52063.fb2 Marcovaldo ovvero Le stagioni in citt? - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 6

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Michelino li richiamò subito allo scopo per cui erano venuti lì: la legna. Così abbatterono un alberello a forma di fiore di primula gialla, lo fecero in pezzi e lo portarono a casa.

Marcovaldo tornava col suo magro carico di rami umidi, e trovò la stufa accesa.

— Dove l'avete preso? — esclamò indicando i resti del cartello pubblicitario che, essendo di legno compensato, era bruciato molto in fretta.

— Nel bosco! — fecero i bambini.

— E che bosco?

— Quello dell'autostrada. Ce n'è pieno!

Visto che era così semplice, e che c'era di nuovo bisogno di legna, tanto valeva seguire l'esempio dei bambini.

Marcovaldo tornò a uscire con la sua sega, e andò sull'autostrada.

L'agente Astolfo della polizia stradale era un po' corto di vista, e la notte, correndo in moto per il suo servizio, avrebbe avuto bisogno degli occhiali; ma non lo diceva, per paura d'averne un danno nella sua carriera.

Quella sera, viene denunciato il fatto che sull'autostrada un branco di monelli stava buttando giù i cartelloni pubblicitari. L'agente Astolfo parte d'ispezione.

Ai lati della strada la selva di strane figure ammo — nitrici e gesticolanti accompagna Astolfo, che le scruta a una a una, strabuzzando gli occhi miopi. Ecco che, al lume del fanale della moto, sorprende un monellaccio arrampicato su un cartello. Astolfo frena: — Ehi! che fai lì, tu? Salta giù subito! — Quello non si muove e gli fa la lingua. Astolfo si avvicina e vede che è la réclame d'un formaggino, con un bamboccione che si lecca le labbra. — Già, già, — fa Astolfo, e riparte a gran carriera.

Dopo un po', nell'ombra di un gran cartellone, illumina una trista faccia spaventata. — Alto là! Non cercate di scappare! — Ma nessuno scappa: è un viso umano dolorante dipinto in mezzo a un piede tutto calli: la réclame di un callifugo. — Oh, scusi, — dice Astolfo, e corre via.

Il cartellone di una compressa contro l'emicrania era una gigantesca testa d'uomo, con le mani sugli occhi dal dolore. Astolfo passa, e il fanale illumina Marcovaldo arrampicato in cima, che con la sua sega cerca di tagliarsene una fetta. Abbagliato dalla luce, Marcovaldo si fa piccolo piccolo e resta lì immobile, aggrappato a un orecchio del testone, con la sega che è già arrivata a mezza fronte.

Astolfo studia bene, dice: — Ah, sì: compresse Stappa! Un cartellone efficace! Ben trovato! Quell'omino lassù con quella sega significa l'emicrania che taglia in due la testa! L'ho subito capito! — E se ne riparte soddisfatto.

Tutto è silenzio e gelo. Marcovaldo da un sospiro di sollievo, si riassesta sullo scomodo trespolo e riprende il suo lavoro. Nel ciclo illuminato dalla luna si propaga lo smorzato gracchiare della sega contro il legno.

Primavera

9 L'aria buona

— Questi bambini, — disse il dottore della Mutua, — avrebbero bisogno di respirare un po' d'aria buona, a una certa altezza, di correre sui prati…

Era tra i letti del seminterrato dove abitava la famigliola, e premeva lo stetoscopio sulla schiena della piccola Teresa, tra le scapole fragili come le ali d'un uccelletto implume. I letti erano due e i quattro bambini, tutti ammalati, facevano capolino a testa e a piedi dei letti, con le gote accaldate e gli occhi lucidi.

— Sui prati come l'aiolà della piazza? — chiese Mi — chelino.

— Un'altezza come il grattacielo? — chiese Filip — petto.

— Aria buona da mangiare? — domandò Pietruccio.

Marcovaldo, lungo e affilato, e sua moglie Domi — tilla, bassa e tozza, erano appoggiati con un gomito ai due lati di uno sgangherato cassettone. Senza muovere il gomito, alzarono l'altro braccio e lo lasciarono ricadere sopra il fianco brontolando insieme: — E dove vuole che noi, otto bocche, carichi di debiti, come vuole che facciamo?

