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<<...la Madonna è dietro di te...>>
Mi girai ma non vidi nulla.
<<Dove? Grazia... io non vedo nessuno.>>
<<...è dietro di te, mi sta salutando...>>
Mi voltai di nuovo ma... niente.
<<Sei sicura? Guarda meglio. Perché se c’è, le chiediamo almeno un autografo...>>
Grazia alzò la mano in segno di saluto e svenne.
Al mio ritorno sul piazzale della basilica c’erano ad accogliermi, come un eroe, tutti i frati dell’Eremo. Intanto erano arrivati anche polizia, carabinieri e soccorsi.
In una barella sistemai Grazia e l’accompagnai, stringendole la mano, sino all’ambulanza. Nel mentre sopraggiunse Donna Valeria.
<<Bambina mia! Tesoro di mamma, parla! Dimmi: cosa t’ha fatto questo maiale?>>
<<Maiale?! Ho salvato la vita di sua figlia e lei mi ringrazia così?>>
<<Lascia stare, Orazio.>>, sospirò Grazia riprendendosi. <<Madre: ho visto la Madonna! Ella mi ha salutato e riempito ancora di più il cuore di fede. Voglio dedicarmi per sempre alla preghiera. Voglio entrare in un convento e lodarla per tutta la vita.>> poi, rivolgendosi a me: <<Orazio: grazie! Di cuore! Tu mi hai fatto conoscere l’amore, e te ne sarò sempre grata, ma ora, mi dedicherò alla castità per fede.>>
<<Io, oramai, mi ci dedico solo per forza...>>
<<Addio Orazio...>>
<<Addio stellina.>>
E con le porte dell’ambulanza che si chiudevano, si chiudeva anche la piccola, platonica storia con quella ragazza meravigliosa.
<<DIO!!!>>, urlava con le braccia al cielo Donna Valeria. <<Non mi hai abbandonata!!! Hai ridestato la fede della mia piccina, Dio!!! Tu sei qui ora... dammi un segno! Dammi un segno della tua presenza!!!>>
<<Dio...>>, pensai tra me, <<se davvero sei qui... falla stare zitta!>>
Un pezzo d’intonaco si staccò dalla basilica e la colpì in piena faccia.
<<Ti ringrazio!>>
Intanto mi corse incontro frate Emanuele.
<<Orazio, ce l’hai fatta... sei un eroe!>>
<<No: ce l’abbiamo fatta! E il merito è anche tuo.>>
<<E anche della Madonna!>>
<<Padre Gustavo! Lei qui?>>
<<Orazio, ti sono stato sempre vicino, in ogni momento...>>
<<Ah si? Poteva venirmi a dare una mano!>>
<<La mano l’hai chiesta alla vergine Maria, non a me. Anzi, ho un messaggio per te da parte sua... dice che sei molto simpatico!>>
<<Accuso e ringrazio! Hm, se la rivede, me la saluta?>>
<<Non mancherò: promesso.>>
Mentre tornavamo all’eremo, un carabiniere diceva al suo brigadiere:
<<Signore, un tizio ha chiamato con un cellulare da un casolare vicino all’eremo, dice di raggiungerlo con un’ambulanza... sta male, ha bisogno di soccorsi...>>
Il mio soggiorno dai francescani durò i sessanta giorni stabiliti. Tra lezioni di pulizia, pranzi, cene colossali, partite di poker e di pallone. Del quartetto di matti, Luigi e Donna Valeria compresi, non ne seppi più nulla. Frate Emanuele mi disse che erano stati assicurati alla giustizia, ma, sinceramente, non me ne importava. Grazia era entrata nell’ordine di clausura delle Monache di Santa Chiara: “Le Clarisse”; il più restrittivo e, di sicuro, non l’avrei mai più rivista sia fuori che dentro il convento. Nell’ultima mia settimana di permanenza guidai i lavori per la pulizia della basilica, in occasione della festa di San Francesco. E, alla mia partenza, di mattina presto, tutti i frati erano alla stazione a salutarmi. A sorpresa, arrivò anche Emanuele.
