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Marcovaldo stava per dire: «Siete voi i bambini poveri!», ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare: — Bambini poveri non ne esistono più!
S'alzò Michelino e chiese: — È per questo, papa, che non ci porti regali?
Marcovaldo si sentì stringere il cuore. — Ora devo guadagnare degli straordinari, — disse in fretta, — e poi ve li porto.
— Li guadagni come? — chiese Filippetto.
— Portando dei regali, — fece Marcovaldo.
— A noi?
— No, ad altri.
— Perché non a noi? Faresti prima… Marcovaldo cercò di spiegare: — Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
— No.
— Pazienza —. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne. — Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, — disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
— Andiamo, forse troverò un bambino povero, — disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofur — goncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.
E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all'altro segnato sull'elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase: — La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo, — e prendeva la mancia.
Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante. — Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
— La Sbav augura…
— Be', portate qua, — e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d'occhi, andava dietro al padre.
La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell'abete s'impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c'era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un'aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era lì intorno non lo riguardasse.
— Gianfranco, su, Gianfranco, — disse la governante, — hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
— Trecentododici, — sospirò il bambino, senz'alzare gli occhi dal libro. — Metta lì.
– È il trecentododicesimo regalo che arriva, — disse la governante. — Gianfranco è così bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
— Papa, quel bambino è un bambino povero? — chiese Michelino.
Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare: — Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator…
S'interruppe, perché non vedeva Michelino. — Michelino, Michelino! Dove sei? — Era sparito.
«Sta' a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l'ha scambiato per me e gli è andato dietro…»
Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po' in pensiero e non vedeva l'ora di tornare a casa.
A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
— Di' un po', tu: dove t'eri cacciato?
— A casa, a prendere i regali… Sì, i regali per quel bambino povero…
— Eh! Chi?
— Quello che se ne stava così triste… quello della villa con l'albero di Natale…
— A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
— Oh, li avevamo preparati bene… tre regali, involti in carta argentata.
Intervennero i fratellini. — Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
— Figuriamoci! — disse Marcovaldo. — Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
— Sì, sì, dei nostri… È corso subito a strappare la carta per vedere cos'erano…
— E cos'erano?
— Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno…
— E lui?
— Saltava dalla gioia! L'ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
— Come?
— Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo…
— Cos'era?
— Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza… Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell'albero di Natale. Poi è passato ai lampadari…
— Basta, basta, non voglio più sentire! E… il terzo regalo?
— Non avevamo più niente da regalare, così abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. È stato il regalo che l'ha fatto più felice. Diceva: «I fiammiferi non me li lasciano mai toccare!» Ha cominciato ad accenderli, e…
— E…?
— … ha dato fuoco a tutto!