, e affacciata alla finestra dirimpetto c'era una vecchia signora né buona né cattiva.
- Come sono sciocchi quei bambini, - disse la signora. Ma il buon signore non era d'accordo:
- Io non trovo.
- Non mi dirà che ha capito quello che hanno detto.
- E invece ho capito tutto. Il primo ha detto: che bella
giornata. Il secondo ha risposto: domani sarà ancora più bello.
La signora arricciò il naso ma stette zitta, perché i bambini avevano ricominciato a parlare nella loro lingua.
- Maraschi, barabaschi, pippirimoschi, - disse il primo.
- Bruf, - rispose il secondo. E giù di nuovo a ridere tutti e due.
- Non mi dirà che ha capito anche adesso, - esclamò indignata la vecchia signora.
- E invece ho capito tutto, - rispose sorridendo il vecchio signore. - Il primo ha detto: come siamo contenti di essere al mondo. E il secondo ha risposto: il mondo è bellissimo.
- Ma è poi bello davvero? - insisté la vecchia signora.
- Brif, bruf, braf, - rispose il vecchio signore.
A comprare la città di Stoccolma
Al mercato di Gavirate capitano certi ometti che vendono di tutto, e più bravi di loro a vendere non si sa dove andarli a trovare.
Un venerdì capitò un ometto che vendeva strane cose: il Monte Bianco, l'Oceano Indiano, i mari della Luna, e aveva una magnifica parlantina, e dopo un'ora gli era rimasta solo la città di Stoccolma.
La comprò un barbiere, in cambio di un taglio di capelli con frizione. Il barbiere inchiodò tra due specchi il certificato che diceva: Proprietario della città di Stoccolma, e lo mostrava orgoglioso ai clienti, rispondendo a tutte le loro domande.
- È una città della Svezia, anzi è la capitale.
- Ha quasi un milione di abitanti, e naturalmente sono tutti miei.
- C'è anche il mare, si capisce, ma non so chi sia il proprietario.
Il barbiere, un poco alla volta, mise da parte i soldi, e l'anno scorso andò in Svezia a visitare la sua proprietà. La città di Stoccolma gli parve meravigliosa, e gli svedesi gentilissimi. Loro non capivano una parola di quello che diceva lui, e lui non capiva mezza parola di quello che gli rispondevano.
- Sono il padrone della città, lo sapete o no? Ve l'hanno fatto, il comunicato?
Gli svedesi sorridevano e dicevano di Sì, perché non capivano ma erano gentili, e il barbiere si fregava le mani tutto contento:
- Una città simile per un taglio di capelli e una frizione! L'ho proprio pagata a buon mercato.
E invece si sbagliava, e l'aveva pagata troppo. Perché ogni bambino che viene in questo mondo, il mondo intero è tutto suo, e non deve pagarlo neanche un soldo, deve soltanto rimboccarsi le maniche, allungare le mani e prenderselo.
A toccare il naso del re
Una volta Giovannino Perdigiorno decise di andare a Roma a toccare il naso del re. I suoi amici lo sconsigliavano dicendo: - Guarda che è una cosa pericolosa. Se il re si arrabbia ci perdi il tuo naso con tutta la testa.
Ma Giovannino era cocciuto. Mentre preparava la valigia, per fare un po' di allenamento andò a trovare il curato, il sindaco e il maresciallo e toccò il naso a tutti e tre con tanta prudenza e abilità che non se ne accorsero nemmeno.
«Ecco che non è difficile», pensò Giovannino. Giunto nella città vicina si fece indicare la casa del governatore, quella del presidente e quella del giudice e andò a far visita a quegli illustri personaggi e anche a loro toccò il naso con un dito o due. I personaggi ci rimanevano un po' male, perché Giovannino pareva una persona bene educata e sapeva parlare di quasi tutti gli argomenti. Il presidente ci si arrabbiò un tantino, ed esclamò: - Ma che, mi sta prendendo per il naso?
- Per carità, - disse Giovannino, - c'era una mosca. Il presidente si guardò intorno, non vide né mosche né zanzare, ma intanto Giovannino si inchinò in fretta e se ne andò senza dimenticarsi di chiudere la porta.
Giovannino aveva un libretto e ci teneva il conto dei nasi che riusciva a toccare. Tutti nasi importanti.
A Roma però il conto dei nasi salì tanto rapidamen- te che Giovannino dovette comprare un quaderno più grosso. Bastava camminare per la strada e da qui a lì si era sicuri di incontrare un paio di eccellenze, qualche sotto-ministro e una decina di grandi segretari.
Non parliamo poi dei presidenti: c'erano più presidenti che mendicanti. Tutti quei nasi di lusso erano abbastanza a portata di mano. I loro proprietari infatti scambiavano la tastatina di Giovannino Perdigiorno per un omaggio alla loro autorità e qualcuno si spinse fino a suggerire ai suoi dipendenti di fare altrettanto, dicendo:
- D'ora in avanti, invece di farmi l'inchino, potreste tastarmi il naso. È un'usanza più moderna e più raffinata.
I dipendenti, in principio, non osavano allungare le mani sui nasi dei loro superiori. Questi però li incoraggiavano con sorrisi larghi così, e allora giù toccatine, strizzatine, tastatelle: i nasi altolocati diventavano lucidi e rossi per la soddisfazione.
Giovannino non aveva dimenticato il suo scopo principale, che era di toccare il naso del re, e aspettava soltanto l'occasione buona. Questa si presentò durante un corteo. Giovannino notò che ogni tanto qualcuno dei presenti usciva dalla folla, balzava sui gradini della carrozza reale e consegnava al re una busta, certo una supplica, che il re passava sorridendo al suo primo ministro.