52028.fb2
Il Motociclista era assai fiero della sua nuova parte di battistrada.
Piantato a gambe larghe sul sellino, con le mani strette sui comandi, avanzava a tutto gas, scavalcando audacemente i monticelli di neve, attraversando senza esitare le gelide pozzanghere. La locomotiva della Freccia Azzurra doveva prendersi in faccia il fumo dello scappamento, con gran rabbia del Macchinista che protestava:
— Siamo forse tornati ai tempi quando i treni, per legge, dovevano farsi precedere da un uomo che suonava un campanello, per avvertire la gente del pericolo?
Quando doveva fermarsi, il Motociclista alzava un braccio.
— Alt! Qui abita Francesco Daverio, anni nove. Chi scende?
Scendevano degli astronauti, portandosi sulle spalle il loro razzo interplanetario.
— Casa di Francesca Zeppelloni, di anni sette. A chi tocca?
Le bambole si consultavano un momento:
— Vado io.
— No. vado io.
— Andiamo insieme, così ci faremo compagnia. Non si sa mai, potrebbe essere una bimba antipatica.
Finivano per scendere in due. Guardavano l'edificio davanti al quale si era fermata la Freccia Azzurra, si facevano ripetere dal Motociclista le indicazioni utili per non sbagliare indirizzo, salutavano la compagnia e si infilavano nel portone.
— State attente — gridava loro dietro il Motociclista — scala A, interno 27. Se c'è lo stuoino infilatevi sotto, così non prenderete freddo aspettando l'alba. Se la porta è aperta, cercate la calza appesa al camino ed entrateci. Se c'è la cassetta per le lettere, potete provare a ficcarvi dentro.
Le bambole salivano le scale tenendosi per mano, un gradino alla volta, timorose ed affannate. Poverine, mettetevi nei loro panni! È facile trovare una calza nera che vi aspetta, quando non si ha che da restare nel sacco della Befana ed è lei che pensa a tutto. Ma quando siete soli, e dovete fare tutto senza l'aiuto di nessuno, allora le cose cambiano. Eppure nessuna si sbagliò, e quel mattino, al risveglio, molte bambine furono felici per loro merito.
Sbarcati i passeggeri, il Motociclista premeva sul pedale, dava gas al motore e ripartiva.
— Alla prossima fermata abita Paolo di Paolo. È un bambino di cinque anni. Consiglio una marionetta.
— Una marionetta? — esclamarono insieme le Tre Marionette, che si erano affacciate al finestrino. — Non è possibile. Vorrà dire Tre Marionette. Noi siamo in tre, non possiamo separarci. Adesso, poi, che abbiamo un cuore, anzi, tre cuori. Sarebbe un dolore tre volte più grosso.
Andò a finire che scesero tutt'e tre dal treno e si diressero ballonzolando e saltellando, com'era il loro costume, verso la porta indicata. Muovevano la testa insieme, a sinistra, a destra, di nuovo a sinistra. E se si voltava una si voltavano tutte e tre.
— Il bambino sarà più contento — dissero — con tre marionette potrà fare il teatro. Con una sola che cosa potrebbe fare?
— Va bene, va bene, corpo di mille balene ballerine, andatevene e buona fortuna!
— Grazie tante, signor Capitano.
E salendo le scale pensavano:
— Noi vorremo tanto bene al nostro bambino, anche se si chiama Paolo invece che Francesco. Gli vorremo bene tre volte, perché abbiamo tre cuori.
Si guardarono orgogliosamente il petto, per assicurarsi che i cuori fossero ancora là. Altroché se c'erano: rossi come ciliege e caldi come stufette.
— Se avrà freddo, lo scalderemo noi — dissero pensando a Paolo.
Ma che strana idea! Un giocattolo che scalda… E poi forse, chissà: non scaldano mica soltanto le stufe ed i termosifoni. Ci sono tante cose che scaldano: le parole gentili, per esempio, e magari anche tre marionette attaccate al loro filo…
— Alt! Casa di Livia Besozzi, anni otto. Chi scende?
— Ci vorrebbe una bambola — suggerì il Capostazione.
Era rimasta soltanto la Bambola Nera. Essa non aveva occhi che per il Pilota Seduto e per nulla al mondo avrebbe voluto perderlo di vista.
— Su, tocca a te — borbottò ruvidamente il Capitano Mezzabarba.
Tutti la guardavano, anzi, la fissavano quasi con aria di rimprovero, perché non si muoveva, perché restava seduta al suo posto e guardava per aria, smarrita e sconsolata. Improvvisamente la Bambola Nera scoppiò in pianto, e tutti le si fecero attorno, per fissarla più da vicino.
— Ma come, le troviamo una casa e lei piange?
Penna d'Argento si levò la pipa di bocca e disse:
— Lei non cercare casa, cercare aeroplano.
— Che c'è? Chi mi vuole? — domandò il Pilota Seduto, sporgendosi dalla carlinga.
— Qualcuno ha giurato di non lasciarti — sghignazzò Mezzabarba. — Ah, le donne! Mai portare donne per mare!
Il Pilota Seduto guardò con curiosità la Bambola Nera.
— Stranissimo — pensava — io non le ho fatto niente e lei piange per causa mia.
— Ma in fin dei conti — gridò tra i singhiozzi la Bambola Nera — perché non potrebbe venire anche il Pilota Seduto da questa bambina Livia? Gli aeroplani sono forse fatti soltanto per gli uomini? Al giorno d'oggi le donne volano nel cosmo, tale e quale come i signori maschi, e io non vedo perché la bambina Livia dovrebbe accontentarsi di una bambola…
Mentre gli altri tacevano sbalorditi. Mezzabarba sputò dal parapetto e esclamò:
— Corpo di mille balene femmine! Credevamo che la signorina sapesse solo piangere, invece sa fare anche i discorsi.
— L'idea mi piace — disse il Pilota Seduto. — Incoraggiare l'aviazione femminile mi sembra non solo giusto, ma necessario.
— Quante storie — commentò Mezzabarba. — Dì che ti piace la Bambola Nera e facciamola finita.
— Perché? Che cos'hai contro di lei? Vuoi che scenda in picchiata a bombardarti? Vuoi che coli a picco la tua vecchia carcassa?
Ma la battaglia aeronavale non ci fu. Penna d'Argento, con un semplice gesto della sua pipa, costrinse i contendenti a far pace. Il Pilota Seduto atterrò, fece salire la Bambola Nera sul suo aeroplano, la invitò ad allacciarsi la cintura di sicurezza e si levò nuovamente in volo, per atterrare definitivamente poco dopo sullo scendiletto della bambina Livia.
La Bambola Nera, al suo primo volo, si comportò con molto coraggio. In compagnia del Pilota Seduto, del resto, non avrebbe avuto paura nemmeno se le fosse toccato di gettarsi col paracadute.