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- Ziip, fiiish, bronk.
- Non è turco, - concluse il topo navigatore. - Allora cos'è?
- Vattelapesca.
Così lo chiamarono Vattelapesca e lo tennero un po' come lo scemo del villaggio.
- Vattelapesca, - gli domandavano, - ti piace di più il parmigiano o il groviera?
- Spliiit, grong, ziziziiir, - rispondeva il topo dei fumetti.
- Buona notte, - ridevano gli altri. I più piccoli, poi,
gli tiravano la coda apposta per sentirlo protestare in quella buffa maniera: - Zoong, splash, squarr!
Una volta andarono a caccia in un mulino, pieno di sacchi di farina bianca e gialla. I topi affondarono i denti in quella manna e masticavano a cottimo, facendo: crik, crik, crik, come tutti i topi quando masticano. Ma il topo dei fumetti faceva: - Crek, screk, schererek.
- Impara almeno a mangiare come le persone educate, - borbottò il topo navigatore. - Se fossimo su un bastimento saresti già stato buttato a mare. Ti rendi conto o no che fai un rumore disgustoso?
- Crengh, - disse il topo dei fumetti, e tornò a infilarsi in un sacco di granturco.
Il navigatore, allora, fece un segno agli altri, e quatti quatti se la filarono, abbandonando lo straniero al suo destino, sicuri che non avrebbe mai ritrovato la strada di casa.
Per un po' il topolino continuò a masticare. Quando finalmente si accorse di essere rimasto solo, era già troppo buio per cercare la strada e decise di passare la notte al mulino. Stava per addormentarsi, quand'ecco nel buio accendersi due semafori gialli, ecco il fruscio sinistro di quattro zampe di cacciatore. Un gatto!
- Squash! - disse il topolino, con un brivido.
- Gragrragnau! - rispose il gatto. Cielo, era un gatto dei fumetti! La tribù dei gatti veri lo aveva cacciato perché non riusciva a fare miao come si deve.
I due derelitti si abbracciarono, giurandosi eterna amicizia e passarono tutta la notte a conversare nella strana lingua dei fumetti. Si capivano a meraviglia.
Storia del regno di Mangionia
Sul lontano, antico paese di Mangionia, a est del ducato di Bevibuono, regnò per primo Mangione il Digeritore, così chiamato perché dopo aver mangiato gli spaghetti sgranocchiava anche il piatto, e lo digeriva a meraviglia.
Gli successe sul trono Mangione Secondo, detto Tre Cucchiai, perché mangiava la minestra in brodo adoperando contemporaneamente tre cucchiai d'argento: due li teneva lui con le sue mani, il terzo glielo reggeva la Regina, e guai se non era pieno.
Dopo di lui, nell'ordine, salirono sul trono di Mangionia, che era collocato a capo di una tavola imbandita giorno e notte:
Mangione Terzo, detto l'Antipasto;
Mangione Quarto, detto Cotoletta alla Parmigiana; Mangione Quinto, il Famelico;
Mangione Sesto, lo Sbranatacchini;
Mangione Settimo, detto «Ce n'è ancora?», che divorò
perfino la corona, e sì che era di ferro battuto;
Mangione Ottavo, detto Crosta di Formaggio, che sulla tavola non trovò più nulla da mangiare e inghiottì la tovaglia;
Mangione Nono, detto Ganascia d'Acciaio, che si mangiò il trono con tutti i cuscini.
Così la dinastia finì.
Alice casca in mare
Una volta Alice Cascherina andò al mare, se ne innamorò e non voleva mai uscire dall'acqua.
- Alice, esci dall'acqua, - la chiamava la mamma.
- Subito, eccomi, - rispondeva Alice. Invece pensava: Starò in acqua fin che mi cresceranno le pinne e diventerò un pesce.
Di sera, prima di andare a letto, si guardava le spalle nello specchio, per vedere se le crescevano le pinne, o almeno qualche squama d'argento. Ma scopriva soltanto dei granelli di sabbia, se non si era fatta bene la doccia.
Una mattina scese sulla spiaggia più presto del solito e incontrò un ragazzo che raccoglieva ricci e telline. Era figlio di pescatori, e sulle cose di mare la sapeva lunga.
- Tu sai come si fa a diventare un pesce? - gli domandò Alice.
- Ti faccio vedere subito, - rispose il ragazzo.
Posò su uno scoglio il fazzoletto con i ricci e le telline e si tuffò in mare. Passa un minuto, ne passano due, il ragazzo non tornava a galla. Ma poi ecco al suo posto comparire un delfino che faceva le capriole tra le onde e lanciava allegri zampilli nell'aria. Il delfino venne a giocare tra i piedi di Alice, ed essa non ne aveva la minima paura.
Dopo un po' il delfino, con un elegante colpo di coda, prese il largo. Al suo posto riemerse il ragazzo delle telline e sorrise:
- Hai visto com'è facile?
- Ho visto, ma non sono sicura di saperlo fare.
- Provati.
Alice si tuffò, desiderando ardentemente di diventare una stella marina, invece cadde in una conchiglia che stava sbadigliando, ma subito richiuse le valve, imprigionando Alice e tutti i suoi sogni.
«Eccomi di nuovo nei guai», pensò la bimba. Ma che silenzio, che fresca pace, laggiù e là dentro. Sarebbe stato bello restarci per sempre, vivere sul fondo del mare come le sirene d'una volta. Alice sospirò. Le venne in mente la mamma, che la credeva ancora a letto; le venne in mente il babbo, che proprio quella sera doveva arrivare dalla città, perché era sabato.
- Non posso lasciarli soli, mi vogliono troppo bene. Tornerò a terra, per questa volta.
Puntando i piedi e le mani riuscì ad aprire la conchiglia abbastanza per saltarne fuori e risalire a galla. Il ragazzo delle telline era già lontano. Alice non raccontò mai a nessuno quello che le era capitato.
La guerra delle campane
C'era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall'altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di là, e ci sparavamo addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo più ferro per le baionette, eccetera.
Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordinò di tirar giù tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo.
A sollevare quel cannone ci vollero centomila gru; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: - Quando il mio cannone sparerà i nemici scapperanno fin sulla luna.