— Il posto più bello dove possiamo mandarli, — precisò Marcovaldo, — è per la strada.

— Aria buona la prenderemo, — concluse Domitil–

la, — quando saremo sfrattati e dovremo dormire allo stellato.

Il pomeriggio d'un sabato, appena furono guariti, Marcovaldo prese i bambini e li condusse a fare una passeggiata in collina. Abitavano il quartiere della città che dalle colline era il più distante. Per raggiungere le pendici fecero un lungo tragitto su un tram affollato e i bambini vedevano solo gambe di passeggeri attorno a loro. A poco a poco il tram si vuotò; ai finestrini finalmente sgombri apparve un viale che saliva. Così giunsero al capolinea e si misero in marcia.

Era appena primavera; gli alberi fiorivano a un tiepido sole. I bambini si guardavano intorno lievemente spaesati.

Marcovaldo li guidò per una stradina a scale, che saliva tra il verde.

— Perché c'è una scala senza casa sopra? — chiese Michelino.

— Non è una scala di casa: è come una via.

— Una via… E le macchine come fanno coi gradini?

Intorno c'erano muri di giardini e dentro gli alberi.

— Muri senza tetto… Ci hanno bombardato?

— Sono giardini… una specie di cortili… — spiegava il padre. — La casa è dentro, lì dietro quegli alberi.

Michelino scosse il capo, poco convinto: — Ma i cortili stanno dentro alle case, mica fuori.

Teresina domandò: — In queste case ci abitano gli alberi?

Man mano che saliva, a Marcovaldo pareva di staccarsi di dosso l'odore di muffa del magazzino in cui spostava pacchi per otto ore al giorno e le macchie d'iunido sui muri del suo alloggio, e la polvere che calava, dorata, nel cono di luce della finestrella, e i colpi di tosse nella notte. I figli ora gli parevano meno giallini e gracili, già quasi immedesimati di quella luce e di quel verde.

— Vi piace qui, sì?

— Sì.

— Perché?

— Non ci sono vigili. Si jJiiò scappare le piante, tirare pietre.

— E respirare, respirate?

— No.

— Qui l'aria è buona.

Masticarono: — Macché. Non sa di niente.

Salirono fin quasi sulla cresta della collina. A una svolta, la città apparve, laggiù in fondo, distesa senza contorni sulla grigia ragnatela delle vie. I bambini rotolavano su un prato come non avessero fatto altro in vita loro. Venne un filo di vento; era già sera. In città qualche luce s'accendeva in un confuso brillio. Marcovaldo risentì un'ondata del sentimento di quand'era arrivato giovane alla città, e da quelle vie, da quelle luci era attratto come se ne aspettasse chissà cosa. Le rondini si gettavano nell'aria a capofitto sulla città.

Allora lo prese la tristezza di dover tornare laggiù, e decifrò nell'aggrumato paesaggio l'ombra del suo quartiere: e gli parve una landa plumbea, stagnante, ricoperta dalle fitte scaglie dei tetti e dai brandelli di fumo sventolanti sugli stecchi dei fu — maioli.

S'era messo fresco: forse bisognava richiamare i bambini. Ma vedendoli dondolarsi tranquilli ai rami più bassi d'un albero, scacciò quel pensiero. Michelino gli venne d'appresso e chiese: — Papa, perché non veniamo a stare qui?

— Eh, stupido, qui non ci sono case, non ci sta mica nessuno! — fece Marcovaldo con stizza, perché stava proprio fantasticando di poter vivere lassù.

E Michelino: — Nessuno? E quei signori? Guarda!

L'aria diventava grigia e giù dai prati veniva una compagnia d'uomini, di varie età, tutti vestiti d'un pesante abito grigio, chiuso come un pigiama, tutti col berretto e il bastone. Se ne venivano a gruppi, alcuni parlando ad alta voce o ridendo, puntando nell'erba quei bastoni o trascinandoli appesi al braccio per il manico ricurvo.