<<Ehi, oggi non è domenica.>>, gli dissi. <<Saresti dovuto restare su, a vegliare sulla tua casa.>>
<<Ma per un vero amico è giusto fare uno strappo alla regola. Arrivederci Orazio e, a nome di tutti, ti dico che qui, sarai sempre il benvenuto!>>
<<Ciao Emanuele!>>
E con un forte abbraccio a quel caro amico, si chiuse... la mia avventura ad Assisi!XVI. L’epilogo finale
Manicomio criminale. Ore 24.00
<<Pensa che stamattina ne sono arrivati quattro di fila.>>, diceva l’infermiere a un secondino. <<Un frate, una donna, un vecchio molto distinto e uno pieno di cicatrici grosso come una casa. Tutti che inveivano, dai sotterranei in isolamento, su un certo Scattini... se presti attenzione forse li senti ancora...>>
<<Scattini!!! Nipote maledetto! La mia azienda è ora nelle tue mani! Non posso permetterlo... era tutta la mia vita, no!!! Fatemi uscire che lo voglio annegare nell’acido solforico, fatemi uscire!!!>>
<<Scattini!!! Eretico demonio! Un servitore di Dio non può permettere che Satana cammini indisturbato per il creato... fatemi uscire! è mio dovere di cristiano strappargli il cuore per poi buttarlo in un vulcano... fatemi uscire!!!>>
<<Scattini!!! Viscido edonista! La mia figliola è ancora sotto la minaccia delle tue sudicie grinfie. Puoi ancora traviarla con la tua ipocrisia... indurla al peccato! Fatemi uscire, quell’animale compromette la santità della mia bambina, fatemi uscire!!!
<<Scattini!!! Lurido bastardo! Giuro che finché continuerò ad esistere ti lancerò maledizioni... sulla terra, ed anche dall’inferno!!! E se t’incontrerò di nuovo, non esiterò a scannarti come una bestia!!! Fatemi uscire luridi cani! Fatemi uscire!!!>>.
Orazio Scattini e il mistero di Donna ValeriaI. Il passato
I drammi della vita di una persona, a volte, cominciano quando quest’ultima non è ancora nata. Il mio, per esempio, ebbe inizio nel lontano 1943. Ma andiamo per gradi.
Ci troviamo a Viù, un piccolo paesino della provincia piemontese. Allora si era in guerra, e i fragori dei bombardamenti si spandevano con un’eco terrificante per tutta la valle. Un fatiscente edificio sorgeva su una piccola collinetta sopra il paesino appena menzionato. Sulla sua facciata, sopra il monumentale portone, vi era scritto: “Brefotrofio Femminile di Clausura delle Suore Benedettine dei Santissimi Martiri delle Crociate”. All’interno, nei fitti e bui corridoi, dei tondini flebili di luce si costruivano attorno a fiammelle di povere candele.
Era notte. Una grassa figura si aggirava per uno dei corridoi con una lampada ad olio nella mano destra e una frusta a nove code nell’altra... era una suora! La sorvegliante dei dormitori: suor Ustionata! Gigantesca, sguercia all’occhio sinistro, chiuso da una spessa cicatrice che le segnava la fronte sino quasi alle labbra, con una gamba di legno puntuta, camminava nervosa tirando violenti colpi di scudiscio alle porte, ove le piccole ospiti, aveano trovato riparo dalla loro condizione di orfanelle.
<<Dormite! Dormite piccole bastarde, dormite! Non voglio sentire neanche il rumore dei vostri respiri! Dormite! Che nessuna pianga, che nessuna si lamenti! Quei rumori che sentite provenire da fuori sono le ire divine perché voi non pregate abbastanza! Dormite! O assaggerete le sferzate del mio “gatto a nove code”!>>
In ognuna delle piccole stanzette, dietro a porte umide e marce mangiate dal tempo, dieci o più bambine dormivano su di una grossa e lisa coperta che divideva i loro magri corpicini dal pavimento gelato. Strette l’una con l’altra si difendevano dal freddo, dalle parole della suora e dalle continue, violente detonazioni che provenivano da fuori. E quando una di loro, sentì lontani i passi e le nerbate della suora, rivolta ad una sua amica sibilò le sue curiosità.