52037.fb2 La torta in cielo - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 23

La torta in cielo - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 23

- Qui Dedalo chiama Diomede, qui Dedalo chiama Diomede. Passo.

- Qui Diomede. Siamo in ascolto. Passo.

- Signor generale, stanno succedendo cose dell'altro mondo. Passo.

- Che ne sapete voi dell'altro mondo? Ci siete già stato? Eravate con Dante Alighieri quando scese all'Inferno? Diteci quello che vedete. Passo.

- Signor generale, non riesco a credere ai miei occhi.

- Fate uno sforzo.

- Insomma, signor generale, i ragazzini si stanno mangiando l'oggetto misterioso pezzo per pezzo. Ecco perché non li sentivamo più gridare: hanno la bocca piena.

- Volete dire che il nemico spaziale sta distribuendo pasticcini?

- Signor generale, il nemico non si vede per niente. Si vedono solo bambini: e l'oggetto spaziale si vede sempre meno, lo stanno semplicemente facendo sparire.

- Cose dell'altro mondo!

- Vede che lo dice anche lei, signor generale?

La conversazione qui trascritta si svolgeva, verso le diciotto di quella famosa sera, tra l'ufficiale esploratore alla guida di un elicottero che sorvolava il Monte Cucco e il comando dell'Operazione E.S. (Emergenza Spaziale) situato, come già sapete, nell'ufficio del direttore delle scuole. Impotente a frenare l'assalto di migliaia di ragazzini, Diomede aveva fatto alzare in volo l'elicottero per tentare almeno di tenere sotto controllo la situazione.

Generali, colonnelli, comandanti dei pompieri e dei vigili urbani, ascoltando la relazione dell'aviatore, evitavano di guardarsi, per non doversi confessare con gli occhi che non sapevano che pesci pigliare.

In quel momento si precipitò nella stanza il vigile Meletti, detto "l'astuto Ulisse", affannato e balbettante.

- Ma cosa state dicendo? - tuonò il generale, che non capiva una parola. Il sor Meletti si mise una mano sul cuore, per imporsi la calma, e finalmente riuscì a pronunciare due parole di senso compiuto:

- Mia moglie... - disse, facendosi aria col berretto.

- Be'? Ha lasciato bruciare l'arrosto? Non vi ha attaccato i bottoni alla camicia? Cosa volete che c'importi di vostra moglie, in questo momento!

- Aspetti un momento che ripiglio fiato. Mia moglie è impazzita!

- Telefonate al manicomio, e lasciateci in pace.

- Signor generale, le dico che è impazzita! E' tutta matta. Si è messa in giro per i cortili, ha radunato un migliaio di donne. Dicono che vogliono andare lassù a riprendersi i loro figli... E poi...

- Ah, non è ancora tutto?

- Adesso viene il peggio, signor generale. L'ho sentita telefonare a sua sorella che sta a Trastevere, a sua cugina che sta a Monte Mario, alla sua comare che abita a...

- Sentite, non vorrete mica recitarci tutto l'elenco telefonico? Venite al fatto.

- Insomma, ha fatto sapere a mezza Roma che i ragazzini sono tutti qui. E ormai lo sa anche l'altra mezza Roma. E da tutti i quartieri stanno arrivando le mamme. Arrivano a battaglioni, signor generale! A reggimenti, a divisioni addirittura!

- Bravo, e ci avvertite soltanto adesso?

- Signor generale, è stato l'affare di due minuti. Mia moglie, quando ci si mette, è un autentico pericolo pubblico...

- Qui Dedalo chiama Diomede. Passo.

- Qui Diomede. Che succede ancora? Passo.

- Le donne, signor generale. Hanno sfondato gli sbarramenti. Stanno dando l'assalto alla collina da tutte le parti. Sono comparse all'improvviso, come furie scatenate. Vanno su di corsa come bersaglieri, chiamando per nome i loro figli. Passo.

- C'era da aspettarselo, - commentò qualcuno, nella stanza. - Il nemico ci ha legato le mani, impedendoci ogni mossa. Quando ha cominciato ad allettare i bambini, sapeva quel che si faceva. Ora ha scatenato le madri. E così, senza aver sparato nemmeno un petardo ci

mette in ginocchio. Avremmo dovuto bombardare l'oggetto misterioso fin dal primo minuto, ecco quel che avremmo dovuto fare.

- Andiamo a vedere, - disse il generale, secco secco.

Si mossero tutti insieme, come se avessero aspettato soltanto il segnale.

- Voi no, - disse il comandante dei vigili al sor Meletti, - voi siete agli arresti. Così imparerete a sposare un pericolo pubblico.

- Ma come? Proprio io che sono corso a dare l'allarme? E poi, ci ho anch'io due figli, lassù. Avrò il diritto di...

- Siete agli arresti, e basta. E ringraziate il cielo che almeno uno dei vostri figli è in salvo, all'ospedale.

Ma Rita, in quel momento, non era all'ospedale, era in Paradiso. Rosicchiando beata un pezzo di torrone grosso come un sofà, essa riceveva le occhiate di ringraziamento che le lanciavano Lucrezia, il biondino con il braccio al collo e gli altri amici dell'ospedale. Di parlare non aveva tempo nessuno. Ma gli sguardi dicevano abbastanza. Si tenevano tutti uniti, in quella gran confusione, mangiando tranquillamente le pareti del buco in cui erano capitati, e chi scopriva una specialità di gelato, o un deposito di frutta candita lo indicava agli altri con un gesto, senza smettere di mangiare.

La confusione si fece indescrivibile quando arrivarono le mamme, urlanti e scapigliate, come se dovessero salvare i loro figli da un incendio o dal terremoto.

- Carletto! Roberto! Pinuccia! Angela! Andrea!

Strilli, richiami, esclamazioni disperate. E poi, plaff, plaff, cominciarono a volare i primi scapaccioni, via via che una mamma riconosceva il suo rampollo, coperto di crema dalla testa ai piedi.

La sora Cecilia, che andava in cerca di Paolo, capitò invece su Rita e se la strinse al petto così forte che si sentirono scricchiolare le ossa.

- Figlia mia, bellezza mia! Ma tu non eri all'ospedale?

- Sì che c'ero, guarda, - rispose Rita, additando i pigiama, le vestaglie e le camicie da notte macchiate di cioccolata e di zabajone che la circondavano.

- Buongiorno, signora, - disse educatamente Lucrezia. - Vuole un po' di torta?

- Mangia, mamma, - la esortò anche Rita. - Ti giuro che non è avvelenata. Ti ho detto mai le bugie, io?

La sora Cecilia, con qualche esitazione, annusò il pezzo di torta che le veniva offerto, e siccome era una buona massaia, e di dolci se ne intendeva, non poté fare a meno di lodare il profumo. Dopo l'approvazione dell'olfatto e della vista, venne quella del gusto.

- Toh, ma è proprio al bacio. Chi l'avrà fatta?

Insomma, anche la sora Cecilia cominciò a sgranocchiare di gusto... E lo stesso facevano ormai, tutt'intorno, migliaia di madri, tra gli applausi dei figlioletti che avevano subito dimenticato, come al solito, gli scapaccioni.

- E Paolo? Dov'è Paolo? - domandò la sora Cecilia.

Ecco anche Paolo. Era forse il solo che non mangiava. Sazio e felice si aggirava per la torta, dando la mano al professor Zeta.

- Mamma!

- Paolo, gioia mia!

- Questo è il professore che ha fatto la torta.

- Buon appetito, signora.

- Complimenti, professore, complimenti davvero. La sua torta è un capolavoro.

Il professor Zeta cominciava ormai anche lui a pensare la stessa cosa. La visione di quelle migliaia di bambini e di mamme che merendavano beatamente, all'ultima luce del giorno, gli metteva le lagrime agli occhi. Nessun esperimento riuscito gli aveva dato la felicità che gli stava procurando quell'esperimento sbagliato. E' proprio vero che qualche volta sbagliando si impara.

Calava lentamente la sera. Già un gruppetto, un altro, un altro ancora, si avviavano verso la discesa. Quasi tutti portavano grossi pezzi di torta sotto il braccio: le donne avevano pensato al marito, i bambini ai nonni, ai cani, ai gatti, ai canarini di casa. La torta non aveva più forma, ormai. La sua circonferenza si era rapidamente ritirata verso il centro, poi anche dal centro il vuoto si era fatto largo. Restavano qua e là isolotti di cioccolata, mucchietti di marzapane, laghetti di liquore.

- Prendete, prendete, - raccomandava il professor Zeta, - portate via tutto, non fatemi torto.

Ed ecco che ora venivano su dalla collina i soldati, i pompieri, i vigili urbani, i poliziotti, a prendersi la loro parte, dopo che le donne avevano mostrato e fatto assaggiare loro il tesoro che si portavano a casa.

- Avanti figlioli, - gridava il professor Zeta, - avanti c'è torta! Laggiù ne sono rimasti dei buoni quintali! Avanti, signor generale, prego, s'accomodi. Le spiegherò tutto dopo, adesso pensi alla sua signora e ai suoi bambini.

Ma questa raccomandazione era superflua: la signora e i bambini del generale si trovavano già sul posto da quel dì, e l'incontro col marito e padre fu dei più festosi.

Insomma, ce ne fu per tutti, tranne che per il professor Rossi e il professor Terenzio, che stavano all'ospedale a curarsi la paura.

Ce ne fu un grosso pezzo anche per il sor Meletti, quando la sora Cecilia, Rita e Paolo andarono a liberarlo.

Ce ne fu un pezzetto anche per me, che arrivai per ultimo, in tempo però per farmi raccontare per filo e per segno com'erano andate le cose.

E ce ne sarà per tutti, un giorno o l'altro, quando si faranno le torte al posto delle bombe.